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mercoledì 2 aprile 2025

CI VUOLE PAZIENZA

 


Dicevano i nostri nonni, e con loro tanti psicologi, che uno dei segni della maturità consiste nel saper aspettare, respirare a fondo prima di reagire, senza cedere subito all’ira. Sembra facile riuscirci ma non è così.

Siamo “costruiti” con il desiderio di avere tutto e subito e la pazienza per quanto celebrata è una virtù da sempre fuori moda.

Eppure, guardandoci indietro, ci accorgiamo che, quando abbiamo saputo attendere, i nostri desideri sono stati purificati, a volte li abbiamo persino superati e se si sono realizzati li abbiamo gustati meglio.

Il modello da seguire è quello offerto dai grandi saggi, a loro volta imitatori di Dio che malgrado le nostre infedeltà si mostra lento all’ira, pronto a riannodare ogni volta i rapporti con l’uomo, ben sapendo che tornerà a tradire.

  Al di là degli esempi inarrivabili, la pazienza è importante anche di fronte all’intrecciarsi dei piccoli-grandi problemi della vita quotidiana. Perché facilita i rapporti umani, rafforza la comunità, ci insegna a dare il giusto peso alle cose, a considerare essenziale solo quello che lo è davvero.

Lo esprime bene in questa preghiera il filosofo e storico francese Lucien Jerphagnon (1921-2011) che non si vergogna di ammettere di aver chiesto la pazienza almeno cento volte.

 

«Signore,

per la centesima volta,

vengo a chiederti

la grazia della pazienza.

Ma anche per questa,

dovrò aspettare.

Sarei così contento che la pazienza,

come tutto il resto,

venisse dall'oggi al domani.

Signore, vorrei ritrovare un po'

il senso della natura

e il senso dei suoi ritmi.

Accettare che le messi

abbiano bisogno del sole.

Accettare che gli uomini

abbiano bisogno di sonno.

Accettare che le risposte

abbiano bisogno di riflessione

e di quiete.

Accettare,

senza recriminare

i ritardi voluti dalla natura delle cose.

Accettare infine, Signore,

di vivere secondo la tua volontà,

e non secondo la mia.

Signore,

fa che ami questo scorrere noioso e fecondo

dei giorni e delle stagioni,

questo maturare continuo

dei frutti e delle parole.

Concedimi di saper attendere

che venga la pazienza».

 

www.avvenire.it 

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giovedì 28 marzo 2024

COLTIVARE LA PAZIENZA


La pazienza 

è 

la “vitamina

 essenziale” 

del cristiano

All’udienza generale, il Papa dedica la catechesi alla virtù che ha come radice l'amore con cui Cristo risponde alle sofferenze: non c’è cosa, per quanto piccola, purché sopportata per amore di Dio, che passi senza ricompensa presso Dio

 


-         di Tiziana Campisi - Città del Vaticano

-          

La pazienza è quella virtù che Gesù ci mostra nella Passione, “con mitezza e mansuetudine”, infatti, “accetta di essere arrestato, schiaffeggiato e condannato ingiustamente”. Alla vigilia del Triduo Pasquale, il Papa lo spiega nella sua terza catechesi dedicata alle virtù, all’udienza generale spostata per via della pioggia da Piazza San Pietro, dov'era programmata, in Aula Paolo VI. "È vero che sarete un po’ ammucchiati, ma almeno saremo non bagnati", scherza Francesco all'inizio, affrontando poi il testo della catechesi in prima persona, senza l'ausilio di un lettore come avvenuto nelle ultime settimane per via della bronchite che lo aveva colpito.

I Vangeli, osserva il Papa, raccontano che Cristo “davanti a Pilato non recrimina; sopporta gli insulti, gli sputi e la flagellazione dei soldati; porta il peso della croce; perdona chi lo inchioda al legno e sulla croce non risponde alle provocazioni, ma offre misericordia”; tutto questo, sottolinea Francesco, ci offre un insegnamento.

La pazienza di Gesù non consiste in una stoica resistenza nel soffrire, ma è il frutto di un amore più grande.

