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sabato 15 marzo 2025

IL MIO FIGLIO AMATO


 DOMENICA II DI QUARESIMA (C) 

 16 Marzo 2025

 

Vangelo - Commento di M. Augé

 Domenica scorsa abbiamo visto Gesù uscire vittorioso dalle insidie del tentatore perché si è fidato di suo Padre, perché non ha avuto paura di sottomettere la propria libertà, i propri progetti alla volontà e al progetto che Dio ha su di lui. Tutto questo significa, implicitamente, per Gesù iniziare il cammino verso la passione. L’esperienza della trasfigurazione che ci narra il vangelo è da leggersi in questo contesto. La meta del cammino intrapreso da Gesù è la risurrezione, di cui la trasfigurazione è anticipo, ma la strada passa attraverso l’esperienza dolorosa della passione e della morte. Questa è la verità che Gesù intende far capire ai tre discepoli che l’hanno accompagnato. Perciò, dopo averli resi testimoni della gloria della trasfigurazione, Egli annuncia la sua morte e risurrezione. 

Gesù offre ai tre discepoli prediletti, Pietro, Giovanni e Giacomo, una visione anticipata della sua gloria di risorto, che culmina nella testimonianza del Padre che rivela l’identità profonda di Gesù: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo”. È da sottolineare l’invito all’ascolto, ripreso dalla orazione colletta del giorno. Come ricorda il prefazio, poco prima dell’evento della trasfigurazione, Gesù fa il primo annuncio della sua passione e morte e, in seguito, indica le condizioni per seguirlo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23). In questo contesto, l’invito ad ascoltare Gesù acquista un senso preciso e particolare: ascoltate Gesù perché è mio Figlio; ascoltatelo nonostante le parole che dice siano paradossali. 

Fidatevi anche se vi propone un cammino di sofferenza; seguitelo anche se dovete passare per sentieri stretti e disagevoli. La trasfigurazione è la grande rivelazione di Gesù, la scoperta piena della sua realtà a cui si è invitati attraverso l’ingresso nell’oscurità della fede che ci conduce attraverso la via della croce, sorretti dalla speranza, all’esperienza della risurrezione. 

La seconda lettura è un’esortazione alla speranza, non in una terra o in una discendenza, come per Abramo, ma in Dio stesso che si pone come terra promessa, come futuro capace di appagare pienamente le nostre attese: “La nostra cittadinanza è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso”. La contemplazione anticipata della gloria di Gesù non ci risparmia lo scandalo della croce, ma lo sostiene nella speranza.  

La pienezza perpetua e stabile della nostra trasfigurazione in Cristo avverrà nella vita eterna, ma si prepara e anticipa qui e ora. La celebrazione eucaristica è prefigurazione e anticipazione del banchetto eterno nel quale contempleremo il volto glorioso del Cristo, quel volto trasfigurato di cui i discepoli Pietro, Giovanni e Giacomo ebbero sul monte Tabor un saggio transitorio.

 

Munus

 

 

 

venerdì 23 febbraio 2024

ASCOLTATELO !


 -Domenica 25 febbraio 2024-

 - II Domenica di Quaresima B - Vangelo:  Mc 9,2-10 -

- Commento di S. E. Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme-

Il brano di Vangelo di oggi ci dona di fare un passo importante nel nostro cammino quaresimale.

 Domenica scorsa, il racconto delle tentazioni ha portato luce dentro la nostra vita, dove la Parola del Padre vuole scendere per impastarsi con le nostre scelte di ogni giorno.

 Oggi la stessa luce brilla sul volto di Gesù, e ci svela qualcosa del mistero di Dio, perché noi possiamo conoscerlo per quanto ci è possibile.

 Il racconto della Trasfigurazione (Mc 9,2-10) ci riporta al principio del nostro cammino di fede, a cosa lo rende possibile.

 E cioè al fatto che noi possiamo credere per il semplice fatto che Dio si rivela, che si fa conoscere, che ci mostra il suo Volto.

