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sabato 26 agosto 2023

PER UNA PATERNITA' AUTENTICA

Giovani alla ricerca 

di «paternità» autentica

-         di Paolo Giulietti *

 Ho vissuto la Gmg con i miei giovani, condividendo con loro quasi tutto, momenti quotidiani e straordinari. Sintetizzare l’esperienza non è facile, perché esistono grandi differenze tra i percorsi umani e spirituali di ciascuno di essi.

Confesso però di essere rimasto molto colpito dall’impatto delle parole di papa Francesco su di loro: discorsi semplici, elementari, quasi da catechismo della prima comunione: «Gesù ti vuole bene, non ti giudica, cammina con te sempre, ti aiuta a impegnarti per fare della tua vita qualcosa di bello, nonostante tutto». Parole – si direbbe – banali, eppure accolte con grande attenzione e anche commozione. Parole evidentemente desiderate, perché rare, espressione di una paternità affettiva e incoraggiante di cui le nuove generazioni mostrano di avere un disperato bisogno. Riporto quindi da Lisbona l’impressione di una diffusa orfanità umana e spirituale di tanti ragazzi e ragazze, in alcuni soggetti addirittura sconcertante. Che manchino gli adulti lo si vede da tante piccole cose, relative alla gestione quotidiana, alle reazioni dinanzi alle difficoltà, all’andamento delle relazioni... Lo si coglie nei racconti di ciò che vivono a scuola, in famiglia, in parrocchia... dove è forte – anche se non sempre consapevole – la percezione di essere, da parte degli adulti, più giudicati che accompagnati, più intrattenuti che educati, più blanditi che amati; di avere più complici infidi che padri affidabili. Lo si coglie nel sorprendente attaccamento alle figure adulte capaci di incarnare una paternità autentica, anche e forse soprattutto nel richiamare esigenze e responsabilità. Questa Gmg ci ha mostrato che camminare con i giovani implica saper incarnare la proposta cristiana in uno stile di autentica vicinanza e dedizione e con parole che vadano al cuore, poiché nascono da un’effettiva comunicazione. Appunto da padri.

Tutto questo è molto sfidante, perché chiede alle nostre comunità – non solo agli “addetti ai lavori” – di recuperare un’attitudine generativa che culturalmente appartiene sempre meno a noi adulti, anche nella Chiesa. Il frutto dell’individualismo imperante, infatti, non può che essere la sterilità, perché ogni forma di generazione comporta una qualche abdicazione rispetto alla sovranità dell’ego. L’individualismo si esprime a volte anche come difesa “corporativa” di interessi, tradizioni, modi di fare... sui quali ci si adagia, anche nelle parrocchie, ma che non risultano accoglienti o interessanti per le nuove generazioni.

Papa Francesco richiama da tempo la necessità di diventare quel “villaggio educante” di cui i giovani hanno bisogno per trovare la propria strada nel mondo. La semplicità delle sue parole e del suo stile ci interpella a divenire capaci di una siffatta paternità.

 È evidente che la comunità cristiana deve fare seriamente i conti con una società non più cristiana, in cui si assiste a un processo di “esculturazione” della fede (Hervieu-Léger). È però altrettanto evidente che il linguaggio della prossimità, della dedizione e del disinteresse continua ad avere un impatto decisivo sui giovani, capace di far emergere la convenienza con l’umano della proposta cristiana. In estrema sintesi, la Gmg è un evento in cui la Chiesa vive per una decina di giorni mettendo i giovani al centro, cioè, investendo tempo, soldi, competenze, attenzioni… tutti su di loro. Ma – mutatis mutandis – non dovrebbe essere sempre e dovunque così?

*Arcivescovo di Lucca

www.avvenire.it


martedì 22 agosto 2023

TODOS ! ASCOLTIAMO I GIOVANI

 Gli adulti 
sappiano ascoltare i giovani. 

La Gmg e la domanda 

che ritorna

  

-         di  Sergio Massironi*

Ciò che più conta dell’annuncio cristiano lavora sottotraccia e non appartiene all’ordine del quantificabile. E noi cosa dobbiamo fare? Ciò che più conta dell’annuncio cristiano lavora sottotraccia e non appartiene all’ordine del quantificabile. Per questo le parabole del Regno di Dio raccontano un’efficacia difficile da prevedere. Una giornata mondiale della gioventù non può sottrarsi a questa regola.

Ciò che più conta riguarda infatti il vangelo. D’altra parte, sin dalla prima Pentecoste è proprio il vangelo a produrre un terremoto interiore – si sentirono frantumare il cuore – e a lasciare affiorare una domanda: che cosa dobbiamo fare? (At 2,37). Qui abbiamo un indicatore, quasi il termometro della missione. Chi ha condiviso coi giovani i giorni di Lisbona può ora raccogliere questo interrogativo. E chiedersi, se non affiora, perché. Non c’è nulla da misurare, ma un’attenzione da garantire.

Esiste, però, l’altra parte che siamo noi, non più così giovani anagraficamente. Il vangelo, infatti, non è mai solo per gli altri. Quella parola di Dio che sono i giovani ha frantumato il nostro cuore? Che cosa dobbiamo fare? Quando a chiederselo sono degli adulti, come presso Giovanni Battista o negli Atti degli Apostoli, la questione è ancora più rivoluzionaria, perché tornando alle cose di sempre quel che c’è da fare è già programmato: ne abbiamo in abbondanza. Il Regno di Dio, però, impatta su questa sicurezza della maturità, per cambiare tutto. In casa cattolica ha generato qualche fastidio e sincero dispiacere il silenzio dei grandi media sul milione e mezzo di giovani raccolti da papa Francesco.

