-di Giuseppe Savagnone*
- Il Ministro degli Interni:
“L’unica vera cosa che va detta e affermata è: “Non devono partire”. [Non si può] immaginare che ci siano alternative da mettere sullo stesso piano – salvare, non salvare… – al fatto che, quando si è in queste condizioni non bisogna partire. Se noi non lanciamo al mondo – al mondo anche dei territori da cui partono queste persone – questo messaggio, che è etico prima tutto: non bisogna partire… ”». «Posso chiedere una cosa?», è intervenuto un giornalista. «Se lei fosse disperato, non cercherebbe di raggiungere un’altra parte del mondo anche con queste condizioni del mare?». «No», ha risposto con decisione il ministro. «No. Perché le dico pure questo: perché sono stato educato anche alla responsabilità. Dunque, a non chiedermi io che cosa mi devo aspettare dal luogo, dal paese in cui vivo, ma anche quello che possa dare io al paese in cui vivo per il riscatto dello stesso”.
–L’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice:
“Quel
che è avvenuto a Cutro non è stato un incidente, bensì la
naturale conseguenza delle politiche italiane ed europee di questi anni.
Il ministro Piantedosi ha ribaltato la colpa sulle vittime.
I
63 morti di Cutro, fratelli e sorelle sfiniti dalla sofferenza della fuga da
una patria martoriata e ingoiati dalle onde del nostro mare in un ultimo,
disperato combattimento, hanno tentato fino all’ultima bracciata, fino
all’ultimo respiro di sfiorare con le dita la speranza che fin qui avevano
inseguito: toccare terra in un luogo capace di salvarli e di accoglierli.
La speranza
di una terra diversa da quella che tragicamente avevano dovuto abbandonare
perché incapace di assicurare il diritto alla vita e alla sicurezza
dell’umanità in quanto tale. Non hanno riconosciuto, i nostri fratelli
pakistani, afghani, iraniani, siriani, nell’orizzonte freddo della costa,
avara di aiuti e incapace di cura per l’unicità preziosa delle loro vite,
non hanno riconosciuto questa diversità della nostra terra rispetto a quella
che li ha scacciati, perseguitati, minacciati, costretti all’esilio.
Ci
avrebbero chiesto, se fossero riusciti ad approdare – ce lo chiedono gli
occhi sgomenti, atterriti dei sopravvissuti – su cosa fondiamo oggi noi
europei, noi occidentali, la promessa che abbiamo fatto quando abbiamo
scritto la Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo.
Ci
avrebbero chiesto – e ora tocca a noi, da cittadini, da cristiani, chiedercelo
e chiederlo a nome di ognuno di loro ai Governi italiano ed europeo – se
abbiamo compreso che quella promessa l’abbiamo fatta innanzitutto a coloro
che ancor oggi scappano dai luoghi in cui questi diritti sono sconosciuti,
violati, e se ci siamo resi conto che lasciandoli morire li abbiamo
violati noi stessi, per primi.
Non
è solo dinanzi a quello che è accaduto in Calabria che ci sentiamo di dover
fare questa affermazione, ma anche e soprattutto dinanzi alla negazione
delle responsabilità, alla gravità della loro elusione, alla mancanza di
consapevolezza politica ed umana da parte delle istituzioni nazionali ed
internazionali impegnate solo a stringere accordi con paesi come la Libia
per trattenere e sospingere i migranti in veri e propri campi di
concentramento.
Non
c’è spazio oggi per i qualunquismi: è tempo per tutti noi di rifuggire con
chiarezza da ogni narrazione tesa a colpevolizzare l’anello più debole
della società. La responsabilità è nostra: quel che è avvenuto a Cutro non
è stato un incidente, bensì la naturale conseguenza delle politiche
italiane ed europee di questi anni, la naturale conseguenza del modo in cui
noi cittadini, noi cristiani, malgrado il continuo appello di Papa
Francesco, non abbiamo levato la nostra voce, non abbiamo fatto quel che
era necessario fare girandoci dall’altra parte o rimanendo tiepidi e
timorosi.
Il
culmine simbolico di tutto ciò è stata la dichiarazione resa dal ministro
Piantedosi, un uomo delle istituzioni che ha prestato il proprio
giuramento sulla Costituzione italiana – la stessa Costituzione che prima
di ogni altra cosa riconosce e garantisce quei diritti
inviolabili dell’uomo –, il quale ha ribaltato la colpa sulle vittime. Come
mi sono già trovato a dire, durante la Preghiera per la pace del 4
novembre 2022, rischiamo tutti di ammalarci “di una forma particolare di
Alzheimer, un Alzheimer che fa dimenticare i volti dei bambini,
la bellezza delle donne, il vigore degli uomini, la tenerezza saggia degli
anziani. Fa dimenticare la fragranza di una mensa condivisa”.
Come
cristiani, memori della parola del Vangelo del Messia che si è fatto povero e
ha sposato la causa dei poveri, insieme alle donne e agli uomini di buona
volontà e alle numerose associazioni umanitarie impegnate nel Mediterraneo
e sulle rotte di terra, crediamo che sia necessario rispondere ai tanti
interrogativi ancora aperti sul naufragio di Cutro e che venga dissipato
ogni equivoco sulla gravissima responsabilità di chi non soccorre i
naufraghi lasciandoli morire in mare. Si aprano una volta per tutte i
tanto attesi corridoi umanitari, si agisca sul diritto di asilo, si lavori
sull’integrazione. Facciamo insieme di questa nostra terra un giardino
fecondo di vita, in cui celebrare e sperimentare la convivialità delle
differenze.”
* Pastorale Cultura Diocesi Palermo
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