 Da sempre, nella storia della salvezza, Dio cammina con il suo popolo e si rivela attraverso le sue opere e la sua Parola. Non è un Dio che gestisce le cose da lontano, che preferisce rimanere nell’ombra, ma è qualcuno che ama farsi conoscere, e per questo entra nel gioco della storia con uno stile e un Volto che chiedono di essere conosciuti.

 In più, a volte, nel corso del cammino, ci sono momenti privilegiati in cui chiama qualcuno in disparte, di solito su un monte, e a costoro fa fare un’esperienza più profonda e più intima della sua presenza.

 Da sempre, dunque, Dio si rivela, si fa conoscere, e Gesù non fa diversamente dal Padre.

 Sale su un monte, insieme a tre dei suoi discepoli (Mc 9,2), e lì si fa incontrare in tutta la sua bellezza e il suo splendore di Figlio.

 In realtà, non è Lui a rivelarsi, ma è il Padre che ci rivela Gesù (Mc 9,7). Perché lungo tutto il cammino della vita di Gesù, è chiaro che Gesù non è venuto a parlarci tanto di se stesso, quanto del Padre suo, della bellezza di essere il Figlio amato.

 E così neanche il Padre rivela se stesso, ma ci rivela il Figlio, desidera che lo conosciamo, che lo accogliamo come fratello nella nostra vita.

 La Quaresima viene dunque a dirci questo: Dio, che sempre si rivela, vuole farlo in un modo nuovo, in un modo definitivo. E questa rivelazione sarà la Pasqua, dove il Figlio svelerà il Padre fidandosi totalmente di Lui, e il Padre svelerà il Figlio ridonandogli la vita e facendolo risorgere.

 Non è un caso, quindi, che sul monte della trasfigurazione ci siano Mosè ed Elia.

 Perché Mosè ed Elia sono, nella storia della salvezza, i due più grandi testimoni che Dio si rivela.

 Anche loro, un giorno, sono saliti su un monte e hanno conosciuto Dio più da vicino (Es 19.33.34; 1Re19); e hanno iniziato a comprendere proprio qualcosa che ha uno stretto legame con la Pasqua di Gesù.

 Mosè, sul monte, ha conosciuto che il nome di Dio è misericordia, che è lento all’ira, che perdona la colpa del suo popolo, che non lo distrugge quando il popolo cade nella tentazione e si allontana da Dio.

 Mosè ha conosciuto che Dio si rivela fondamentalmente per un unico fine, che è quello di salvarci, sempre. Elia, sul monte, dopo una lunga fuga, ha conosciuto che Dio si rivela nella mitezza: non nei grandi segni del potere e della forza, ma nell’umile silenzio di una brezza, di un soffio.

 Un passo in più: Mosè ed Elia hanno entrambi pensato che il male si vince con la forza: Mosè ha ucciso un egiziano che angariava un ebreo (Es 2,12); Elia ha addirittura ucciso tutti i profeti di Baal sul monte Carmelo (1Re 18,20-40) pensando di difendere così la vera fede nel Dio unico.

 Ma entrambi, poi, hanno conosciuto un Dio diverso, e un diverso modo di salvare: anche loro si sono convertiti.

 Questo diverso modo di salvare, noi lo vedremo sulla croce, al termine di questo cammino dove anche noi siamo chiamati a convertire la nostra attesa di salvezza, ad aprire il cuore per lasciarci salvare nel modo in cui Dio vuole salvarci.

 Mosè ed Elia sono i nostri compagni di cammino in questa Quaresima, proprio come Giovanni Battista è il compagno del cammino di Avvento, perché anche noi possiamo arrivare a conoscere il Volto di Dio che si rivela dando la vita per noi.

 + Pierbattista

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venerdì 4 agosto 2023

AL DIO BELLISSIMO E GRANDISSIMO

Trasfigurazione del Signore


Dn 7,9-10 / 2Pt 1,16-19 / Mc 9,2-10  -  

Commento di Paolo Curtaz al Vangelo di Domenica 6 Agosto 

Il cuore dell’estate, le città arroventate, l’estate che raggiunge lo zenit. Oggi celebriamo la Trasfigurazione del Signore, brano che leggiamo ogni anno in Quaresima e, più in sordina, all’inizio di Agosto. Quest’anno (ci voleva, con tutto l’immenso dolore che scuote il mondo) sostituisce la domenica e interrompe la serie delle parabole.