Il primo tratto di ogni grande amore

La Bibbia ci rivela più volte che “Dio, di fronte alla nostra infedeltà, si mostra ‘lento all’ira’”, fa notare il Papa, e non sfoga “il proprio disgusto per il male e il peccato dell’uomo”, semmai è “pronto ogni volta a ricominciare da capo con infinita pazienza”. E se per San Paolo questo proporre il perdono davanti al peccato “è il primo tratto dell’amore di Dio”, per Francesco è anche “il primo tratto di ogni grande amore, che sa rispondere al male col bene, che non si chiude nella rabbia e nello sconforto, ma persevera e rilancia. La pazienza che ricomincia”.

Alla radice della pazienza c’è l’amore, come dice Sant’Agostino: “Uno è tanto più forte a sopportare qualunque male, quanto in lui è maggiore l’amore di Dio”.

Una virtù di cui si è spesso carenti

Dunque, testimonia l’amore di Gesù il “cristiano paziente”, sottolinea Francesco, che richiama anche l’esempio di “mamme e papà, lavoratori, medici e infermieri, ammalati che ogni giorno, nel nascondimento, abbelliscono il mondo con una santa pazienza”, virtù che non sempre si possiede.

Siamo spesso carenti di pazienza. Nel quotidiano siamo impazienti, tutti. Ne abbiamo bisogno come della “vitamina essenziale” per andare avanti, ma ci viene istintivo spazientirci - è un istinto spazientirci - e rispondere al male col male: è difficile stare calmi, controllare l’istinto, trattenere brutte risposte, disinnescare litigi e conflitti in famiglia, al lavoro, o nella comunità cristiana. Subito viene la risposta; non siamo capaci di stare pazienti.

Andare controcorrente e attendere

Ma come essere pazienti? Per il Papa occorre “andare controcorrente rispetto alla mentalità oggi diffusa, in cui dominano la fretta e il ‘tutto e subito’; dove, anziché attendere che maturino le situazioni, si spremono le persone, pretendendo che cambino all’istante”. Tra l'altro fretta e impazienza sono "nemiche della vita spirituale", avverte Francesco, Dio, invece "è amore, e chi ama non si stanca, non è irascibile, non dà ultimatum. Dio è paziente, Dio sa attendere”.

Assimilare la pazienza del Crocifisso

Per accrescere, poi, la pazienza, che è “un frutto dello Spirito Santo”, occorre pregare e chiederla “allo Spirito di Cristo”, raccomanda il Papa.

Specialmente in questi giorni ci farà bene contemplare il Crocifisso per assimilarne la pazienza. Un bell’esercizio è anche quello di portare a Lui le persone più fastidiose, domandando la grazia di mettere in pratica nei loro riguardi quell’opera di misericordia tanto nota quanto disattesa: sopportare pazientemente le persone moleste. 

Con lo sguardo di Dio

Non è facile tollerare coloro che sono molesti, riconosce il Pontefice, ma nella preghiera si può chiedere di guardarli "con compassione, con lo sguardo di Dio, sapendo distinguere i loro volti dai loro sbagli".

Noi abbiamo l’abitudine di catalogare le persone con gli sbagli che fanno. No, non è buono questo. Cerchiamo le persone per i loro volti, per il loro cuore e non per gli sbagli!

Ampliare lo sguardo

Infine, la pazienza va coltivata, e per questo “è bene ampliare lo sguardo”, ad esempio non restringendolo soltanto ai propri guai, è il suggerimento di Francesco, ma volgendolo alle sofferenze più gravi degli altri per imparare a sopportare le proprie, come invita a fare l’Imitazione di Cristo, “ricordando che ‘non c’è cosa, per quanto piccola, purché sopportata per amore di Dio, che passi senza ricompensa presso Dio’”. "Pazienza è saper sopportare i mali", conclude il Papa, e quando ci si sente “nella morsa della prova”, c'è da aprirsi fiduciosamente e “con speranza alla novità di Dio”, perché Lui “non lascia deluse le nostre attese”.

 

Vatican News



  

venerdì 24 marzo 2023

LA PAZIENZA FA BENE

La pazienza c’insegna a portare non solo con forza ma con grazia, il peso della vita: la pazienza è bellezza.
(Nicolò Tommaseo)

Questo libro ci mostra chiaramente che non è necessario nascere pazienti, ma che tutti lo possiamo diventare. 

Attraverso consigli concreti, approfondimenti e storie illuminanti, l'autore ci rivela come e perché farlo.  Il tutto con taglio pratico e ispirazionale allo stesso tempo. 