Di qualunque altro raduno – anche minore – si sarebbe parlato di più. È un complotto? O semplicemente questa meraviglia è entrata nella routine, cioè nell’ordine di ciò che conferma il mondo conosciuto e non lo modifica? Già, la Chiesa cattolica. Che raduni qualche milione di persone si sa. Ma le ragazze e i ragazzi di Lisbona hanno cambiato i loro vescovi? Erano molti ad accompagnarli. Tornando alle loro diocesi che eco avranno quelle voci e quei volti nelle decisioni da prendere? Il mondo avrebbe ragione di fermarsi e di provare un fremito davanti a un evento dello Spirito. Sigillo del suo passaggio è la vita nuova. Che un uomo nasca quando è vecchio, direbbe Nicodemo (Gv 3,4).

Sui giovani ogni comunità cristiana proietta tutte le sue immaginazioni. Il dono più onesto che meritano è invece che le loro idee, il loro dissenso, il loro chiamarci in causa abbiano qualche effetto. Non significa abdicare a un compito educativo, ma entrarvi senza eccessive protezioni. Il carattere dirompente di ogni pagina evangelica sta negli effetti della reciprocità che i sistemi di potere disinnescano.

Dobbiamo temere il quieto vivere. Allora la vita in abbondanza sperimentata nei grandi raduni ecclesiali non sarà come l’entusiasmo di una vacanza, ma vento e fuoco che purificano il cammino ordinario. Protagonista di tutto questo è il Risorto, di cui possiamo non tenere conto o parlare come di un estraneo. Invece agisce in mezzo a noi come il più giovane di tutti.

I giovani di Lisbona hanno rivelato, a chi la voglia vedere, una formidabile capacità di concentrazione quando la preghiera è di qualità e veramente fra sorelle e fratelli. Hanno manifestato il desiderio di un mondo in cui i confini siano solo traccia di storie diverse e di problemi su cui unire le forze.

Vivono l’amicizia e l’amore con una libertà di interrogativi senza precedenti. Sanno di essere un’eccezione fra i propri coetanei e si chiedono cosa e come condividere. Hanno capito che papa Francesco fa sul serio.

La domanda è: che cosa dobbiamo fare?

 

* Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale.

lunedì 7 agosto 2023

MANUTENTORI DEI SOGNI DI TUTTI


Ecco cosa ci insegnano 
i ragazzi della GMG


-        - di Riccardo Maccioni

-          


Tra le eredità che ci lascia la Gmg di Lisbona forse la più importante è un vocabolario.

No, nessuna parola nuova, piuttosto la capacità, e il coraggio, di usare in modo diverso immagini ed espressioni di sempre.

Prendi il concetto di “fretta”, centrale nel titolo della Giornata. Solitamente si accompagna all’idea di ansia, di semafori da bruciare con il rischio di incidenti, di letture lasciate a metà perché in agenda ci sono altre mille cose, di legami trascurati nel nome di un vuoto desiderio di incarichi sempre più prestigiosi.

Qui invece, sull’esempio del racconto evangelico di Maria che «si alzò e andò» dalla cugina Elisabetta, “fotografa” il desiderio di dono, l’umiltà del servizio, la vita che straripa, l’umiltà di offrirsi. Cioè, la radice dell’amore, che si definisce proprio nella rinuncia all’autoreferenzialità e al mettersi sempre al centro per dare all’altro la possibilità di esprimersi in pienezza.

Potrà sembrare strano, visto il numero impressionante delle ragazze e dei ragazzi arrivati in Portogallo, ma quella di Lisbona è una lezione di umiltà.

Un fiume di magliette colorate, bandane, braccialetti, acne giovanile, che non vuole diventare un esercito di “buoni” ma un mosaico di volti e lingue diverse in cui si conserva, preziosa, la capacità di riconoscersi come persone e di chiamarsi per nome. L’ovvia conseguenza è la disponibilità all’aiuto, ad arrotolare i polsini della camicia, in una parola a sporcarsi le mani. Immagine bellissima, plastica, del dna del cristiano che immergendosi nel fango della solitudine, dello scoraggiamento, dell’abbandono non può restare pulito.

E che per tenere ben aperti gli occhi, per vedere meglio, usa le lacrime.

Il Papa l’ha detto venerdì scorso ai giovani della Gmg portoghese: essenziale è non “macchiarsi” il cuore, cioè la vita di dentro.

Tutto il resto si può: gli abiti, i capelli, e la maglietta preferita nell’abbraccio dell’amica che piange e il trucco le cola.

Si dirà che sull’onda dell’emozione diventa facile sentirsi forti e usare espressioni grandi, così come pensarsi architetti di un mondo nuovo nato dal capovolgimento di quello vecchio.

Certo, in parte può essere così, però Lisbona non si è svolta solo a Lisbona ma anche nelle stanzette con la musica a palla di chi non è potuto andare e che grazie a milioni di reels, stories, messaggini, domani potrà dire “io c’ero”.

Non si va infatti alla Gmg chiudendosi alle spalle la porta di casa ma proprio con il desiderio di capire meglio la vita che si ritrova una volta rientrati in famiglia. Lisbona non solo catalogo di emozioni, dunque, ma vera e propria scuola dove però i ruoli sono rovesciati, con gli allievi, vale a dire i giovani, in cattedra e gli adulti, cioè i saggi, gli anziani sui banchi ad ascoltare.

Perché tante cose hanno i ragazzi da insegnare, a cominciare dalla gestione della precarietà, dell’incertezza, della nebulosa grigia che avvolge la parola “domani” mentre i grandi frenati dalla paura di dover rinunciare a qualcosa non fanno nulla per spazzarla via.