 Ironia della sorte: un sei agosto esplose la bomba atomica su Hiroshima, un sei agosto il Signore chiamò a sé l’animo inquieto di san Paolo VI, papa, fragile e possente cercatore di Dio.

 Ci voleva questa domenica in cui si parla di bellezza. Della bellezza di Dio.

 Un Dio felice che mi vuole felice.

 Perché viviamo mondi orribili. E vite vuote e arroventate, rabbiose e scoraggiate. Viviamo in un occidente che sta perdendo il senso della misura, che perde la memoria del suo divenire, che si lascia invadere da qualunque moda, che vive un’idea di bellezza che decidono altri imponendo una griffe, uno stile, un trend.

E tutti a correre, a elemosinare attenzione, un complimento, un giudizio che certifichi la nostra esistenza nello spazio ingombro di un pianeta che esplode, uno di ottomiliardierotti. Disposti a farci tagliare a pezzi e ricucire pur di piacere, a imporci sforzi sovrumani in palestra, diete draconiane per avere un like sui nostri profili social.

 Abbiamo confuso il lusso con la bellezza. Il plauso con la grazia. L’eccesso con l’armonia. Aneliamo a ciò che è bello e grande e buono. Ci accontentiamo di ciò che piace, che pensano tutti, che serve a me.

 Urge bellezza.

 Colline. Salgono sul monte, su un alto monte. In realtà è una collina ma l’amore rende tutto immenso. E lì, annota Matteo, Gesù viene trasfigurato. Svela la sua profonda natura, la sua vera identità. Non si toglie il vestito dozzinale sotto cui si nasconde Superman, no.

 È lo sguardo dei discepoli che cambia. Perché la bellezza, come l’innamoramento, come la fede, sta nel nostro modo di vedere.

 Quando sono innamorato trovo il mio amato il più bello fra tutti. Quando amo una disciplina sportiva sono disposto a sudare e a faticare per praticarla. Quando riesco a orientare la mia mente verso le mie emozioni, colgo la bellezza abbagliante di un paesaggio.

 Molte cose concorrono nella bellezza. Una fra queste, certamente, è lo sguardo interiore capace di cogliere la verità, l’armonia, la pienezza in un oggetto, in un paesaggio, in una persona.

 Possiamo stare con Gesù tutta la vita, e frequentarlo, e credere, e seguirlo. Ma fino a quando il nostro sguardo interiore non si arrende alla sua bellezza, non ne saremo mai definitivamente segnati.

 Accade come sul Sinai, quando Dio si manifesta a Mosè in tutta la sua gloria: le nubi, i fulmini, la voce, l’ombra, la paura. Paura che deriva dall’intensità della bellezza, dall’insopportabilità della visione interiore. Mosè e Elia conversano con Gesù: la Legge e i Profeti si inchinano al rivelatore del Padre. Pietro viene travolto: la bellezza gli ha colmato il cuore.

 Bellezza

 Abbiamo urgente, assoluto bisogno di recuperare il senso del bello nella nostra vita. La bellezza risulta essere una straordinaria forza che ci attira verso Dio, che in sé è armonia, pienezza, verità. Quante volte mi viene da dire, a chi mi chiede ragione della fede: è bello credere. È bello e svela in me e negli altri l’intima e nascosta bellezza che lega le persone, gli avvenimenti, le emozioni.

 Quanti uomini e donne, nella storia, si sono avvicinati alla fede perché attratti dalla bellezza del Cristo, dalla sua ineguagliata umanità, dalla sua profonda tenerezza, dalla sua stupefacente maturità.

 Sì: è bello essere qui, Signore, è bello essere tuoi discepoli. Così gli apostoli, scesi dal Tabor, dovranno salire su un’altra collina, il Golgota. Lì la loro fede sarà macinata, seminata, resa pura. Dopo, avere sperimentato la bellezza.

