L’introduzione
dell’intelligenza artificiale e del mondo digitale sembra avere un potere, per
così dire, retroattivo sulla concezione di noi stessi e sulla nostra
collocazione nel mondo
Le
nuove tecnologie introducono di fatto un’era nuova in cui è sempre più
rilevante ciò che non ha a che fare con la carne. Un dato che rischia di fare
fallire ogni tentativo di umanizzare internet e allontana implicitamente dal
Dio dei Vangeli
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di ADRIANO PESSINA
Al di là di scenari, utopici o distopici, è nella pratica quotidiana della rete
che si palesa, per così dire, la potenza teorica del platonismo. Infatti, come
dimenticare che è proprio nell’infosfera che ci si può liberare dei limiti e
delle ristrettezze del corpoprigione per sperimentare il fascino della pura
relazione e il trionfo del mentale rispetto al corporeo? Non certo un’anima
disincarnata, che ha attraversato il confine della morte, ma un uomo
disincarnato che superato la soglia del luogo e del tempo per esprimere sé
stesso nello spazio del digitale, in compagnia di una ipotetica intelligenza
artificiale. In fondo, oggi, essere cultori della differenza ontologica
dell’uomo, della sua eccedenza spirituale, richiede di essere, paradossalmente
materialisti, perché l’unicum dell’individuo non sussiste senza carne. Ed è
dentro la carne, infatti che generiamo ed è dentro un grembo carnale che
prendiamo forma. Come non rileggere allora quanto scriveva Tommaso D’Aquino quando
definiva la persona umana «questa carne, queste ossa, quest’anima» che sono ciò
che costituiscono l’io, ognuno di noi.
Non
c’è esperienza umana senza carne: anche quella tecnologica, che pure proietta
il nostro fantasma nell’etere, non può prescinderne, perché ne è la fonte
impensata e in qualche modo dimenticata.
Trascendenza
e immanenza sono, di fatto, due termini che indicano il crinale che separa,
unendoli, due differenti orizzonti che si spalancano nella duplice prospettiva
della comprensione della realtà rispetto al suo significato ultimo. A
prescindere dai dibattiti, non si può ignorare che la storia dell’Occidente, la
sua temporalità, è costruita anch’essa su uno spartiacque, indicato da due
ceppi che indicano un prima e un poi: due sigle latine, a.Ch.n e p.Ch.n, ne
segnano i confini. Una sola storia, dunque, ma anche un limes, che indica il
prima e il dopo la nascita di Cristo. Questa numerazione, a cui siamo
assuefatti, pone una svolta nell’Incarnazione di Cristo, quel Verbum caro
factum est che costituisce il senso dell’annuncio e dell’esperienza dei
cristiani, ma che di fatto ha misurato, silenziosamente, tutta la storia
dell’umanità, nel riconoscimento, nell’opposizione o nell’indifferenza. Il
portato teorico dell’Incarnazione ha diversi aspetti su cui occorre brevemente
soffermarsi, in chiave strettamente filosofica.
Con
la nascita di Cristo, che trova il suo senso ultimo nell’annuncio della sua
morte e Resurrezione, si afferma non soltanto che il Dio della creazione entra
personalmente nella storia umana, ma che in questo suo “farsi carne” si rende
possibile la sua stessa rivelazione Trinitaria e la soluzione del significato
enigmatico dell’espressione che vuole che l’essere umano sia creato a “immagine
e somiglianza di Dio”. Enigma che prima di Cristo era reso evidente
dall’impossibilità di dare un volto a Dio, Lo spartiacque teologico è anche uno
spartiacque filosofico, per- ché segna, teoricamente, più che praticamente, la
fine di quell’impero platonico che diffidava della carne, considerata prigione
di un’anima spirituale che ambiva a ben altra collocazione. E da lì, di
seguito, a cascata, cambia per sempre la considerazione dell’essere umano, non
più solo creatura ma egli stesso “figlio” del Dio che ora poteva essere
chiamato Padre. E la carne malata cessava di essere maledizione e colpa, per
diventare luogo dell’amore, della cura, della partecipazione della presenza di
Dio. E persino l’altrove della vita, che Platone sognava come luogo dell’anima,
si apre alla resurrezione dei corpi.
Questa
digressione teologica, che potrebbe essere ancor più dilatata, non può certo
trascurare l’interpretazione opposta, che ha visto, nell’Incarnazione,
l’annuncio della nuova consapevolezza dell’uomo di essere Dio a sé stesso e al
mondo. L’incarnazione diventa, poi, per alcuni filosofi, la cifra
dell’alienazione dell’uomo che consegna ad altro da sé e dal mondo ciò che
invece gli appartiene: la signoria su tutta la realtà e la possibilità di un
dominio emancipato da Dio, dalla natura e dallo stesso peso della storia toglie
ogni forza ermeneutica a tutte le dottrine dell’altrove. Non si può, del resto,
dimenticare la progressiva ondata di indifferenza metafisica che coltiva
l’autosufficienza umana e la sua autonomia, segnata dalla banalizzazione del
tragico annuncio nietzchiano della “morte di Dio”.
