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di Giuseppe Savagnone*
La
bocciatura del certificato europeo di filiazione
A
difendere la decisione sono rimasti, oltre al giornale dei vescovi, «Avvenire»,
quelli della destra, gli stessi che hanno sostenuto la piena legittimità
dell’azione delle istituzioni in occasione del tragico naufragio di Cutro e di
quello, di poco successivo, verificatosi al largo della Libia. È forte, a
questo punto, la tentazione, per chi su quelle vicende ha una visione
diametralmente opposta, di collegare le due prese di posizione del nostro
governo, condannandole entrambe con lo stesso sdegno.
Una
reazione emotiva su cui però è giusto far prevalere la fedeltà ad uno spirito
critico che esige di ascoltare le ragioni in campo in questa vicenda, come si è
fatto in quella relativa ai migranti.
Secondo
Eugenia Roccella, ministro per la famiglia, la natalità e le pari opportunità,
che ha spiegato la linea del governo in un’ampia intervista al «Corriere della
sera», «il problema è uno solo: la maternità surrogata, che – ha precisato –
preferisco chiamare utero in affitto perché è più chiaro che c’è una
compravendita della genitorialità, un vero e proprio mercato». E ha aggiunto:
«Non è un problema di omosessuali o eterosessuali, è molto sbagliato pensare
che chi è contro questo mercato voglia colpire gli omosessuali». E in effetti,
la pratica del ricorso alla maternità surrogata è più diffusa tra le coppie
eterosessuali che tra quelle gay. «È la pratica dell’utero in affitto – ha
concluso – che va combattuta anche a livello internazionale».
Senza
voler ridurre l’intera questione a questo punto, esso è dunque sicuramente un
fattore importante di cui tenere conto nel valutare la situazione. Ma vediamo
meglio di cosa si stratta.
La
“maternità surrogata” o “gestazione per altri”
La
“Surrogazione di maternità” o “gestazione per altri (Gpa)” è una tecnica di
procreazione assistita in cui una donna, detta “gestante per altri”, o “madre
surrogata gestazionale” provvede alla gestazione per conto di una o più
persone, che saranno il genitore o i genitori del nascituro.
Il
ricorso a tale tecnica di solito viene sancito attraverso un contratto di
surrogazione gestazionale; in esso, il futuro genitore o i futuri genitori e la
“gestante per altri” dettagliano il procedimento, le sue regole, il possibile
contributo economico per le spese mediche della gestante e per l’impegnativo
percorso della gravidanza da intraprendere. La fecondazione può essere
effettuata con spermatozoo e ovuli sia della coppia sterile, sia di donatori e
donatrici attraverso concepimento in vitro.
Si
possono facilmente trovare su Internet delle accorate difese di questa pratica.
Che cominciano solitamente col rifiutare sdegnosamente l’espressione “utero in
affitto”. Leggiamo su uno di questi siti («Cliniche di fecondazione
eterologa»): «L’uso del termine “utero in affitto” suggerisce che non siamo in
un processo medico e sociale, ma prima in un semplice atto di acquisto-vendita
… nulla di più lontano dalla realtà. La “maternità surrogata” (…) non è un atto
commerciale o il noleggio di una parte del corpo altrui; è molto spesso un atto
di coraggio e grande forza interiore, da parte della madre gestante, che
desidera aiutare una coppia a diventare una famiglia; possiamo dire che è anche
un grande gesto d’amore e sacrificio».
Per
contro, c’è chi non condivide questa esaltazione della gratuità. Giuseppina La
Delfa, in un articolo su «Huffpost» del
6 dicembre 2016, dopo aver difeso la maternità surrogata dai tentativi di
vietarla – : «volere impedire una pratica legale altrove (e che esiste dai
tempi biblici) è pura fantasia strumentale e ideologica» -, scrive che «desiderare una Gpa altruistica e
senza scambi di denaro non solo è mostrare di vivere al di là del mondo reale,
ma è anche un’opzione estremamente pericolosa: è solo dare l’opportunità ai
delinquenti e criminali di ogni genere di schiavizzare davvero le donne e usare
i loro grembi a fine di lucro. Che le femministe non lo capiscano mi è del
tutto incomprensibile». Per lei,
insomma, «la gratuità è una grande menzogna: c’è un prezzo da pagare per qualsiasi
cosa, e il denaro non è sporco specie se serve a dare gioia e felicità».
Questo
secondo punto di vista sembra il più corrispondente alla realtà. Basta andare
su Internet e ci si rende conto che siamo davanti alla logica di qualunque
prestazione commerciale. Siamo andati su uno dei siti che la propongono,
«Success», dove si legge fra l’altro: «Noi offriamo programmi di maternità
surrogata e donazione di ovociti, sperma ed embrioni, che siamo pronti ad
avviare subito senza lista d’attesa, ai prezzi accessibili, con la garanzia
della qualità e del successo». È la terminologia del mercato.
