Resistere alle torture, alle privazioni, alle minacce, alla prigionia, alla solitudine, all’isolamento e infine affrontare la morte. Vivere contro ogni limite, completamente abbandonati alla volontà di Dio, alla fiducia nella Sua presenza, comunque vadano le vicende dell’esistenza e della Storia. Credere contro ogni possibilità, contro ogni evidenza, contro ogni ostacolo. Sì, succede, è successo, succederà ancora.
Lo testimonia, tra i
tanti, Takashi Paolo Nagai, medico e scrittore giapponese, convertito al
cristianesimo, autore di grandi romanzi che colpiscono letteralmente al cuore.
Come quello appena pubblicato dalle Edizioni San Paolo, dal titolo “Il passo
della Vergine. Storia dei Martiri cristiani di Tsuwano”. Come recita il
sottotitolo si tratta appunto del racconto appassionato delle vicende di un
gruppo di cristiani perseguitati. Lo scrittore, infatti, è molto legato alla
storia delle persecuzioni anticattoliche in Giappone, in particolare l’ultima
ondata tra il 1865 e il 1875. Una pagina di storia ben poco conosciuta, ed è
stata anche l’opera di Nagai che ha contribuito a far luce su di essa, insieme
al grandioso romanzo di Shusaku Endo, “Silenzio”, da cui è stato tratto
l’intenso film di Martin Scorsese, un progetto inseguito per molti anni e
finalmente realizzato nel 2016.
La storia al centro
dell’opera di Nagai rimanda alla crudele persecuzione praticata dalle autorità
giapponesi nei confronti degli abitanti di un gruppo di villaggi di Urakami, a
nord di Nagasaki, persone che si erano convertiti in massa nella seconda metà
del Cinquecento. Per rimanere fedeli alla propria fede, contro il tentativo di
abiura, che si voleva estorcere nei confronti di una religione portata da
stranieri e dunque falsa e antipatriottica (sempre secondo quel punto di vista)
furono deportati, detenuti in condizioni subumani, torturati e sottoposti a
estenuanti sedute di indottrinamento allo shintoismo.
Nagai racconta in modo
più particolareggiato le dolorose vicende di un gruppo di 37 persone confinate
presso il passo di montagna di Tsuwano, dove trovarono la morte senza tradire
la fede, in nome della Vergine Maria e in loro onore quel passo è stato poi
chiamato appunto “il passo della Vergine”. Luogo di dolore, di crudeltà, ma
anche di grandezza e di luce. Esperienza
che ha congiunto indissolubilmente spirito e carne, in cui la fede si è
trasformata in carne, sangue, spasimo,
forza.
A pochi giorni
dall’anniversario della catastrofe e del massacro atomici di Hiroshima e
Nagasaki, il romanzo ci aiuta a riflettere su molte dolorose questioni sempre
aperte: la violenza insensata della guerra, il mistero del male, che colpisce
spesso i più umili, miti, coloro che si impegnano per il bene, la sfida della
fede. La vita stessa di Nagai ci appare
come un Calvario: medico, sopravvissuto alla bomba atomica di Nagasaki, in cui
perse la moglie e tutto quel che possedeva. Gravemente malato, povero, fino
all’ultimo non rinunciò a lavorare, a scrivere, a diffondere un messaggio di
speranza e d’amore.
Immaginiamo ammalato e
costretto a letto causa della leucemia, il dottore Takashi , già conosciuto
come "il Santo di Urakami", il quartiere in cui vive, che rievoca i momenti vissuti dalla sua famiglia,
la sua conversione, il suo matrimonio, la nascita dei figli, la guerra, le
difficoltà e la malattia. Soprattutto ricorda quel terribile giorno di agosto
del 1945, quando tutt’ ad un tratto la città viene rasa al suolo, e lo sono
anche la cattedrale e il quartiere cattolico, ridotti mulo fumante di detriti.
Per cinquantotto giorni
Nagai, nonostante una ferita profonda e il dolore che lo attanaglia, continua a
curare i feriti. Ma in seguito viene colpito dalla leucemia. Sente che la
malattia non gli lascerà scampo e dunque si trasferisce nel quartiere di Urakami,
quello dell’epicentro della bomba, e con l’aiuto di pazienti e studenti
costruisce una capanna con i residui della sua vecchia casa. Una casa che sarà
chiamata da tutti con la frase "Amate gli altri come voi", secondo le
parole evangeliche di Gesù.
Attorno a lui,
lentamente, si crea una comunità, prima composta dai suoi familiari, i due
figli scampati alla bomba, e sua suocera, poi suo fratello e la sua famiglia,
altri genitori, altri bambini…Per tutto il tempo che gli rimane da vivere, fino
al 1951, cerca di aiutare chiunque si trovi in difficoltà, scrive romanzi e
memoriali per far conoscere la tragedia della sua terra, il calvario dei feriti
dalle ustioni nucleari, delle migliaia di orfani, insomma tutte le atroci
conseguenze dell’uso delle armi atomiche.
In quella landa desolata che era diventata la sua città gli sembra si
rifletta l’immagine di un altro lembo di terra devastata dalla violenza e della
insensatezza, quel passo di montagna in cui decine di suoi “fratelli nella
fede” hanno letteralmente consumato la loro esistenza nella fedeltà alla parola
di Cristo.
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