Nell'immaginario comune spesso la pazienza è associata alla pigrizia e all'immobilità. Niente di più sbagliato. 

La pazienza è quel mix di costanza, perseveranza e capacità di attendere che da sempre ha contraddistinto le grandi donne e i grandi uomini. 

Un libro perfetto per chiunque senta la necessità di trovare un equilibrio nella propria vita privata e lavorativa.


mercoledì 13 maggio 2020

PAZIENZA IN TEMPO DI PANDEMIA


Pazienza, 
la virtù del quotidiano

Pazienza? Continueremo ad averne bisogno, sarebbe imprudente pensare che tutta questa storia sia finita. 
Ma non è solo una qualità necessaria dell’amore verso gli altri: è anche una dimensione della nostra fede

di p. FEDERICO LOMBARDI

Sia nel tempo dell’isolamento per la pandemia, sia nel tempo della ripresa di relazioni e attività, è stata richiesta e continua ad essere richiesta a tutti noi una grande quantità di pazienza, a cui probabilmente non eravamo abituati. Vivere così a lungo insieme in famiglia nello spazio limitato di un alloggio, senza poter ricorrere a evasioni o distensioni o incontri alternativi abituali, sentendo oltretutto la pressione della paura del contagio e delle preoccupazioni per il futuro, mette certamente alla prova l’equilibrio e la solidità delle nostre relazioni. E non è molto diverso nelle comunità, anche in quelle religiose, nonostante i tempi di preghiera e le regole consolidate di comportamento. Tensione, incertezza, nervosismo si sono fatti molto sentire anche nel caso dell’assenza di contagi effettivi.
Fra le molte virtù che in questo periodo sono diventate più preziose del solito c’è dunque pure quella della pazienza. E penso che continueremo ad averne bisogno perché, come sappiamo, sarebbe molto imprudente pensare che tutta questa storia sia già finita.
La pazienza è una virtù del quotidiano. Senza di essa i rapporti di coppia, di famiglia, di lavoro diventano prima o dopo sempre più tesi, segnati da urti o conflitti, alla fine forse addirittura invivibili. C’è da crescere in una scuola di accoglienza e accettazione vicendevole che anche se bella, ha pure i suoi aspetti logoranti. Ma il modo oggi comune di pensare non ci aiuta ad assumere questa fatica come prezzo di qualcosa di grande. Anzi, spesso alimenta l’insofferenza e la critica dei difetti e dei limiti degli altri e propone molto facilmente e rapidamente la rottura come l’unica soluzione dei problemi. Ma è giusto?
L’ “Inno alla carità” che San Paolo eleva nella sua prima lettera ai Corinzi (c.13, 1-13), non va considerato come un sublime testo poetico, ma come uno “specchio” in cui possiamo verificare se la nostra carità rimane solo una parola vana o sa tradursi in concreti atteggiamenti quotidiani. San Paolo enumera ben 15 di questi atteggiamenti. Il primo è: “la carità è paziente”; l’ultimo è: “la carità tutto sopporta”. E anche diversi altri fra quelli enumerati hanno molto a che fare con la “carità paziente”. Così, la carità “è benigna… non si adira… non tiene conto del male ricevuto…”.
Ma la pazienza non è solo una qualità necessaria dell’amore quotidiano verso i nostri cari e tutti gli altri con cui dobbiamo convivere. È anche una dimensione della nostra fede e della nostra speranza attraverso tutte le vicende della vita e della storia. San Giacomo ci invita a guardare al contadino, come colui che sa che bisogna aspettare: “Siate dunque pazienti, fratelli, fino alla venuta del Signore. Guardate il contadino: egli aspetta pazientemente il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le piogge d’autunno e le piogge di primavera. Siate pazienti anche voi, rinfrancate i vostri cuori” (Giac 5, 7-8).
Per i primi cristiani la pazienza è strettamente legata alla perseveranza nella fede durante le persecuzioni e le difficoltà cui sono esposti come fragile e piccola comunità nelle vicende della storia. Perciò parlare di pazienza è anche sempre parlare di prova, di sofferenza attraverso cui siamo chiamati a passare nel nostro cammino. San Paolo ci coinvolge in una dinamica che ci prende e ci porta lontano. In questa dinamica la pazienza è un passaggio inevitabile: “La tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rom 5,3-5).
La prova della pandemia è certo causa di tribolazione per molte ragioni diverse, richiede carità paziente nei rapporti con gli altri a noi vicini, richiede pazienza nella malattia, richiede pazienza lungimirante nei modi di combattere il virus e di riprendere il cammino in solidarietà con la comunità ecclesiale e la comunità civile di cui facciamo parte. Sapremo superare il nervosismo, la stanchezza e la chiusura in noi stessi per rinfrancare i nostri cuori nella virtù provata e nella speranza? La Lettera agli Ebrei (c.12) ci invita a tener fisso lo sguardo su Gesù come esempio di pazienza e perseveranza nella prova. E Gesù, al termine del suo discorso sulle tribolazioni che i suoi discepoli dovranno attraversare, ma in cui non li abbandonerà, ci dice una parola preziosa per accompagnarci sempre, anche oggi: “Nella vostra pazienza guadagnerete le vostre vite!” (Lc 21,19).