E
non a caso il mercato si basa sull’offerta di chi ha più bisogno. Già prima
della guerra un paese dove la maternità surrogata era permessa e diffusa,
attraverso agenzie private, era l’Ucraina, dove il prezzo medio di un
“pacchetto” variava mediamente dai 30mila ai 50mila dollari (un quinto del suo
costo negli Stati Uniti). Ora il conflitto, rendendo ancora più precarie le
condizioni di vita, ha incrementato il business.
Valutazioni
contrastanti
Come
valutare questa pratica? Le opinioni sono discordi. Filomena Gallo, Segretaria
nazionale dell’Associazione “Luca Coscioni”, è nettamente favorevole.
«Purtroppo c’è chi considera ancora la gestazione per altri una pratica “disumana”.
Disumano è impedire di avere dei figli a chi non può portare avanti una
gravidanza».
Ma
ci sono state e ci sono organizzazioni femministe che criticano aspramente
quella che giudicano una forma di sfruttamento e di avvilimento della donna.
Nel febbraio del 2016 si è tenuto in Francia un convegno per l’Abolizione
universale della maternità surrogata («Assises pour l’Abolition universelle de
la Gpa»), organizzato da Sylviane Agacinski, voce storica del femminismo
francese, e docente all’«Ecole des hautes études en sciences sociales». A
conclusione dei lavori dell’assemblea, è stata formulata la richiesta formale
perché la pratica della maternità surrogata venga proibita e resa illegale in
tutto il mondo. Riassumendo le motivazioni di questa richiesta, la Agacinski,
spiegava: «È stupefacente, e contrario ai diritti della persona e al rispetto
del suo corpo, il fatto che si osi trattare una donna come un mezzo di
produzione di bambini. Per di più, l’uso delle donne come madri surrogate
poggia su relazioni economiche sempre diseguali: i clienti, che appartengono
alle classi sociali più agiate e ai Paesi più ricchi, comprano i servizi delle
popolazioni più povere su un mercato neo-colonialista. Inoltre, ordinare un
bambino e saldarne il prezzo alla nascita significa trattarlo come un prodotto
fabbricato e non come una persona umana. Ma si tratta giuridicamente di una
persona e non di una cosa».
Anche
in Italia una nota esponente femminista come Luisa Muraro, filosofa e
fondatrice della «Libreria delle donne» di Milano, ha preso una posizione
duramente negativa: «Non esiste un diritto di avere figli a tutti i costi,
eppure ce lo vogliono far credere (…). L’utero in affitto si innesta in questa
tendenza, anche se è nato prima, negli Usa, con gli effetti che sappiamo. È la
strada attuale per lo sfruttamento del corpo delle donne».
Le
posizioni del Parlamento europeo e della Commissione europea
La
posizione dell’UE sulla questione è stata contraddittoria. Da un lato, il
Parlamento europeo, nella primavera del 2022, ha condannato senza mezzi termini
la maternità surrogata, affermando che essa «può esporre allo sfruttamento le
donne di tutto il mondo, in particolare quelle più povere e in situazioni di
vulnerabilità», sottolineando «le gravi ripercussioni della maternità surrogata
sulle donne, sui loro diritti e sulla loro salute, le conseguenze negative per
l’uguaglianza di genere».
Pochi
giorni dopo, però, la Commissione europea, rispondendo a un’interrogazione
fatta da alcuni eurodeputati a proposito della «Fiera dell’utero in affitto»,
tenutasi a Bruxelles il 6 e il 7 novembre 2021, rifiutava di prendere una
posizione negativa e anzi preannunciava «un’iniziativa sul riconoscimento della
genitorialità tra gli Stati membri che potrebbe includere anche questioni di
diritto internazionale privato relative alla maternità surrogata». Iniziativa
che si è concretizzata nella proposta del certificato di filiazione di cui si
parlava all’inizio, che sdogana quella pratica a livello europeo, anche nei
paesi dove non è ammessa dalla legge.
Che
si tratti di coppie eterosessuali o di coppie gay, il risultato sarebbe
comunque che chiunque abbia un figlio attraverso la maternità surrogata in un
paese dell’Unione in cui questa pratica è ammessa, vedrebbe riconosciuta la sua
genitorialità anche in quelli, come l’Italia, dove invece è vietata. A questo
punto diventerebbe solo questione di possibilità economiche permettersi un
viaggio all’estero, oltre al pagamento della prestazione da parte della donna,
per acquisire tale certificato. Si incoraggerebbe e rafforzerebbe, insomma, il
ricorso alla maternità surrogata. E, francamente, ci sembra che le
argomentazioni critiche sopra riportate, peraltro da un punto di vista
rigorosamente laico, siano sufficienti a dire che un simile esito non è
auspicabile.
Il
problema dei bambini che già sono nati con questa procedura esiste sicuramente.
Ma è su questo, forse, che bisognerebbe lavorare. Senza farsene uno scudo per
difendere una richiesta, com’è quella della Commissione europea, la cui logica
implica la mercificazione capitalistica del corpo femminile e del processo
generativo.
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