E poi l’accoglienza del differente, del diverso, dello straniero, senza calcolare la convenienza con il bilancino del consenso elettorale, ma in quanto persone.

L’elenco potrebbe continuare: il rispetto dell’ambiente con il parco pulito poche ore dopo il raduno di 800mila ragazzi, la cura della fragilità, l’educazione nelle code ordinate con decine di “affamati” in fila per un panino neanche troppo buono.

Soprattutto, la manutenzione dei sogni, che nel nuovo vocabolario di concetti vecchi non è l’opposto della realtà ma la sua radice e la sua esaltazione.

Il cambiamento, infatti, inizia nel momento in cui lo immagini.

A Lisbona i ragazzi della Gmg hanno cominciato a disegnarlo a matita.

Ci saranno i giorni della vita che riprende domani, per trasformarlo in una bella casa comoda, luminosa, accogliente.

E non, al contrario, in un castello di parole vuote che basta il primo alito di vento per spazzarlo via.

 

www.avvenire.it


 

giovedì 3 agosto 2023

IL SOGNO DI PAPA FRANCESCO

 


I confini non devono essere barriere

- di Giuseppe Savagnone *

Nel suo primo discorso in Portogallo, dove si è recato per la Giornata Mondiale della Gioventù, papa Francesco ha confermato di essere il più grande, forse l’unico, disturbatore della quiete pubblica oggi in circolazione nel nostro pianeta.

In un mondo che sta assistendo al più grande movimento di chiusura delle frontiere (di quelle geografiche, ma soprattutto di quelle umane) dal tempo della guerra fredda e che, dopo decenni di relativa distensione – in cui sembravano possibili, in nome della globalizzazione, forme sempre più strette di cooperazione non solo economica, ma anche politica e culturale – , sta ormai ritornando alla logica dello scontro frontale tra i blocchi, della reciproca demonizzazione e del rifiuto dell’ “altro”, il capo della Chiesa cattolica rimane forse la sola voce coraggiosamente controcorrente.

 «Bisogna ripensare i confini come “zone di confronto” e non di separazione ed egoismi che portano inevitabilmente a conflitti», ha detto nel suo discorso il papa. Non si tratta di misconoscere o addirittura abolire le identità nazionali, politiche, culturali e religiose.

 I confini sono essenziali per definire le diversità e sfuggire alla minaccia dell’omologazione, tanto più forte, oggi, in una civiltà della comunicazione illimitata delle notizie, degli esseri umani e delle merci. Ma non devono diventare dei muri, come accade quando si parla della loro “difesa” contro chi sta dall’altra parte, additato come un nemico che si può solo combattere e cercare di vincere.

 La guerra in Ucraina e la sua metamorfosi

Il più immediato riferimento delle parole di Francesco è alla guerra in Ucraina che da più di un anno sta spaccando il mondo. È cominciata con una assurda aggressione della Federazione Russa ai danni di un popolo già in passato oggetto di inaudite violenze da parte del vecchio regime sovietico e che sta oggi evidenziando, con la sua disperata resistenza, la sua volontà di non ricadere sotto il dominio della Russia di Putin.

 Da qui la giusta indignazione e la solidarietà subito mostrata verso le vittime dalla maggior parte dei paesi, anche in considerazione dei metodi disumani con cui l’invasione è stata condotta, deportando bambini, torturano civili, distruggendo indiscriminatamente centri abitati.

 Ma quasi subito lo scenario è cambiato, allargandosi e assumendo una fisionomia ben più ampia di quella di un conflitto locale, per quanto drammatico, di cui cercare a tutti i costi, a livello internazionale, una rapida soluzione. È emerso sempre più chiaramente che la posta in gioco non era la libertà del popolo ucraino, ma lo scontro – puramente di potere (l’ideologia non c’entra più, dopo la fine del socialismo) tra la Nato, guidata dagli Stati Uniti, e la Russia.

 Uno scontro di cui sicuramente la seconda è direttamente responsabile – sono i russi ad aver scatenato la guerra! – , ma che la prima non ha fatto nulla per evitare, perseguendo negli ultimi anni una politica di espansione che contrastava con gli accordi verbali presi alla caduta del muro di Berlino tra Bush senior e Gorbaciov e consentendo che il governo di Kiev non applicasse mai gli accordi di Minsk, presi a tutela delle minoranze russofone del Donbass. Uno scontro, dunque, che gli Stati Uniti avevano messo nel conto come possibile, tanto che stavano da tempo preparando ad esso gli ucraini.

 Da qui anche il silenzio alla vigilia dell’attacco che, unici in tutto il mondo, solo i servizi segreti americani avevano dato per sicuro. Non sappiamo cosa sarebbe accaduto se Biden avesse detto una parola – una sola – per garantire la neutralità di Kiev. Forse le cose sarebbero andate allo stesso modo, perché da parte sua Putin aveva un piano preciso. Ma è certo che non l’ha detta.

 Non è così che si costruisce la pace

Fin dall’inizio è stato chiaro che la pace non la voleva nessuno. Il modo di condurre la guerra da parte di Putin è stato criminale, meritando giustamente una incriminazione da parte del tribunale dell’Aia. Ma dall’altra parte non c’è stato altro linguaggio che quello dell’intransigenza più radicale, ai limiti dell’odio, demonizzando l’intero popolo russo.

 Il Comitato Olimpico Internazionale ha «vivamente raccomandato» a tutte le federazioni mondiali di «non invitare atleti russi e bielorussi» nelle competizioni sportive internazionali. Non solo come rappresentanza nazionale, ma come singoli – prescindendo dalle loro posizioni politiche – i russi sono stati esclusi dalle paraolimpiadi invernali di Pechino, dalle competizioni internazionali di tutti i tipi, dall’hockey su ghiaccio alla dama, dal torneo di tennis di Wimbledon. La Russia è stata esclusa dai mondiali di calcio in Qatar. Sono state sospese le rappresentazioni teatrali di opere di autori russi.