Se
la storia dell’Occidente può esgioia sere letta lungo questi crinali,
l’affermazione della Presenza della Trascendenza nella storia, che è tesi
propria dell’Incarnazione, si offre, però, come riconciliazione tra l’altrove e
il qui e ora, cambiando radicalmente la prospettiva: il
senso ultimo dell’esistere e dell’essere non è altrove e il qui e ora non è
solo la prigione storica dell’umano.
Che
cosa ha mai a che fare questa digressione teologico-metafisico col digitale?
Perché l’epoca contemporanea introduce, di fatto, senza grande clamore e senza
alcuna pretesa filosofica, un’era nuova, quella che potremmo definire l’epoca
della disincarnazione dell’umano. Se infatti portiamo a sintesi quanto abbiamo
finora cercato di delineare con la categoria dell’altrove, ci troviamo di
fronte a una situazione nuova, in cui sempre più diventa rilevante ciò che non
ha a che fare con la carne, cioè con la condizione corporea, fisica, dell’uomo,
a riprova che per essere materialisti non è necessario riferirsi al primato del
corpo. Infatti, per privare di significato lo spirito è sufficiente trasformare
l’uomo in una macchina informazionale che, alla stregua di tutto ciò che
appartiene alla categoria della materia, si connette e si relaziona senza
implicare lo scoglio della sostanza individuale e della soggettività personale.
Un essere umano ridotto a relazione non diventa un Dio, non è più nemmeno carne
o corpo, ma pura connessione che si immagina di guadagnare il noi eliminando
l’io, che nella tradizione teologica costituisce di volta in volta
l’interlocutore del Creatore e l’amico del Fratello che rivela il Padre.
Creare
un uomo nuovo è un’impresa non facile, ma è una tentazione propria di chiunque
coltivi il mito del self made man e che oggi salda i progetti trans e
post-umanistici con le ricerche sempre più avanzate nei campi della biologia,
delle nanotecnologie e nella stessa progettazione informatica e robotica. Un
uomo nuovo capace di creare qualcosa che gli somigli, come un robot che lo
affianchi nei compiti dell’esistenza e lo sostituisca in tutte le funzioni in
cui l’io si senta esposto nella sua carnalità.
L’epoca
della disincarnazione è un’epoca nuova, in cui diventa sempre più difficile la
semantica del dolore, della sofferenza, della e della solitudine creativa:
difficile, ma sempre presente, perché l’esistenza non si annulla nelle sue
rappresentazioni. L’epoca della disincarnazione rende fluide le comprensioni
identitarie. Se l’Incarnazione si inscrive nella logica della speranza e della
salvezza, quella della disincarnazione si presenta con le vesti dell’efficienza
e della soluzione.
La
pretesa di umanizzare la rete, di trasformarla in un nuovo strumento di
evangelizzazione, di riempirla di significati etici e religiosi, di
trasformarla in veicolo di miglioramento dei rapporti umani, sembra non
considerare che l’altrove tecnologico resta e resterà un prodotto dell’uomo,
disincarnato. La nostra epoca coltiva e sviluppa l’indifferenza nei confronti
delle originarie e radicali questioni filosofiche e teologiche non perché sia
disincantata, ma perché è disincarnata e quindi sempre più incapace di cogliere
il senso del nascere e del morire, segni di quella contingenza che pone la
questione della radicale contraddizione tra la fine e i fini che l’essere umano
pone.
L’introduzione,
nella storia umana, della figura pratica e teorica della disincarnazione
conferma il potere, per così dire, retroattivo che le nuove tecnologie hanno
non solo sulla vita dell’uomo, ma anche sulla sua autorappresentazione. Questa
digressione, ovviamente, non legittima alcuna condanna della tecnologia, che
ormai non si configura più nei termini della sfida, perché la sua
familiarizzazione l’ha integrata nei vissuti e nelle abitudini della vita
quotidiana, ma impone un ridimensionamento delle sue promesse e delle sue
funzioni. Cercare nella rete ciò che non possiamo trovare nella realtà e viceversa,
modulare la realtà in funzione della rete e delle nuove tecnologie, comporta
decisamente una perdita di realismo. Ma anche una perdita di carne e di
incanto, e forse di umanità.
www.avvenire.it
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