 Solo l’esperienza della gloria di Dio ci permette di affrontare il dolore. Senza coinvolgimento emotivo, senza reale bellezza, senza entusiasmo, è difficile essere credenti, è difficile restare cristiani. Il nostro mondo ha bisogno di bellezza, di armonia.  Nel caos dell’eccesso (che di bello ha l’apparenza, ma che spesso nasconde il nulla) il nostro mondo può imparare dal cristianesimo la bellezza della fede, della preghiera, del silenzio, del gesto d’amore verso il fratello.

 La strada della bellezza

 È noioso credere. È giusto – certo – ma immensamente noioso. Il Vangelo di oggi ci dice, al contrario, che credere può essere splendido. Varrebbe la pena di ricuperare il senso dello stupore e della bellezza, l’ascolto dell’interiorità che ci porta in alto, sul monte, a fissare lo sguardo su Cristo.

 E dare tempo al “dentro”, all’anima, all’ascolto, al silenzio, al fruscio del vento, al calore del sole sulla pelle, all’odore del muschio o dell’erba, ai rumori del bosco e del mare. Alla discreta e grandiosa presenza di Dio nella natura, quella in cui possiamo trovare, come un’impronta, il suo silenzioso sorriso. E la preghiera. Intensa. Vera. Umile. Prostrata. Stupita. Aperta al mistero.

 Facciamo delle nostre messe dei luoghi di bellezza: il silenzio, il canto, la fede, il luogo in cui preghiamo, può riportare un briciolo di bellezza nella nostra quotidianità. E accorgerci che credere è la cosa più bella che possiamo sperimentare nella nostra vita.

Nella seconda metà dell’Ottocento una delle chiese parrocchiali della mia diocesi, Saint Georges, venne affrescata da un modesto artista del luogo, tale Grange. Il parroco di allora, don Thèrisod, suggerì al decoratore cosa scrivere, inserendo delle frasi in ebraico e in greco (!) qua e là nel coro e nella navata. Sopra le canne dell’altare, in un luogo che solo dall’altare maggiore si riesce a vedere, il parroco fece scrivere, in greco, la dedica del lavoro (e della sua vita):

 Tzeu kallisto kai meggisto, Al Dio grandissimo e bellissimo.

 

Paolo Curtaz

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sabato 4 marzo 2023

VERITA' E' LA FIORITURA DELL'ESSERE

-  II Domenica di Quaresima

- (Letture: Genesi 12, 1-4; Salmo 32; 2 Timoteo 1,8-10; Matteo 17, 1-9)

 -  "In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui (...)"

 - Commento di p. Ermes Ronchi

La Quaresima, quel tempo che diresti sotto il segno della penitenza, ci spiazza subito con un Vangelo pieno di sole e di luce. Dai 40 giorni del deserto di sabbia, al monte della trasfigurazione; dall’arsura gialla, ai volti vestiti di sole. La Quaresima ha il passo delle stagioni, inizia in inverno e termina in primavera, quando la vita intera mostra la sua verità profonda, che un poeta esprime così: «Tu sei per me ciò ch’è la primavera per i fiori» (G. Centore). «Verità è la fioritura dell’essere» (R. Guardini). «Il Regno dei cieli verrà con il fiorire della vita in tutte le sue forme» (G. Vannucci). 

Il percorso della realtà è come quello dello spirito: un crescere della vita. Gesù prende con sé i tre discepoli più attenti, chiama di nuovo i primi chiamati, e li conduce sopra un alto monte, in disparte. Geografia santa: li conduce in alto, là dove la terra s’innalza nella luce, dove l’azzurro trascolora dolcemente nella neve, dove nascono le acque che fecondano la terra. «E si trasfigurò davanti ai loro occhi». 