Più comprensibile, ma non meno preclusivo di ogni possibilità di dialogo, l’atteggiamento nei confronti del governo di Mosca. Una raffica di sanzioni ha colpito la Russia in tutti i settori della sua economia, portando all’abbandono del paese da parte delle multinazionali.

 A livello politico, l’Assemblea generale dell’ONU l’ha sospesa dal Consiglio dei diritti umani. La Federazione russa è stata sospesa dall’UNESCO, dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL). Lo scopo dichiarato, secondo le parole del presidente Biden, è stato di «isolare la Russia dal palcoscenico internazionale», riducendola al ruolo di «paria».

 Reazioni in sé giustificate dal gravissimo atto di violenza perpetrato dal governo russo, ma che non erano state mai neppure in minima parte prese in considerazione in occasione di altri clamorosi casi di aggressione militare, come ad esempio quella, non meno devastante e gratuita (anche se a lungo giustificata con la produzione di prove rivelatesi poi false), degli Stati Uniti di Bush junior nei confronti dell’Iraq.

 La sola risposta a cui si è fatto ricorso è stata, oltre all’isolamento economico e politico, quella delle armi. Gli Stati Uniti e gli altri paesi della Nato hanno investito somme enormi – solo l’America, 40 miliardi di dollari – per fornire all’Ucraina gli armamenti che il presidente Zelensky fin dall’inizio ha continuamente richiesto e ottenuto in misura sempre crescente. Al punto da evocare l’dea, spesso tornata sui media, di un “guerra per procura” combattuta dalla Nato contro la Russia per il tramite del popolo ucraino.

 Non c’era bisogno di essere profeti per rendersi conto che in questo modo ci si poneva in una posizione che escludeva ogni possibilità di dialogo, e che alla fine, pur essendo “dalla parte della ragione”, era perfettamente simmetrica a quella di Putin nel voler perpetuare la guerra.

 Più di un anno fa, il 22 aprile 2022, in questa rubrica il sottoscritto, senza avvalersi di alcuna illuminazione divinatoria, pubblicava un chiaroscuro intitolato «Non è così che si costruisce la pace».

 Di pace, per la verità, si è continuato, di tanto in tanto, a parlare, ma sempre subordinandola alla vittoria e alla resa della Russia (magari con la destituzione di Putin). Un esito fatto balenare fin dall’inizio come imminente – dopo le sanzioni e le prime vittorie su un esercito russo apparso inefficiente e vulnerabile – , ma che poi è sembrato allontanarsi sempre di più e che oggi sembra sostituito dalla prospettiva di una guerra infinita e di un «nuovo ordine mondiale», assolutamente conflittuale, di cui la Nato costituirebbe un polo e i paesi alleati della Russia l’altro. I confini che diventano barriere.

 La crisi dell’Europa

A questo quadro ci stiamo tutti abituando. Papa Francesco ha avuto ragione nel dire, a Lisbona, che in questo momento mancano «rotte coraggiose di pace». Il pontefice si è rivolto in particolare all’Europa: «Verso dove navighi, se non offri percorsi di pace, vie creative per porre fine alla guerra in Ucraina e ai tanti conflitti che insanguinano il mondo?».

 L’Europa è stata la vera grande sconfitta di questa guerra, comunque essa finisca. Negli ultimi decenni aveva costruito sulla collaborazione economica con la Russia – in particolare al livello della politica energetica – la sua prosperità. E c’era chi auspicava che questo avvicinamento si trasformasse gradualmente in una collaborazione anche politica, in grado di dar vita a un “terzo polo” tra Stati Uniti e Cina.

 La guerra di Ucraina ha distrutto queste prospettive e ha consegnato il continente a una totale dipendenza sia economica che politica dall’America. L’Europa è diventata una sezione della Nato, ormai elevata a vera protagonista del “nuovo ordine”. In compenso si sono rafforzate le tendenze nazionaliste, che hanno portato la Germania, la principale vittima di questa crisi, ad attuare per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale un imponente riarmo del proprio esercito, mentre il partito neonazista tedesco guadagna sempre più terreno nei sondaggi.

 Perché i soli a fare festa, in questa situazione, sono i fabbricanti di armi. «Preoccupa», ha detto Francesco, «quando si legge che in tanti luoghi si investono continuamente fondi sulle armi anziché sul futuro dei figli. Io sogno un’Europa, cuore d’Occidente, che metta a frutto il suo ingegno per spegnere focolai di guerra».

 I sogni di un papa sono fragili, come quelli di qualunque altro essere umano. E nulla, in questo momento, sembrerebbe avvalorare la realizzabilità di quello di Francesco. Ma la debolezza è nella natura del Vangelo e dei suoi profeti disarmati. È già importante che, in un mondo rassegnato alla logica della violenza e del calcolo della politica, una voce si levi a gridare la sua protesta e segni così la differenza tra l’umano e il disumano.

 *Scrittore ed editorialista. Pastorale della Cultura della Diocesi di Palermo 

 

www.tuttavia.eu

 

domenica 30 luglio 2023

LA GMG CI INTERPELLA


“La Gmg interpella 
pure noi adulti. 

Anche sui giovani 

che non ci andranno”

Le domande che la Giornata dovrebbe suscitare 

a educatori, genitori, preti.

 

-         di Lello Ponticelli

-          

Migliaia di giovani stanno andando alla Gmg di Lisbona e tanti stanno indirizzando loro parole di incoraggiamento, augurio e ammirazione.

