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di Silvia Ballabio
Sono
candidabili a diventare docenti tutor e orientamento, a partire dall’anno
scolastico 2023/24, da parte delle istituzioni scolastiche i docenti in ruolo
da cinque anni e che abbiano preferibilmente svolto già il compito di funzione
strumentale in campo di tutoraggio o orientamento. Solo per il docente tutor è
previsto un corso di formazione di 20 ore, erogato online da Indire da aprile
(praticamente da dopodomani). Entrambe le figure saranno retribuite; più
consistente la retribuzione per il docente tutor (da 2.850 a 4.750 euro lordo)
di quella del docente orientamento (da 1.000 a 2.000 euro lordo). Il docente
tutor o orientamento dovrà mantenere la funzione per almeno tre anni.
Al
docente tutor sarà affidata la “personalizzazione degli insegnamenti”;
coordinerà e svilupperà attività didattiche con un duplice scopo, il recupero
per le studentesse e gli studenti che manifestano maggiori difficoltà, e il
potenziamento delle abilità particolari per quelle studentesse e studenti che,
nelle parole del ministro Valditara, in classe “si annoiano”. Dalle varie
sottolineature fatte la finalità primaria sembrerebbe essere limitare la
dispersione scolastica, con buona pace di chi in classe si annoia. Il tutto
sarà limitato al solo triennio della scuola superiore e con un tutor ogni
raggruppamento di studenti (da 30 ai 50 studenti per raggruppamento). Quanto al
docente orientamento, le sue funzioni dovrebbero essere quelle di elaborare
dati e informazioni relative al contesto e porsi come figura di raccordo con i
docenti tutor, gli studenti e le famiglie.
Il
ministro dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara ha descritto le nuove
figure come il primo passo di un cambiamento radicale della scuola, e anche il
presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha lodato la misura. Più critiche le
varie sigle sindacali, che hanno evidenziato i limiti, anche evidenti, del
provvedimento che verrà.
Entrambe
le figure sono innovative, o perlomeno “nuove” in senso formale; come altre
necessità reali del mondo della scuola, sostenere gli studenti in difficoltà,
valorizzare le eccellenze e guidare a una scelta consapevole relativa al
proprio percorso presente e futuro sono attività intrinsecamente strutturali
alla funzione docente. Svolgerle in modo compiuto, responsabile, e
pedagogicamente adeguato è un altro paio di maniche.
Qualsiasi
azione intrapresa dal singolo docente o da un gruppo di docenti è come il
tentativo di camminare su cocci di bottiglia aguzzi a piedi nudi. Diremmo: “Se
non puoi curare, non fare danni”, col rischio tuttavia che l’inazione comporti
tanti, o più, danni dell’azione. Ciò non significa che il docente si ritiri, ma
solo che se ha coscienza del proprio “essere” (ruolo o mestiere sono termini
inadeguati) sa che intervenire sulle difficoltà è complesso, e anche rischioso.
Se non teme (ancora) il rischio (professionale e umano) per sé, certo lo teme
per i possibili effetti della sua azione/inazione.
Inutile
quasi sottolineare che per il tutor orientamento l’azione nel triennio potrà
quasi esclusivamente orientarsi alla scelta post-scuola secondaria, visto che
il cambio di percorso comporta prove integrative che non tutti gli studenti
desiderano o possono affrontare.
La
figura del tutor, su cui si sono concentrate le energie creative del ministero,
risponderà alle reali necessità? Il primo limite è innanzitutto il fatto che
sia previsto solo nel triennio. Si spera che questo sia dovuto a limiti di
fondi e alla scelta di immagine di garantire “fino al termine degli studi” la
presenza di questa figura, e non alla cecità di fronte alla evidente
accelerazione delle problematiche sopra descritte (e altre) che si presentano
ben prima del triennio finale, anche alla scuola media di primo grado.
Un
secondo limite è legato alla vaghezza della funzione stessa del docente tutor,
ideale coordinatore di attività didattiche volte a recuperare chi è in
difficoltà; si parla di corsi di recupero? Di tutoraggi individualizzati? Di
gruppi di lavoro fra studenti? Il tutto sarà forse svelato con l’inizio dei
corsi di formazione (e quindi a brevissimo, sembrerebbe), anche se – terzo
elemento di criticità – la brevità del corso e soprattutto il suo essere solo
online non lascia ben sperare.
Il
rischio è che poi il docente, pur “formato” e testato con una prova finale,
peschi nel nuoto di quanto fatto nell’istituto dove presta servizio, sia in
termini di ideazione che di risorse umane. Un altro limite è l’ampiezza del
raggruppamento (non classi ma raggruppamenti, con quali criteri? anche questo
sarà trattato nel corso di formazione, o lasciato alla iniziativa del docente
tutor?) delle studentesse e degli studenti (da 30 a 50 studenti).
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