venerdì 15 febbraio 2019

UMORISMO, PRIVILEGIO DIVINO DELLE PERSONE AMATE

Il porporato ricorda che il credente rischia di essere miope, di non mettere a fuoco le tante benedizioni divine con cui viene a contatto.
E questo accade per tanti motivi: ansietà nervosa, violenza, accidia comoda, falsa spiritualità. 
E tutto ciò “rende tristi, di una tristezza che non è il capriccio frustrato del bambino, ma qualcosa di più profondo: una sorta di alzheimer dello spirito per cui non cogliamo più la bellezza, la grazia, I’ opportunità divina”.
Ecco perché il cristiano deve essere gioioso: “chi è contento non fa peccati! Per peccare bisogna essere tristi: quali possono essere le caratteristiche di una santità quotidiana capace di riaccendere in noi la santa letizia? Prima di tutto la pazienza. Attenzione: la pazienza non è la virtù degli sconfitti, ma dei potenti. Il paziente inarrivabile è Dio”.
Insieme alla pazienza, ecco “la contentezza, l’umorismo. Noi cristiani che siamo figli di Dio non possiamo permetterci il lusso di scoraggiarci, di sentirci abbandonati. L’umorismo è il privilegio divino delle persone amate
Una comunità di figli di Dio progredisce se c'è anche chi sa smitizzare, far sorridere, sgonfiare le tensioni con una battuta. L'umorista cristiano sa una cosa semplicissima: che solo Dio è buono”.
“Come crescere nella contentezza, nell’umorismo? - si chiede, concludendo, il Vicario di Roma -  due semplici accortezze: l'umorismo cristiano è proprio di chi ha smesso le vesti dell'onnipotenza
ln tal senso l'umile è sempre contento, perché non ha più pretese sulla vita, non la violenta, non la spreme per ottenere il soddisfacimento dei suoi sogni adolescenziali. 
L'umorismo cristiano, poi, richiede di dementalizzarci, cioè di non ridurre tutto a ragionamento. spesso facciamo l'errore di scambiare i nostri processi mentali con la verità di noi stessi. Non è così! Noi abbiamo preoccupazioni, dolori, ma non siamo le nostre preoccupazioni, i nostri dolori. Siamo solo figli. Ecco la verità che ci salva da noi stessi.