Mi sono chiesto: c’è qualche parola per noi adulti?

Che significato hanno per noi – genitori, sacerdoti, educatori – queste frotte di giovani che, zaino in spalla, ogni paio d’anni vediamo sciamare gioiose e colorate per le vie del globo, per incontrare l’uomo “vestito di bianco”?

E come ci interpella chi non parte, senza magari neanche essersi lasciato sfiorare dall’idea di farlo pur essendo, talvolta, cresciuto in famiglie convintamente cristiane? In tutta verità non saprei rispondere, ma so che queste domande potrebbero regalare a noi adulti un qualche coinvolgimento originale, inaspettato, ma interessante.

Del resto, non è proprio il nostro mestiere di adulti quello di non lasciare i giovani “orfani di genitori vivi” o privi di riferimenti significativi e autorevoli?

Non è una bella sfida quella di continuare ad essere appassionati trasmettitori e custodi di sogni, capaci di questionare e questionarsi?

Per esempio, a me prete viene da chiedermi, con rammarico e nostalgia, cosa mi sono perso non avendo mai partecipato ad una Gmg.

Poi, però, prevale il ricordo e il gusto di quanto ho guadagnato ogni volta che ho dato la possibilità a qualche “protagonista” di raccontarsi e raccontarmi aspettative e desideri, viaggio, percorso, scoperte, entusiasmi o delusioni, speranze e quella voglia matta, una volta tornato, di impegnarsi per cambiarsi e cambiare il mondo.

Provo ancora gioia e gratitudine per chi mi ha confidato che la Gmg ha riempito di vita e di bellezza la sua vita, in quel momento e da quel momento in poi.

Ricordo il racconto di chi, proprio grazie alla Gmg aveva lasciato ogni indugio per scegliere un “per sempre” da vivere con passione e prontezza nel matrimonio, nella consacrazione, nel farsi prete, superando paure e resistenze.

Mi metto, poi, nei panni di qualche genitore e mi ritrovo, con lui e come lui, ora scettico, ora curioso e interessato, o forse cinico o indifferente, o magari solo incredulo dinanzi a un proprio figlio o figlia che con tanti coetanei prendono ancora sul serio quanto dice e fa la Chiesa!

E immagino di fermarmi pensoso, forse per la prima volta attraversato da qualche dubbio: che questo figlio, questa ragazza, questi giovani abbiano incontrato veramente Qualcuno per cui vale la pena vivere, soffrire, gioire, impegnarsi, lottare, amare, sperare, sognare!

Ed io?

In certi momenti immagino l’educatore, il confratello, il genitore deluso e dispiaciuto perché proprio la figlia, il gruppo giovani, quel ragazzo da cui tanto ci si aspettava, niente sa e niente vuol sapere della Gmg.

Empatizzo e mi ritrovo anche io a fare i conti con la sensazione di aver sbagliato, di non essere stato di buon esempio o, forse, di non aver insistito abbastanza o di aver insistito troppo.

Oppure sento la tentazione di fare la morale.

E se invece quell’indolenza, quella passività o quel menefreghismo individualista o ribelle, stanno a dire di possibili semi sparsi che porteranno frutto a suo tempo? Andassero anche sciupati, il Dio Seminatore seminerà ancora in quei giovani cuori.

Non è Costui che siamo chiamati ad imitare, paradossalmente proprio dinanzi ai possibili fallimenti educativi?

Mentre scrivo mi chiama un’amica e mi racconta un sogno “fresco di nottata”: la Madonna, avvolta di luce in mezzo agli alberi, parla a un ragazzo e a una ragazza che, immobili, ascoltano.

Non si coglie il contenuto, ma si vede l’avvicinarsi della luce a lei, che osserva i due giovani curiosa e consolata, pensando che potrebbero essere i suoi figli.

E mi ricordo che Papa Francesco ha affidato a Maria la guida dei giovani verso Lisbona; perciò, mi piace leggere il sogno così: Maria, con una fretta piena d’amore, sta parlando e parla a tutti i giovani, a chi va e a chi non va alla Gmg; ma parla anche a noi adulti, specialmente quando il mistero che sono questi figli ai nostri occhi si fa più fitto.

Maria consola e provoca noi e loro, indicando il Figlio: “Fate quello che vi dirà”.

In fretta.

E sogno anche io ad occhi aperti!

www.avvenire.it


sabato 29 luglio 2023

A LISBONA CON IL PAPA

 Il programma della Gmg a Lisbona, 

dove l’Oceano unisce  i giovani del mondo

Il direttore della Sala Stampa della Santa Sede Matteo Bruni ha presentato ai media l’ormai imminente Gmg di Lisbona, dove il Papa andrà dal 2 al 6 agosto per il suo 42.mo viaggio internazionale.

 Iscritti oltre 330 mila giovani da 200 nazioni

-        -  di Paolo Ondarza -  Città del Vaticano

Nel segno della speranza, quella incarnata dai giovani in un mondo lacerato da guerra e sofferenza. È il viaggio che Papa Francesco si appresta a compiere alla volta di Lisbona per la celebrazione della 37.ma Giornata mondiale della Gioventù.

Speranza, dopo la pandemia

È il 42mo viaggio internazionale di Papa Francesco che in dieci anni di pontificato ha già visitato 60 Paesi. In Portogallo era già stato nel 2017 in occasione del centenario delle apparizioni della Madonna. Anche in quell’occasione chiese ai cristiani di essere “speranza”, gli uni per gli altri. A presentare ai giornalisti i dettagli dell'appuntamento di Lisbona questa mattina è stato il direttore della Sala Stampa della Santa Sede Matteo Bruni. “È la prima Gmg dopo la pandemia”, ha ricordato. Doveva infatti svolgersi nel 2022, ma per il perdurare dell’emergenza sanitaria fu scelto di rinviarne la celebrazione.

