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di Giuseppe Savagnone*
La
colpa è tutta degli scafisti?
Davanti
all’incessante acuirsi del fenomeno degli sbarchi, la destra al governo, che
aveva aspramente criticato quello precedente per la sua incapacità di fermarli,
si sta trovando in un’evidente difficoltà. Sta emergendo con chiarezza che il
problema non era l’inettitudine (o addirittura della colpevole complicità)
della Lamorgese, come Matteo Salvini aveva continuato a ripetere.
E
non dipendeva neppure dalle navi delle ONG – così spesso tirate in ballo come
causa fondamentale delle partenze verso l’Italia (ma che in realtà operavano
poco più dell’11% dei salvataggi) – , tanto è vero che la crisi più grave
verificatasi sul fronte migratorio, quella del naufragio di Cutro, è esplosa
proprio dopo che il nuovo “decreto sicurezza” ne aveva in buona parte neutralizzato
l’attività.
È
in questo contesto che le accuse si sono ormai polarizzate sul ruolo degli
scafisti, sui quali sono state scaricate dal ministro Piantedosi e dalla stessa
Meloni anche le colpe dell’ultima tragedia che ha così profondamente scosso l’opinione
pubblica del nostro paese. Sono questi «trafficanti di carne umana» – si
continua a ripetere – , non il governo, ad avere sulla coscienza le settanta
vittime annegate nelle acque della Calabria. Sarebbe dunque ora di finirla con
«squallide polemiche» (come le ha definite Salvini), per lasciar lavorare in
pace il governo che, come dimostra il Consiglio dei ministri svoltosi proprio a
Cutro, sta già efficacemente fronteggiando il problema con opportuni
inasprimenti delle pene nei confronti degli scafisti.
Una
versione tranquillizzante, che probabilmente convincerà buona parte degli
italiani, ma che presenta qualche falla su cui è il caso di soffermarci.
Il
naufragio di Cutro
La
prima falla è relativa alla dinamica dei fatti nel naufragio di Cutro. Quali
che siano le colpe degli “scafisti”, esse non spiegano il comportamento dei
soccorsi italiani. La maggior parte degli osservatori concordano sul fatto che
la vera domanda è perché mai incontro al barcone siano stati inviati due mezzi
della Guardia di Finanza, del tutto inadeguati ad affrontare il mare grosso,
nella logica di una operazione di difesa delle frontiere, e non delle
motovedette della Guardia costiera, giudicate “inaffondabili”, nella
prospettiva di una operazione SAR di salvataggio.
La
risposta del ministro e di tutto il governo, secondo cui la responsabilità è di
Frontex, che non avrebbe segnalato lo stato di pericolo, è chiaramente
insostenibile, perché le pessime condizioni del mare – confermate dal fatto che
i mezzi della Guardia di Finanza avevano dovuto rientrare in porto – erano
evidenti. E allora?
In
ogni caso, sostenere che la colpa è degli scafisti, che peraltro hanno
rischiato la vita come gli altri in questo naufragio, è solo un modo per
cercare di distrarre l’attenzione della gente da quell’interrogativo, finora
senza risposta, eludendo il vero problema, che proprio questa ostinata
strategia diversiva fa sospettare sia politico.
La
seconda falla della versione che si limita a criminalizzare gli scafisti è la
genericità della categoria “scafisti”. Spesso sono stati individuati come tali
coloro che di fatto si trovano al timone delle barche e dei gommoni che portano
i migranti sulle nostre coste. La lotta contro questi soggetti è già in corso
da diversi anni – dal 2013 ben 2.500 persone sono state arrestate su questa
base – , ma con esiti praticamente nulli.
Nella
migliore delle ipotesi, infatti, si colpiscono solo dei “pesci piccoli”,
semplici esecutori di ordini impartiti dai veri responsabili, che non si
avventurano certo per mare guidando personalmente i viaggi che hanno
organizzato.
Di
più: c’è il grave rischio di punire col carcere persone che sono anche loro
delle vittime, costrette dai “capi” a
pilotare il gommone o la barca come condizione per lasciarli partire. Quando
addirittura non si tratta di semplici passeggeri che hanno preso in mano la
guida del mezzo solo occasionalmente, nel tentativo di non farlo naufragare. E
a volte si tratta di ragazzi minorenni, come nel caso di uno di quelli
arrestati all’indomani del naufragio di Cutro.
Alla
base del “traffico di esseri umani” non sono certo queste persone, le uniche
che la nostra giustizia riesce a raggiungere, bensì le organizzazioni criminali
che operano nelle basi partenza, in Libia o in Turchia. E a questi – spesso
fortemente collusi con le autorità locali – la «stretta sugli scafisti» decisa
dal governo non fa neppure il solletico.
Saranno altri disgraziati a pagare con pene più dure, come hanno pagato
colpe non loro (o comunque solo marginalmente loro) quelli che li hanno
preceduti, con lo stesso risultato ottenuto finora.
Gli
scafisti ci sono perché ci sono i migranti
Ma
è la terza falla del teorema che indica nella “lotta agli scafisti” la
soluzione del problema delle migrazioni a risultare la più grave. Basta
riflettere un poco per rendersi conto che non sono gli scafisti a creare le
migrazioni dei clandestini, ma le migrazioni dei clandestini a creare gli
scafisti.
Questi
ultimi non fanno altro che approfittare cinicamente della disperazione di
uomini e donne che non hanno altro mezzo per fuggire da situazioni drammatiche
se non affidarsi a dei delinquenti, che però promettono loro di farli arrivare
– sia pure a rischio della vita – in un posto come l’Italia, dove staranno
sicuramente meglio che in patria.