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mercoledì 31 gennaio 2018

SAN GIOVANNI BOSCO. SETTE CONSIGLI PER L'EDUCATORE

"L'educazione 
è cosa del cuore"
Una delle sfide più grandi quando si educa un bambino è sapere come e quando esercitare la disciplina. Cosa deve fare un genitore (o un insegnante) quando un bambino conosce i bottoni da spingere per sfidarlo al massimo e niente sembra funzionare?
Don Bosco sa precisamente cosa state attraversando, perché ha dedicato tutta la sua vita a formare ragazzi. Ha preso centinaia di giovani svantaggiati, educandoli e impiegando tutte le proprie energie per trasformarli in uomini che potessero servire la società.
Man mano che i suoi sforzi aumentavano, Don Bosco ha avuto bisogno dell’aiuto di altri, e questo significava anche formare nuovi insegnanti.
Nelle sue lettere agli insegnanti, Giovanni Bosco delineava un dettagliato “Sistema Preventivo” di educazione che mirava a disporre “i ragazzi a obbedire non per paura o obbligo, ma in virtù della persuasione. In questo sistema ogni forma di forza dev’essere esclusa, e al suo posto la principale molla d’azione dev’essere la carità”.
Ecco sette suggerimenti che San Giovanni Bosco dava ai suoi insegnanti e che sono rilevanti ancora oggi, potendo aiutare i genitori stanchi o gli insegnanti frustrati a guidare i bambini sulla via della virtù:
1) La punizione dovrebbe essere l’ultima ratio
Nella mia lunga carriera di educatore, quanto spesso l’ho dovuto constatare! Non c’è dubbio che sia dieci volte più semplice perdere la pazienza che controllarla, minacciare un ragazzo che persuaderlo. È altrettanto indubbio che sia molto più gratificante per il nostro orgoglio punire chi ci oppone resistenza piuttosto che affrontarlo con ferma gentilezza. San Paolo lamentava spesso come alcuni convertiti alla fede tornassero troppo facilmente alle loro abitudini inveterate, e tuttavia sopportava tutto questo con pazienza ammirevole. È questo il tipo di pazienza di cui abbiamo bisogno quando ci rapportiamo ai giovani.
2) L’educatore tra gli allievi cerchi di farsi amare, se vuole farsi temere
In questo caso la sottrazione di benevolenza è un castigo, ma un castigo che eccita l’emulazione, dà coraggio e non avvilisce mai. Ogni educatore deve farsi amare se vuole essere temuto. Raggiungerà questo grande scopo se farà capire chiaramente con le parole, e ancor più con le azioni, che tutta la sua cura e la sua sollecitudine sono volte al benessere temporale e spirituale dei suoi allievi.
3) Eccettuati rarissimi casi, le correzioni, i castighi non si diano mai in pubblico, ma privatamente, lungi dai compagni
Bisogna quindi correggere con la pazienza di un padre, e mai, per quanto possibile, correggere in pubblico, ma in privato – o come si dice in camera caritatis –, lontano dagli altri. Solo nel caso in cui si debba evitare o rimediare a uno scandalo serio permetterei correzioni o punizioni pubbliche.
4) Il percuotere in qualunque modo, il mettere in ginocchio con posizione dolorosa, il tirar le orecchie ed altri castighi simili debbonsi assolutamente evitare
Sono proibiti dalle leggi civili. Irritano grandemente i giovani ed avviliscono l’educatore.
5) L’educatore faccia ben conoscere le regole, i premi ed i castighi stabiliti dalle leggi di disciplina, affinché l’allievo non si possa scusare dicendo che non sapeva che ciò fosse comandato o proibito
[In altre parole, i bambini hanno bisogno di confini e vi rispondono bene. Nessuno si sente sicuro se viene lasciato a briglia sciolta]
6) Quando è una questione di dovere, siate fermi nel perseguire ciò che è buono e coraggiosi nell’evitare il male, ma sempre gentili e prudenti. Vi assicuro che il vero successo può derivare solo dalla pazienza
L’impazienza non piace agli allievi e diffonde malcontento tra i migliori di loro. La lunga esperienza mi ha insegnato che la pazienza è l’unico rimedio anche per i peggiori casi di disobbedienza e irresponsabilità tra i ragazzi. A volte, dopo aver compiuto molti sforzi pazienti senza successo, ho ritenuto necessario ricorrere a misure severe, ma queste non hanno mai ottenuto niente, e alla fine ho sempre verificato che la carità ha trionfato dove la severità aveva fallito. La carità è la cura di tutto, anche se può essere lenta nel raggiungere i suoi obiettivi.
7) Per essere veri padri nel rapportarci ai giovani, non dobbiamo permettere che l’ombra della rabbia offuschi il nostro volto.
Se a volte veniamo colti di sorpresa, lasciamo che la serenità della nostra mente disperda immediatamente le nuvole dell’impazienza. L’autocontrollo deve regnare su tutto il nostro essere – mente, cuore e labbra. Quando qualcuno sbaglia, nutrite per lui simpatia nel vostro cuore e speranza nella vostra mente, e allora potrete correggerlo con profitto.
In certi momenti difficili, un’umile preghiera a Dio è molto più utile di un violento accesso di rabbia. I vostri ragazzi non trarranno sicuramente alcun profitto dalla vostra impazienza, e non sarete un esempio edificante per nessuno che vi stia osservando.
Da Aleteia