Già 330 mila iscritti

Oltre 330 mila i giovani iscritti provenienti da 200 Paesi. 20 mila i volontari giunti da 150 nazioni. Più di 700 vescovi e 20 cardinali si metteranno al loro servizio guidandoli nelle catechesi sul tema “Alzati”. “Questi incontri - ha detto Bruni - avranno un carattere sinodale, circolare di conversazione”.

I Papi, il Portogallo e Fatima

Prima di Francesco, ha ricordato il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, altri tre Papi sono stati in Portogallo e a Fatima, “luogo in cui affidare a Maria i grandi dolori del mondo”. Paolo VI indicò la preghiera come mezzo per ottenere la pace, “dono di Dio , ma anche frutto della collaborazione dell’uomo”. Quattro le visite nel Paese di Giovanni Paolo II, la cui storia è strettamente intrecciata con Fatima. Nel decimo anniversario della beatificazione dei pastorelli Francesco e Giacinta anche Benedetto XVI si recò nel santuario mariano evidenziando l’attualità e vitalità del suo messaggio.

In preghiera per la pace

La pace sarà sicuramente al centro delle preghiere di questa Gmg. Interpellato dai giornalisti Bruni non conferma, ma non esclude, che il Papa possa incontrare giovani russi e ucraini. Anche alla domanda se è previsto un incontro con le vittime della pedofilia, il portavoce vaticano risponde sottolineando l’ormai nota sensibilità e attenzione di Francesco su questi temi: “Se questi incontri avvengono, avvengono in modo riservato anche per facilitare il processo di guarigione delle vittime. Se ci dovesse essere un incontro sarà data notizia dopo il suo svolgimento”.

I pronunciamenti pubblici di Francesco saranno undici in tutto: nove discorsi e due omelie. Solo il primo sarà pronunciato in italiano, gli altri in spagnolo. “È la lingua del Papa”, spiega Matteo Bruni, “con la quale può raggiungere il maggior numero di persone”.

Il programma

La partenza dall’aeroporto romano di Fiumicino è fissata alle 7.50 di mercoledì 2 agosto. L’arrivo a Lisbona è previsto alle 10. Un’ora di fuso orario con Roma. Il Papa sarà accolto nel Palazzo Nazionale di Belèm dal presidente della Repubblica Marcelo Rebelo de Sousa. Francesco si affaccerà dalla finestra per un saluto. Nello stesso quartiere di Belèm, presso il centro culturale, si svolgerà l’incontro con le autorità, la società civile e il corpo diplomatico. Circa mille le persone presenti. Nel pomeriggio presso la nunziatura apostolica Francesco vedrà il presidente dell’Assemblea della Repubblica e il primo ministro. Successivamente nel monastero dos Jerònimos, accolto dal Patriarca di Lisbona, celebrerà i vespri con i vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i consacrati, le consacrate, i seminaristi e gli operatori pastorali. L’indomani, giovedì 3 agosto, nella mattinata avverrà l’incontro con gli studenti nel piazzale antistante l’Universidade Catòlica Portuguesa. Prevista la benedizione della prima pietra di un nuovo campus universitario “Campus Veritatis”. In seguito nella vicina Cascais Francesco saluterà i giovani di Scholas Occurentes: ascolterà le testimonianze di giovani di differenti religioni, firmerà un drappo artistico lungo tre chilometri, assisterà assieme ad altri leader religiosi alla piantumazione di un ulivo della pace.

Il rientro a Lisbona è previsto nel pomeriggio quando nel parco Edoardo VII, enorme area verde di 25 ettari, avrà luogo la cerimonia di accoglienza della Gmg. La mattina di venerdì 4 agosto nel Giardino Vasco da Gama a Belèm il Pontefice impartirà ad alcuni giovani il sacramento della Riconciliazione la mattina di venerdì 4 agosto. Subito dopo presso il Centro parrocchiale “da Serafina” l’incontro con i rappresentanti di alcuni centri di assistenza e di carità. Dopo il pranzo con dieci giovani di diverse nazionalità nella nunziatura apostolica, nel tardo pomeriggio Papa Francesco, giungerà in auto aperta al parco Edoardo VII per presiedere la Via Crucis con i giovani.

La veglia e la Messa

La giornata di sabato 5 agosto sarà caratterizzata nella mattinata dalla visita del Santo Padre al Santuario della Madonna di Fatima dove giungerà in elicottero, pronuncerà un discorso e reciterà la preghiera del Rosario con i giovani malati donando una coroncina d’oro alla Vergine. Il ritorno a Lisbona è previsto poco prima di mezzogiorno: alle 18 l’incontro privato con i membri della Compagnia di Gesù presso il Colégio de S. João de Brito e alle 20.45 la veglia con i giovani nel Parco Tejo: incontro, alzarsi e partire i temi su cui verteranno i canti e le preghiere dei giovani. Alle 22.45 il Papa tornerà in nunziatura Aaostolica. Domenica in mattinata sempre al Parco Tejo la Santa Messa conclusiva della Gmg, al termine della quale dopo la consegna della croce ad alcuni giovani e l’annuncio della sede della prossima Gmg internazionale, nel pomeriggio si svolgerà l’incontro con i volontari. La cerimonia di congedo sarà poi alla base aerea di Figo Maduro e il ritorno in Vaticano con partenza alle 18.15 e arrivo a Fiumicino alle 22.15.

