C’è qualcosa di sbagliato: un intero “format” da demolire
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di Valerio Capasa
Ai
tempi nostri, tuttavia, per dirne solo qualcuna, i
mondiali di calcio – come i test d’ingresso a medicina – si disputavano
d’estate anziché nel pieno dell’anno, la prima serata televisiva iniziava alle
20:30 anziché alle 21:45 e il sonno non era la variante opzionale di Netflix.
Ai
tempi nostri i barbieri erano chiusi il lunedì, gli
alimentari il giovedì, tutti la domenica, mentre adesso la domenica sono aperte
anche le scuole, e tra mail, chat e ossessioni derivanti la reperibilità h24 ha
cancellato perfino l’idea di tempo libero.
Ai
tempi nostri un sussidiario e un libro di lettura
bastavano e avanzavano, mentre adesso i libri di un solo anno delle elementari
sono di più di quelli che usavamo per l’intero quinquennio, sebbene non sembri
che nel frattempo i megabyte a disposizione del cervello umano siano aumentati.
Ai
tempi nostri le poesie che imparavamo erano le stesse
che le nostre mamme sapevano ancora a memoria: “La nebbia agl’irti colli”, “Ei
fu. Siccome immobile”, “Me ne andavo una mattina a spigolare”. Ora ingurgitano
roba usa e getta, moraleggiante e aritmica, che non appartiene alla memoria di
alcun popolo, che noi non abbiamo mai sentito e che dopo una settimana non
ricordano più nemmeno loro.
Ai tempi nostri alle elementari (e perfino al biennio del liceo) si usciva alle 12, non alle 14, men che meno alle 16 per fare educazione fisica come settima e ottava ora senza una pausa né un pranzo e con la prospettiva al rientro dei compiti per il giorno successivo.
Ai
nostri tempi tra gli indistinguibili caratteri del
Rocci o nel Salinari-Ricci di italiano o nel Desideri di storia non abbiamo mai
visto un colore né una domandina né un’analisi del testo: ogni pagina era una
bomba calorica di testi e interpretazioni storiografiche. Non sembra che nel
frattempo i neuroni a disposizione del cervello umano siano diminuiti:
semplicemente, gli attuali manualetti arcobalenati, dato che l’uva era alta,
l’hanno dichiarata acerba, e imitando i collegamenti ipertestuali del web hanno
inferto il colpo di grazia definitivo alla pazienza cognitiva. Risultato: molte
più cose, sempre meno profonde e più spezzettate, scollate da qualsiasi visione
d’insieme, impossibili da trattenere. Rintronati dall’idea di dover stare al
passo con i tempi, abbiamo preso i problemi e, guardandoci bene
dall’affrontarli, li abbiamo magicamente trasformati in soluzioni: visto che
gli alunni tendevano a semplificare, l’abbiamo fatta definitivamente
semplicistica (noi sempliciotti) e buonanotte.
Ai tempi nostri non eravamo invasi da (così tanti) Peter Pan illusi di cambiare la scuola con iPad, debate, flipped classroom, Power Point, googlate, resilienze e altri travestimenti gattopardeschi: è vero che gli studenti si coinvolgono più con Kahoot che studiando il complemento di causa efficiente, ma se è per questo si coinvolgerebbero ancor di più cantando Bellissima o strafocando una focaccia. Tra pachidermi e molluschi, tra ingessati e invertebrati è una bella sfida.
Ai
tempi nostri non esisteva una generazione
completamente drogata di telefono: adesso un adolescente dovrebbe avere troppa
pietà per perdonare il rincoglionimento da smartphone dei genitori.
Ai
tempi nostri non esisteva internet e neppure approcci
didattici che lo scimmiottavano. La dopamina era un po’ meno e la capacità di
abitare l’istante maggiore. E ora tu pretendi che questi fanciulli
iperstimolati rimangano due ore incollati alla sedia a tradurre una versione di
latino o a leggere un capitolo di Manzoni? vorresti insegnare nessi causa-effetto
a chi ha sempre conosciuto il mondo come discontinuo agglomerato di frammenti
simultanei? inculcare il senso storico a chi vede evaporare le storie sui
social dopo uno scampolo di ore?