Checché
ne pensi il ministro Piantedosi, nessun senso di responsabilità personale può
dissuadere dalla fuga da paesi come l’Afghanistan o la Siria o la Libia, dove,
al di là dell’aspetto strettamente economico, i diritti sono sistematicamente
calpestati e non c’è futuro. «Riscattare» questi paesi dall’interno è molto al
di là delle possibilità dei loro abitanti.
Ma,
in tempi brevi, appare impossibile anche un serio aiuto dall’esterno. Lo
slogan, così spesso ripetuto, «aiutiamoli a casa loro», è solo un alibi vuoto
di contenuto quando si tratta di regimi politici fanatici o in crisi profonda.
Perciò non si può stigmatizzare chi cerca in tutti i modi di andare via per
salvare se stesso e dare una speranza ai propri figli.
L’alternativa
agli scafisti è quella che i nostri governi stanno perseguendo da anni – già a
partire da quello Gentiloni – , facendo degli accordi che blocchino i migranti
con la forza prima della loro partenza. È la linea della Meloni, che ha appena
rinnovato un accordo del genere col governo libico fornendo cinque motovedette
alla sua Guardia costiera a questo scopo.
Il
risultato è stata la nascita di centri di detenzione che sono dei veri e propri
campi di concentramento e che tutti gli organismi internazionali (ONU,
Consiglio d’Europa) denunziano per la loro invivibilità.
A
parte il fatto che il sistema non funziona, perché le organizzazioni criminali
in realtà hanno sempre continuato a gestire le partenze (sembra con la
complicità della stesa Guardia costiera libica), ma davvero sarebbe
auspicabile, da parte di chi si appella all’etica per condannare i disumani
“viaggi della morte”, neutralizzare gli scafisti costringendo uomini, donne,
bambini in queste condizioni altrettanto disumane?
Ci
sarebbe un modo – uno solo – di
eliminare il problema. Basterebbe rendere legale l’arrivo in Italia e in
Europa. Perché mai persone, come i poveri naufraghi di Cutro, disposte a pagare
8.000 euro per viaggiare stipate nella stiva di un barcone fatiscente,
rischiando la vita, non hanno scelto la via molto più economica, agevole e
sicura di un normale viaggio in aereo? Per il semplice motivo che la nostra
legislazione impedisce loro di trasferirsi nel nostro paese legalmente.
Da
qui la necessità di arrivarci clandestinamente con l’aiuto di organizzazioni
criminali. Diventando addirittura, a propria volta, dei criminali, dopo che il
governo Berlusconi nel 2009 ha introdotto il reato di ingresso e soggiorno
illegale.
Insomma,
gli scafisti sono dei mostri, ma a creare questi mostri siamo noi.
Uno
scontro tra ricchi e poveri
Il
nostro governo continua ad insistere che questa situazione potrà risolversi
solo con la collaborazione dell’UE. Non
certo per “bonificare” l’Afghanistan o la Siria o la Libia, aiutando la gente a
vivere meglio. Questo supera di gran lunga le possibilità dei governi europei,
che non ci provano neppure. La collaborazione internazionale dovrebbe servire,
piuttosto, a rafforzare la «difesa delle frontiere» che la destra si propone da
sempre. E in questo effettivamente l’Europa, ultimamente, sembra intenzionata a
dare una mano all’Italia, anzi a sposarne la linea.
In
una lettera inviata alla fine di gennaio a tutti i capi di Stato e di governo
dell’UE, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, è
sembrata intenzionata ad imprimere una svolta in questo senso, virando verso la
strada dell’intransigenza. La numero uno dell’Esecutivo europeo apre
sostanzialmente alla possibilità di utilizzare i fondi del bilancio dell’Unione
per costruire barriere e muri anti-migranti. Un cambiamento di rotta, visto che
poco più di un anno fa la stessa Bruxelles aveva escluso questa possibilità.
La
von der Leyen propone anche di potenziare il sostegno a Tunisia, Egitto e
Libia, fornendo a questi Stati più motovedette per monitorare le acque
territoriali e riportare a terra i profughi intercettati.
L’alternativa
alle organizzazioni che controllano i flussi migratori, insomma, sono sul
fronte marittimo i campi di concentramento, sulla terraferma i muri.
Il
mantra della “stretta sugli scafisti” serve a nascondere questo movimento di
chiusura delle società del benessere nei confronti di quelle della miseria e
della disperazione. La previsione di Samuel Huntington, nel 1996, secondo cui
il futuro sarebbe stato caratterizzato da uno «scontro delle civiltà», che
avrebbe coinvolto le grandi identità culturali e religiose (prime fra tutte
quella cristiana e quella islamica), si sta rivelando infondata.
Il
vero scontro, ormai, è tra i ricchi e i poveri del pianeta. Molti dei migranti
respinti alle nostre frontiere sono cristiani come i cattolici del bergamasco
che votano Lega. Non è un problema di religione, ma di difesa del proprio
sistema di vita, che si crede minacciato da questi “nuovi barbari”.
È
in questa prospettiva più ampia che va visto anche il problema degli scafisti.
Certo, esecrare il cinismo spietato di questi criminali è più che giusto. Ma
puntare l’attenzione esclusivamente su di essi fa tornare alla memoria la
storia di quell’uomo che, quando gli si indicò la luna, si limitò a guardare il
dito che gliela indicava.
*
Giuseppe Savagnone, scrittore ed editorialista.
Responsabile
del sito della Pastorale della Cultura dell'Arcidiocesi di Palermo,
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