In viaggio con Francesco

Portogallo, Spagna ; Francia e Italia i paesi sorvolati. Al seguito di Papa Francesco ci saranno i cardinali Kevin Joseph Farrell, prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita; José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione e il futuro porporato Robert Prevost, prefetto del Dicastero per i Vescovi. Come nei precedenti viaggi apostolici con il Papa in aereo ci sarà anche un dipendente vaticano, proveniente questa volta dalla Segreteria di Stato. Nessuna novità per quanto riguarda il personale sanitario, precisa ancora Bruni: “L’equipe medica sarà la solita: un medico e un infermiere come per ogni viaggio”.

Lisbona, città in cui nel 2007 è stato firmato il Trattato che ha conferito all’Unione Europea una personalità giuridica propria, conferma dunque la sua vocazione storica cosmopolita e cattolica. La città da cui provengono grandi testimoni di evangelizzazione e santità si prepara a vivere giornate di festa e dialogo sui temi della pace, della tutela del creato, della fraternità. La Gmg sarà dimostrazione che l’oceano non divide, ma unisce.

 Vatican News

 

 

domenica 22 novembre 2020

NON VIVACCHIATE! NON STATE PARCHEGGIATI AI LATI DELLA VITA ! ABBIATE GRANDI SOGNI !

 

Non stare parcheggiati ai lati della vita: nella Messa per il passaggio della Croce della Gmg, il Papa parla ai giovani di "grandi sogni" che rendono liberi, da cercare oltre il pensiero dominante che riduce la felicità al divertimento, l’esistenza ad una febbre di consumi, l’amore ad emozioni. Poi l'annuncio: la celebrazione diocesana della GMG dal prossimo anno passa dalla Domenica delle Palme alla Domenica di Cristo Re

 

Fausta Speranza – Città del Vaticano

 “Io sono lì - dice Gesù - dove il pensiero dominante, secondo cui la vita va bene se va bene a me, non è interessato.  Io sono lì, dice Gesù anche a te, giovane che cerchi di realizzare i sogni della vita”. Così il Papa si rivolge ai ragazzi nella Santa Messa per il passaggio della Croce della Giornata Mondiale della Gioventù nella festa di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo.  Commentando l’ultima pagina del Vangelo di Matteo prima della Passione sottolinea che “prima di donarci il suo amore sulla croce, Gesù ci dà le sue ultime volontà”. Francesco chiarisce: “Ci dice che il bene che faremo a uno dei suoi fratelli più piccoli – affamati, assetati, stranieri, bisognosi, malati, carcerati – sarà fatto a Lui.

Due domande essenziali

Il Papa pone due interrogativi: “Aiuto qualcuno che non può restituirmi? Sono amico di una persona povera?”. Il Papa pone questi interrogativi per poi dare la risposta di Cristo: “Io sono lì, ti dice Gesù, ti aspetto lì, dove non immagini e dove magari non vorresti nemmeno guardare, lì nei poveri”. Il Papa ricorda la figura di San Martino: da giovane soldato non battezzato, un giorno vide un povero che “chiedeva aiuto alla gente, ma non ne riceveva, perché tutti passavano oltre”. Francesco spiega che “vedendo che gli altri non erano mossi a compassione, comprese che quel povero gli era stato riservato”. Non aveva niente con sé, solo la sua divisa di lavoro e allora tagliò il suo mantello e ne diede metà al povero, “subendo – sottolinea – le risa di scherno di alcuni lì attorno”. Poi sognò Gesù, rivestito della parte di mantello con cui aveva avvolto il povero. Fece quel sogno – aggiunge il Papa - “perché lo aveva vissuto, pur senza saperlo, come i giusti del Vangelo di oggi”.

L'invito a non restare parcheggiati ai lati della vita 

E dunque il forte incoraggiamento del Papa: “Cari giovani, cari fratelli e sorelle, non rinunciamo ai grandi sogni. Non accontentiamoci del dovuto. Il Signore non vuole che restringiamo gli orizzonti, non ci vuole parcheggiati ai lati della vita, ma in corsa verso traguardi alti, con gioia e con audacia”. E’ molto incisivo il richiamo all’attualità e a convinzioni che sembrano imperanti: “Non siamo fatti per sognare le vacanze o il fine settimana – afferma il Papa - ma per realizzare i sogni di Dio in questo mondo. Egli ci ha reso capaci di sognare per abbracciare la bellezza della vita”. Dunque, la convinzione profonda: “Le opere di misericordia sono le opere più belle della vita. Se hai sogni di vera gloria, non della gloria del mondo che viene e va, ma della gloria di Dio, questa è la strada. Perché le opere di misericordia danno gloria a Dio più di ogni altra cosa”. E su questa frase il Papa si sofferma, la ripete.

Grandi scelte per grandi sogni

Il Papa dà voce a un interrogativo importante: “Ma da dove si parte per realizzare grandi sogni?”, si chiede per poi rispondere: “Dalle grandi scelte”. E’ il Vangelo a chiarirlo, ricorda: “Nel momento del giudizio finale il Signore si basa sulle nostre scelte. Sembra quasi non giudicare: separa le pecore dalle capre, ma essere buoni o cattivi dipende da noi. Egli trae solo le conseguenze delle nostre scelte, le porta alla luce e le rispetta. Per i giovani il messaggio è chiaro e potente: “La vita, allora, è il tempo delle scelte forti, decisive, eterne. Scelte banali portano a una vita banale, scelte grandi rendono grande la vita”. Papa Francesco lo dice senza mezzi termini: “Noi, infatti, diventiamo quello che scegliamo, nel bene e nel male. Se scegliamo di rubare diventiamo ladri, se scegliamo di pensare a noi stessi diventiamo egoisti, se scegliamo di odiare diventiamo arrabbiati, se scegliamo di passare ore davanti al cellulare diventiamo dipendenti”. Con una certezza che illumina: “Se scegliamo Dio diventiamo ogni giorno più amati e se scegliamo di amare diventiamo felici”.