giovedì 12 ottobre 2017

SCRUTARE LA STORIA CON FIDUCIA E SPERANZA

Papa Francesco: " ......... Il cristiano non è fatto per la noia; semmai per la pazienza. Sa che anche nella monotonia di certi giorni sempre uguali è nascosto un mistero di grazia. Ci sono persone che con la perseveranza del loro amore diventano come pozzi che irrigano il deserto. Nulla avviene invano, e nessuna situazione in cui un cristiano si trova immerso è completamente refrattaria all’amore. Nessuna notte è così lunga da far dimenticare la gioia dell’aurora. E quanto più oscura è la notte, tanto più vicina è l’aurora. Se rimaniamo uniti a Gesù, il freddo dei momenti difficili non ci paralizza; e se anche il mondo intero predicasse contro la speranza, se dicesse che il futuro porterà solo nubi oscure, il cristiano sa che in quello stesso futuro c’è il ritorno di Cristo. Quando questo succederà, nessuno lo sa ma il pensiero che al termine della nostra storia c’è Gesù Misericordioso, basta per avere fiducia e non maledire la vita. Tutto verrà salvato. Tutto. Soffriremo, ci saranno momenti che suscitano rabbia e indignazione, ma la dolce e potente memoria di Cristo scaccerà la tentazione di pensare che questa vita è sbagliata.
       Dopo aver conosciuto Gesù, noi non possiamo far altro che scrutare la storia con fiducia e speranza. Gesù è come una casa, e noi ci siamo dentro, e dalle finestre di questa casa noi guardiamo il mondo. Perciò non ci richiudiamo in noi stessi, non rimpiangiamo con malinconia un passato che si presume dorato, ma guardiamo sempre avanti, a un futuro che non è solo opera delle nostre mani, ma che anzitutto è una preoccupazione costante della provvidenza di Dio. Tutto ciò che è opaco un giorno diventerà luce.
       E pensiamo che Dio non smentisce sé stesso. Mai. Dio non delude mai. La sua volontà nei nostri confronti non è nebulosa, ma è un progetto di salvezza ben delineato: «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità» (1 Tm 2,4). Per cui non ci abbandoniamo al fluire degli eventi con pessimismo, come se la storia fosse un treno di cui si è perso il controllo. La rassegnazione non è una virtù cristiana. Come non è da cristiani alzare le spalle o piegare la testa davanti a un destino che ci sembra ineluttabile.
       Chi reca speranza al mondo non è mai una persona remissiva. Gesù ci raccomanda di attenderlo senza stare con le mani in mano: «Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli» (Lc 12,37). Non c’è costruttore di pace che alla fine dei conti non abbia compromesso la sua pace personale, assumendo i problemi degli altri. La persona remissiva, non è un costruttore di pace ma è un pigro, uno che vuole stare comodo. Mentre il cristiano è costruttore di pace quando rischia, quando ha il coraggio di rischiare per portare il bene, il bene che Gesù ci ha donato, ci ha dato come un tesoro...... " 


lunedì 11 aprile 2016

QUANDO UNA PERSONA E' MOLESTA ....

Sopportare pazientemente le persone moleste: difficile ma necessario

Saper trattare con persone ‘irritanti’ è un favoloso concime per l’albero della nostra pazienza
 “Senti Cri, ma tu cosa pensi del fatto di dover sopportare pazientemente le persone moleste?”. Oramai saranno passati un paio di mesi da quando, una mattina, accendendo il cellulare, ho letto questo messaggio su WhatsApp. Un paio di mesi in cui ho tatticamente rimandato una risposta, per me difficile da dare. Il fatto è che io faccio una gran fatica a sopportare i molesti. Rimango sempre ammirata quando vedo qualcuno che, di fronte a persone irritanti ed antipatiche, reagiscono con la santa pazienza (e qui il termine “santa” ci sta davvero bene). Anzi: più che ammirata, ne rimango affascinata. Il motivo è che percepisco che intorno alla pazienza c’è un grande potere: quello di far germogliare anche le pietre (a condizione di saper aspettare, ovviamente).
“Con il tempo e la pazienza, ogni foglia di gelso diventa seta”, diceva Confucio.  Pazientare, attendere, aspettare… azioni misteriose in una società fondata sui sughi pronti, sulle ricette di torte veloci e sulle cene surgelate. “Sopportare pazientemente le persone moleste”; sorprendentemente attuale questa sesta opera di misericordia spirituale. Oggi, infatti, ......