Montale
era profeticamente consapevole dei rischi della contemporaneità, eppure
sosteneva che la diffusione incontrollata della comunicazione in ogni sua forma
e il proliferare della cultura di massa non sono in sé una condanna a morte, e
che anche se siamo in un mondo in cui, oggi più che allora, tutto è sempre di
più alla portata di tutti – col risultato che è facile perdersi e perdere
interesse per quello che ci viene spiattellato di fronte in ogni angolo della
rete – ‘non è credibile che la cultura di massa per il suo carattere effimero e
fatiscente non produca, per necessario contraccolpo, una cultura che sia anche
argine e riflessione’.
Ecco,
io credo che parte della risposta sia qui. Di fronte all’innumerevole quantità
di parole scritte da cui siamo costantemente bombardati ci vuole qualcosa che
faccia da argine, e per me alle fondamenta di questo argine sta la poesia. La
poesia è ancora possibile perché è un anticorpo contro il dilagare della
superficialità. Detto ciò, come Montale, credo che sia inutile interrogarsi
ulteriormente sul destino delle arti: non possiamo indovinarlo, così come del
futuro non riusciamo ad indovinare nient’altro, e va benissimo così.
Quello
che credo sia importante chiedersi è: qual è il senso della poesia nel nostro
mondo? Probabilmente per molti rievoca ricordi polverosi di pomeriggi spesi a
parafrasare un inno di Manzoni o un canto di Dante, seguiti in età adulta da un
disinteresse generico o magari da un’intolleranza vera e propria nei confronti
di tutto ciò che si presenta in forma di verso. La poesia è noiosa, non va di
moda, è lenta, a volte ci sono parole assurde… Credo che ogni studente, anche il
più sensibile alle arti, abbia avuto di questi pensieri. Io amo la poesia con
tutto il mio cuore, eppure di fronte a Tasso ho pensato ben di peggio. Quello
che conta è non mettere una croce sopra ad un intero genere.
Fatto
sta che, al giorno d’oggi, che sia per un retaggio dell’odio liceale, o perché
anche se ci piace leggere la narrativa è più immediata, o per puro e semplice
disinteresse, quasi nessuno si interessa di poesia. Perché è fuori dal
quotidiano, è complessa, richiede tempo e attenzione e spesso noi siamo stanchi
e di corsa. Ma è proprio perché il nostro mondo è veloce e la nostra vita non
può che cercare di stare al passo che, ogni tanto, fa bene confrontarsi con
qualcosa che richieda uno sforzo e una concentrazione un po’ maggiori di quelli
che occorrono per scorrere distrattamente qualche articolo sul telefono mentre
siamo in metro o in bus.
Il
compito della poesia è di ricordarci che esiste qualcos’altro, tirarci fuori
dalla quotidianità – non anestetizzandoci o offrendoci una banale via di fuga
dalla realtà, ma risvegliando qualcosa che magari non ci siamo nemmeno resi
conto si fosse addormentato – e metterci in contatto con la nostra anima. Ci
ricorda che abbiamo un’anima, consapevolezza che troppo spesso lasciamo
affondare sotto il peso delle mille cose che affollano le nostre giornate.
A
volte bastano poche parole di cui magari non capiamo nemmeno bene il
significato ad evocare mondi sconosciuti, a far vibrare qualche corda
impolverata. La poesia ci sveglia, al contrario di quasi tutto il resto, il cui
scopo sembra essere quello di narcotizzarci. Per quanto mi riguarda è la
risposta alla necessità di qualcosa di alto nella nostra vita, è una divinità
più vera di qualsiasi altra perché è umana, ed è creata da ponti e fusioni e
passaggi tra le menti che ci hanno preceduti e quelle che ci seguiranno. Non
sarà la soluzione a nessun problema, ma è un’ancora per l’esistenza. Come
scrive Edward Morgan Forster: la poesia non aveva fatto “bene” a nessuno, ma
era un transitorio memento, un alito delle divine labbra della bellezza, un
usignolo tra due mondi di polvere.
In
più contiene una traccia vividissima del nostro passato. Tutta la poesia del
mondo consiste, almeno in parte, nel prendere qualcosa in prestito da chi è
venuto prima, rielaborarlo e aggiungerci qualcosa di nuovo.
Ho
sempre pensato che sia un concetto molto bello: in qualche modo esiste una rete
sottilissima che parte da Omero e arriva fino a noi, ogni poeta è un nodo e noi
che li leggiamo possiamo intravedere uno scheletro dietro le loro parole e
quello scheletro è la nostra umanità. Niente, in tutta la storia dell’uomo, ha
avuto una simile durata e ci rispecchia così tanto, come eravamo e Come siamo
cambiati e come non siamo cambiati.
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