La
tecnologia a prezzo dell’ambiente?
Quasi
nessuno sa che l’intelligenza artificiale
non solo produce altissime quantità
di CO2,
ma rende ancora più esigue le riserve d’acqua di qualità.
-di
Roberto Reale
Per
affrontare il tema delle «intelligenze artificiali», a che cosa ci serve una
riflessione etica? La domanda pone in realtà un interrogativo su noi stessi:
che cosa dobbiamo fare per evitare di essere travolti dalla velocità delle
trasformazioni, per impedire che a decidere tutto siano «spensierati»
imprenditori e programmatori? Di fronte alla potenza delle macchine, «l’uomo è
antiquato» scriveva profeticamente un filosofo già nel 1956. Figuriamoci nel
2024, nell’epoca della «convergenza digitale» in cui adoperiamo strumenti della
cui logica comprendiamo poco o nulla. E allora che fare? Tema ricorrente di
questa rubrica è che non ci si debba far abbagliare da «allucinazioni
fantascientifiche» ma partire piuttosto da quello che già ora sta capitando
all’umanità.
Un
esempio? C’è un aspetto ignoto all’opinione pubblica italiana, riguarda i costi
ambientali generati dai grandi server informatici utilizzati per l’IA. Negli
Stati Uniti, documentate inchieste giornalistiche hanno denunciato il rischio
che vaste aree del Paese possano rimanere a breve a corto di energia elettrica
a causa della crescita esponenziale della domanda. E chi lo produce questo
squilibrio già così allarmante in Georgia, Arizona, Texas? Sono i giganteschi
data center, gli enormi impianti dove vengono raccolti i dati utilizzati dalla
«intelligenza generativa» per rispondere alle nostre domande di testi,
immagini, video, musica. Si tratta di infrastrutture informatiche che consumano
una quantità di energia molto maggiore rispetto ai centri elaborazione dati
tradizionali.
In
un suo recentissimo documento, l’agenzia governativa USA che si occupa di
tecnologie ha stimato che l’addestramento di un singolo modello di IA
generativa può determinare l’emissione di una quantità di CO2 pari a quella di
trecento voli fra New York e San Francisco andata e ritorno. Per questa
ragione, grandi compagnie come Amazon, Apple, Google, Meta, Microsoft sono alla
disperata ricerca di siti dove installare nuovi stabilimenti produttivi. E qui
dobbiamo tenere sempre presente che questo business è un carburante
fondamentale per la Borsa di New York. Non a caso, nel 2023 le aziende che
producono i processori di ultima generazione hanno realizzato utili
stratosferici.
Chi
lo può fermare un meccanismo del genere? La legge approvata dall’Unione Europea
(AI Act) impone dal 2025 ai gestori di «sistema ad alto rischio» di riferire
sul loro consumo di energia e di risorse naturali. Con lo stesso intento
proposte simili sono state avanzate al Congresso USA in base al principio che
«il progresso tecnologico non può avvenire a spese della salute del pianeta».
Questo perché i giganteschi centri di calcolo non si nutrono soltanto di
elettricità, ma consumano pure acqua di qualità in grande quantità. La
reticenza delle compagnie nel fornire informazioni esaustive su questo è
clamorosa, ma nelle zone dove gli impianti operano crescono le proteste
popolari. Di quanta acqua parliamo? Per avere una unità di misura possiamo
citare uno studio che ha calcolato che una trentina di domande che noi facciamo
a ChatGpt e simili provoca un consumo di mezzo litro di acqua potabile. Va bene
così? È opportuno che i cittadini siano informati sui lati nascosti del
progresso tecnologico. L’etica non ci serve solo per i rischi di domani. È
indispensabile già per quelli di oggi.
Messaggero
di S. Antonio
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