Nessun dettaglio è riferito se non quello delle vesti di Gesù diventate splendenti. La luce è così eccessiva che non si limita al corpo, ma dilaga verso l’esterno, cattura la materia degli abiti e la trasfigura. Le vesti e il volto di Gesù sono la scrittura, anzi la calligrafia del cuore. L’entusiasmo di Pietro, quella esclamazione stupita: che bello qui! Ci fanno capire che la fede per essere pane, per essere vigorosa, deve discendere da uno stupore, da un innamoramento, da un «che bello»​gridato a pieno cuore. 

Il compito più urgente dei cristiani è ridipingere l’icona di Dio: sentire e raccontare un Dio luminoso, solare, ricco non di troni e di poteri, ma il cui tabernacolo più vero è la luminosità di un volto; un Dio finalmente bello, come sul Tabor. Ma a noi non interessa un Dio che illumini solo se stesso e non illumini l’uomo, «non ci interessa un divino che non faccia fiorire l’umano. Un Dio cui non corrisponda la fioritura dell’umano, il rigoglio della vita, non merita che a Lui ci dedichiamo» (D. Bonhoeffer). 

Come Pietro, siamo tutti mendicanti di luce. Vogliamo vedere il mondo in altra luce, venire davvero alla luce, perché noi nasciamo a metà, e tutta la vita ci serve per nascere del tutto. Viene una nube, e dalla nube una Voce, che indica il primo passo: ascoltate lui! Il Dio che non ha volto ha invece una voce. Gesù è la Voce diventata Volto e corpo. Il suo occhi e le sue mani sono il visibile parlare di Dio.

 Come il Signore Gesù abbiamo dentro non un cuore di tenebra ma un seme di luce. La via cristiana altro non è che la fatica gioiosa di liberare tutta la luce e la bellezza seminate in noi.

 

www.avvenire.it

 

sabato 12 marzo 2022

UNA METAMORFOSI


-  Seconda domenica di Quaresima, anno di Luca -

Gn 15,5-12.17-18/ Fil 3,17-4,1/Lc 9,28-36


- Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.

Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.

Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva.

Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.


Commento di p. Paolo Curtaz

In questi giorni, due anni fa, sprofondavamo repentinamente nell’incubo della pandemia.

Due anni di paura, di lutti, di limitazione della libertà, di contrapposizione, di stanchezza, di vittimismo. Ora, però, lentamente, si vede qualche spiraglio all’orizzonte.

E poi arriva la guerra. Ombre minacciose per chi, come quelli della mia generazione, hanno visto la sfida muscolare fra le due superpotenze di allora a colpi di minaccia nucleare.

E di nuovo titoloni sui giornali, immagini di bombardamenti, bambini uccisi.

Mai una gioia.

Sì, ho paura, e sono stanco. Lo ammetto. E vorrei scappare via ma non so dove.  E mi vedo Dio, il mio Dio, scuotere la testa.  Gli chiediamo di fermare le guerre, dopo averle fomentate. Teneri. Idioti.

Urge una cambiamento.

Di sguardo, di stile, di azioni. Di fede. Urge una metamorfosi. Seguitemi.

Sul monte

Un cambiamento. Per superare la tentazione della disperazione. O della violenza.

Come ci diceva Luca domenica scorsa, la tentazione, il cui termine significa “passare attraverso”, è la dimensione abituale in cui viviamo e ci colpisce proprio perché credenti e pieni di Spirito Santo. Paradossalmente, è buon segno essere tentati, significa che siamo nella logica della conversione. 

Se siamo tentati è perché siamo credenti. È il Tabor l’obiettivo della nostra Quaresima. La bellezza e la gioia ci attendono, lì vogliamo andare, lì vogliamo orientare la nostra vita. Non per fuggire la realtà ingombrante, ma per trasfigurarla. 

Viviamo un tempo in cui si coltiva la disarmonia. Nelle parole, nei discorsi, finanche nei nostri quartieri. Si confonde lusso con bellezza, ricchezza con splendore.

Eppure, senza bellezza il cuore appassisce. Senza il bello che sfiora il bene e il giusto, l’anima si asciuga fino a seccare.