Ai
tempi nostri non si procedeva a scatti. Giunta l’epoca
dei quiz a risposta multipla al posto dei temi, abbiamo plasmato una mente
asintattica, e volendoli tutti centometristi ora ci meravigliamo che non siano
mezzofondisti e che barcollino fra singhiozzi e sfiancamenti precoci.
Ai
tempi nostri non avevamo necessità di fare 90 ore di
Pcto né di partecipare ai Ptof né di vincere il B1 di inglese. Per questo
qualcuno di noi riusciva ad anticipare i compiti: loro non possono. Il sabato
andavamo a scuola; adesso sull’altare del sacro weekend abbiamo immolato la
loro sanità mentale, e pretendiamo che, oltre alle 6 materie per il giorno
successivo, se ne anticipino altre due o tre: 9 materie!?! Non riescono a farne
6 e neanche 5 e neanche 4 e neanche 3 (parecchi neanche una).
Ai
tempi nostri alcuni addirittura leggevano: loro a
quale ora della notte potrebbero? È la scuola a ostacolarli, schiacciandoli
all’angolo, dove qualsiasi rapporto e passione è un lusso, che possono
coltivare solo gli strafottenti o gli eroi.
Ai
tempi nostri il pomeriggio giocavamo a pallone: e non
dalle 16:15 alle 17:45 tre giorni alla settimana, ma fino all’infinito e oltre.
Sotto casa avevi la percezione di un tempo illimitato, che cominciava dopo la
controra e terminava quando le mamme si affacciavano per ululare che era pronta
la cena. Tendenzialmente non ci cadevano addosso tante aspettative da
campioncini o da genietti. Esistevamo, ed era ovvio che non funzionassimo né in
campo né a scuola.
Ai
tempi nostri qualcuno occasionalmente marinava la
scuola e se ne andava a limonare; adesso moltissimi si assentano da scuola
abitualmente per rimanere a casa a studiare.
Ai
tempi nostri quasi tutti abitavamo in una sola casa;
adesso moltissimi abitano il lunedì da mamma e il martedì da papà.
Ai
tempi nostri c’era chi ci dava dei debosciati, proprio
come noi facciamo con loro: la decadenza dei tempi è un paradigma
interpretativo prima che un fatto storico.
Ai
tempi nostri esisteva il culto dell’apparenza:
all’ingresso degli insegnanti ci alzavamo in piedi; sotto l’apparenza non c’era
sostanza, ma solo lo schifo che si faceva di nascosto. Adesso è la verità a
essere vergognosamente relegata in momenti clandestini, mentre su Instagram ci si
gloria di essersi spaccati di vodka, e pazienza se mamma ti vede (anche perché
spesso pure mamma si spacca di vodka e di Instagram).
Ai
tempi nostri i professori facevano lezione e basta,
infischiandosene di come ci sentivamo, al contrario di… no, esattamente come
oggi. In genere avevamo più compagni di strada, mentre ora è facilissimo
crescere come bolle, monadi, fragilissimi davanti ai Moloch del potere e della
performance, con un modello didattico assolutamente inadeguato rispetto allo
stile di apprendimento, stritolati da una discrasia spaventosa fra la mole
delle richieste e la portata del ponte, fra la tipologia dei compiti e la
propria struttura mentale.
Ai
tempi nostri come in questi tempi c’è bisogno che
qualcuno non abbia paura di domande tremende, quando si accorge che tutto ciò
che è cambiato fuori significa che qualcosa è cambiato anche dentro. Se
vogliamo essere contemporanei, anziché nostalgici laudatores temporis acti,
si tratta di smantellare il format che gira a vuoto e di amare nientemeno che
la verità, il vetusto parolone dei greci e dei medievali. Una generazione
ferita cerca una generazione commossa, sicut erat in principio et nunc et
semper.
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