Non restare appesi ai perché della vita

“Sì, perché – aggiunge - la bellezza delle scelte dipende dall’amore”. E anche questa affermazione Papa Francesco sceglie di ripeterla, sottolineando così tutta l’importanza.  Gesù sa che “se viviamo chiusi e indifferenti restiamo paralizzati, ma se ci spendiamo per gli altri diventiamo liberi”. Dunque, il Papa “consegna” ai giovani il segreto della vita: “Il Signore della vita ci vuole pieni di vita e ci dà il segreto della vita: la si possiede solo donandola”. “Ma ci sono degli ostacoli che rendono ardue le scelte”: Francesco lo ricorda, citando “spesso il timore, l’insicurezza, i perché senza risposta”. Anche qui un’indicazione chiara: l’amore chiede di andare oltre, di “non restare appesi ai perché della vita aspettando che dal Cielo arrivi una risposta”. E, dunque, “l’amore spinge a passare dai perché al per chi, dal perché vivo al per chi vivo, dal perché mi capita questo al chi posso fare del bene. Per chi? Non solo per me: la vita è già piena di scelte che facciamo per noi stessi, per avere un titolo di studio, degli amici, una casa, per soddisfare i propri hobby e interessi.

La febbre dei consumi e l'ossessione del divertimento

Tra tante riflessioni, il Papa mette a nudo il rischio che tutte le attraversa: “Rischiamo di passare anni a pensare a noi stessi senza cominciare ad amare”. E cita Manzoni sottolineando che “diede un bel consiglio”, quando ne I Promessi Sposi  scrisse: «Si dovrebbe pensare più a far bene, che a star bene: e così si finirebbe anche a star meglio». Ma “non ci sono solo i dubbi e i perché a insidiare le grandi scelte generose, ci sono tanti altri ostacoli”. Il Papa ricorda “la febbre dei consumi, che narcotizza il cuore di cose superflue” e “l’ossessione del divertimento, che sembra l’unica via per evadere dai problemi e invece è solo un rimandare il problema”. Ma anche “c’è il fissarsi sui propri diritti da reclamare, dimenticando il dovere di aiutare”. E poi sintetizza “la grande illusione sull’amore” spiegando che “sembra qualcosa da vivere a colpi di emozioni, mentre amare è soprattutto dono, scelta e sacrificio”.

Difendere l'originalità contro le mentalità dell’usa-e-getta e del tutto-e-subito

Poi due inviti a ribaltare la mentalità che vorrebbe imporsi: “Scegliere – sottolinea il Papa - soprattutto oggi è non farsi addomesticare dall’omologazione, è non lasciarsi anestetizzare dai meccanismi dei consumi che disattivano l’originalità, è saper rinunciare alle apparenze e all’apparire”. Inoltre, “scegliere la vita è lottare contro la mentalità dell’usa-e-getta e del tutto-e-subito, per pilotare l’esistenza verso il traguardo del Cielo, verso i sogni di Dio”. A questo proposito il Papa aggiunge a braccio che l’obiettivo è vivere e non vivacchiare, spiegando di aver sentito questa espressione da un ragazzo. Francesco aggiunge: “Vorrei darvi un ultimo consiglio per allenarsi a scegliere bene. Se ci guardiamo dentro, vediamo che in noi sorgono spesso due domande diverse. Una è: che cosa mi va di fare? È una domanda che spesso inganna, perché insinua che l’importante è pensare a sé stessi e assecondare tutte le voglie e le pulsioni che vengono. Ma la domanda che lo Spirito Santo suggerisce al cuore è un’altra: non che cosa ti va? ma che cosa ti fa bene?”. Il Papa ribadisce che “qui sta la scelta quotidiana, che cosa mi va di fare o che cosa mi fa bene?”. E afferma: “Da questa ricerca interiore possono nascere scelte banali o scelte di vita. Guardiamo a Gesù, chiediamogli il coraggio di scegliere quello che ci fa bene, per camminare dietro a Lui, nella via dell’amore. E trovare la gioia.”

Il passaggio della Croce

Al termine della celebrazione eucaristica, il Papa ha salutato cordialmente tutti  i presenti e quanti hanno seguito attraverso i media. E ha rivolto un saluto particolare ai giovani panamensi e portoghesi, rappresentati da due delegazioni, che hanno fatto, subito dopo, il significativo gesto del passaggio della Croce e dell’icona di Maria Salus Populi Romani, simboli delle Giornate Mondiali della Gioventù. "È un passaggio importante - ha detto il Papa - nel pellegrinaggio che ci condurrà a Lisbona nel 2023.

La GMG locale nella festa di Cristo Re

Poi l'annuncio della decisione di Papa Francesco con queste parole: "E mentre ci prepariamo alla prossima edizione intercontinentale della GMG, vorrei rilanciare anche la sua celebrazione nelle Chiese locali. Trascorsi trentacinque anni dall’istituzione della GMG, dopo aver ascoltato diversi pareri e il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, competente sulla pastorale giovanile, ho deciso di trasferire, a partire dal prossimo anno, la celebrazione diocesana della GMG dalla Domenica delle Palme alla Domenica di Cristo Re".  Il Papa ha spiegato che "al centro rimane il Mistero di Gesù Cristo Redentore dell’uomo, come ha sempre sottolineato San Giovanni Paolo II, iniziatore e patrono delle GMG". Aggiungendo: "Cari giovani, gridate con la vostra vita che Cristo vive e regna! Se voi tacerete, grideranno le pietre!".

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