Uno sguardo nuovo

Lo conoscono da tempo, quel falegname diventato rabbino.  Ne hanno ascoltato le parole, ne hanno ammirato la profondità e la pacatezza, ne hanno amato la visione delle cose. Ma ora, sul Tabor, cambia il loro modo di vederlo. La bellezza è nel nostro sguardo, non nelle cose o nelle persone. E ora i discepoli lo vedono con gli occhi del cuore. 

Quanto è bello vedere la bellezza di Dio! Quanto riconoscere, nell’umanissimo volto del Signore Gesù, la trasparenza sorridente del volto del Padre!

E quanta bellezza manca, alla nostra fede! Abbiamo costretto l’esperienza della fede nelle categorie della giustizia e della moralità.

È giusto e doveroso credere in Dio, pensiamo.

È bellissimo, replicano gli apostoli. Una bellezza che supera ogni altra bellezza, che illumina e ridimensiona ogni altra gioia che in Dio, e solo in Dio, acquista spessore e speranza di immortalità.

Questa bellezza cerchiamo, quando ci inoltriamo nel deserto della Quaresima.  Nella follia dell’uomo che si crede dio. Cerchiamo il Dio bellissimo, altro che.

Nella preghiera

Luca scrive che Gesù è salito sul Tabor per pregare e che è in preghiera, mentre si trasfigura, come ad indicare che solo in un profondo cammino di interiorità possiamo scoprire la bellezza di appartenere a Dio.

Perciò è urgente riscoprire nella nostra fede l’aspetto della preghiera come incontro intimo e fecondo con la Parola di Dio, per farne una lettura orante, prolungata e feconda.

Ci parla del suo volto trasformato, che cambia d’aspetto: come quando si è innamorati, come quando si è felici, come quando torniamo da un’esperienza di fede straordinaria. Si vede, se abbiamo incontrato la bellezza di Dio, non abbiamo bisogno di parlarne troppo a lungo.

Gesù parla con Elia e Mosè, i profeti e la Legge, per dare pienezza alla sua rivelazione. Ma solo Luca ci dice che parla del suo esodo, della sua dipartita. Sono passati otto giorni dall’annuncio che Gesù ha fatto ai suoi discepoli riguardo alla brutta piega che stanno prendendo gli eventi e di una sua possibile morte all’orizzonte. 

Oggi veniamo a sapere da Luca che proprio qui, nella gloria, Gesù riceve conferma di ciò e una chiave di lettura del dolore che sta per affrontare. Quando siamo sul Tabor capiamo che la vita reale è fatta anche di croci e di sconfitte, di dolore e di delusioni. Solo nella bellezza possiamo affrontare il dolore.

Sono oppressi dal sonno, i discepoli, qui come sarà poi nel Getsemani. Per vedere la bellezza di Dio dobbiamo duramente lottare, combattere, restare svegli. Oggi restare cristiani richiede uno sforzo immane, sovrumano, che solo lo Spirito ci permette di realizzare. Evitiamo di costruire delle tende per “bloccare” il Signore nel momento della gloria. Se abbiamo la gioia di vedere la bellezza di Dio è per portarla con noi nella città.

Nell’ascolto

La nostra non è la fede delle visioni, ma dell’ascolto. E questa pagina lo conferma. Se la preghiera ci conduce nel luogo interiore dove si trova lo sguardo di Dio sul mondo, l’ascolto della Parola è l’invito che il Padre rivolge a tutti noi.

Ascolto che richiede attenzione. Ascolto che richiede silenzio. Ascolto che richiede desiderio. Come quando raccogliamo le parole preziose di una persona che amiamo.

Sia, questa salita al Tabor, l’occasione per ascoltare meglio. Il nostro io profondo, anzitutto, senza vivere in superficie. Chi ci sta attorno, per migliorare la qualità delle nostre conversazioni, pesando e pensando le parole da pronunciare. Riprendendo in mano, quotidianamente, il Vangelo che ci aiuta a rileggere la vita.

 Allora il nostro sguardo vedrà la metamorfosi, la trasfigurazione, che avviene attorno e dentro di noi quando prendiamo sul serio Dio.

E voglio iniziare da me: sapendomi amato, voglio costruire un metro quadrato di pace assoluta intorno a me.

PAOLO CURTAZ

 

 

 

 

venerdì 6 agosto 2021

LAMPADE DI SPERANZA

Francesco: farsi lampade del Vangelo per portare speranza

Nella festa della Trasfigurazione del Signore, riproponiamo le parole del Papa che esorta a cogliere la luce di questo momento per farsi “segno dell’amore concreto di Dio. In un tweet ricorda che investiti della grazia possiamo diventare luce per gli altri

-        di Benedetta Capelli –

  

“La festa della Trasfigurazione del Signore ci ricorda che siamo chiamati a fare esperienza dell’incontro con Cristo perché, illuminati della sua luce, possiamo portarla e farla risplendere ovunque come piccole lampade di Vangelo che portano un po’ d’amore e di speranza”. E’ il tweet di Papa Francesco sull’account@Pontifex.

“Un’apparizione pasquale anticipata” ma anche “dono di amore infinito da parte di Gesù” che mostra la gloria della Risurrezione, “uno squarcio di cielo sulla Terra”. Nel suo magistero, Papa Francesco si è soffermato molte volte sul significato della Trasfigurazione, festa che cade il 6 agosto, perché secondo la tradizione sarebbe avvenuta 40 giorni prima della crocifissione, 40 giorni prima della festa dell’Esaltazione della Croce, il 14 settembre.

Barlumi di luce

Salendo al monte insieme a Pietro, Giacomo e Giovanni, Gesù mostrò la sua gloria, trasfigurandosi e splendendo di luce, mettendosi poi in dialogo con Mosè ed Elia. Una luce che è “la luce della speranza, la luce per attraversare le tenebre”. Francesco, all’Angelus del 28 febbraio 2021, spiega che il buio non ha l’ultima parola, che di fronte “ai grandi enigmi” della vita, siamo chiamati a fermarci rivolgendo lo sguardo a Cristo:

Abbiamo bisogno, allora, di un altro sguardo, di una luce che illumini in profondità il mistero della vita e ci aiuti ad andare oltre i nostri schemi e oltre i criteri di questo mondo. Anche noi siamo chiamati a salire sul monte, a contemplare la bellezza del Risorto che accende barlumi di luce in ogni frammento della nostra vita e ci aiuta a interpretare la storia a partire dalla vittoria pasquale.

Il cristiano, piccola lampada del Vangelo

“Il Signore – afferma il Papa all’Angelus del 17 marzo 2019 – ci fa vedere la fine di questo percorso che è la Risurrezione, la bellezza, portando la propria croce, ci invita nella Trasfigurazione a seguire la via dei discepoli, la "prospettiva della sofferenza cristiana" che non è un "sadomasochimo", è un "passaggio necessario ma transitorio” verso la luce.

Saliamo al monte con la preghiera; la preghiera silenziosa, la preghiera del cuore, la preghiera … Sempre cercando il Signore. Rimaniamo qualche momento in raccoglimento, ogni giorno un pochettino, fissiamo lo sguardo interiore sul suo volto e lasciamo che la sua luce ci pervada e si irradi nella nostra vita.

La missione del cristiano

E’ nel tornare dal monte, pieni della luce ricevuta, che si realizza la missione di chi crede. E’ infatti nel volto luminoso di chi prega, nella fiammella che si è accesa nel cuore che si può irradiare la vita degli altri, testimoniando la verità e la fede.

Accendere piccole luci nei cuori delle persone; essere piccole lampade di Vangelo che portano un po’ d’amore e di speranza: questa è la missione del cristiano.

“Trasformati dalla presenza di Cristo e dall’ardore della sua parola, saremo – sottolinea il Papa all’Angelus del 6 agosto 2017 - segno concreto dell’amore vivificante di Dio per tutti i nostri fratelli, specialmente per chi soffre, per quanti si trovano nella solitudine e nell’abbandono, per gli ammalati e per la moltitudine di uomini e di donne che, in diverse parti del mondo, sono umiliati dall’ingiustizia, dalla prepotenza e dalla violenza.”

 

Vatican News