di cronaca nera
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di Giuseppe Savagnone*
In mezzo alle notizie da
prima pagina che riempiono le pagine dei quotidiani in questi giorni, ne è
apparsa una che non riguarda le sorti del mondo o lo scontro tra i partiti nel
nostro paese, ma che colpisce per la sua stranezza: a Roma un ladro trentottenne,
penetrato in un appartamento del signorile quartiere Prati, avendo trovato sul
comodino della camera da letto un libro che parlava dell’«Iliade», si seduto e
ha cominciato a leggerlo, rimanendone così preso da non rendersi contro
dell’arrivo del proprietario, che ha chiamato la polizia e l’ha fatto
arrestare.
Siamo davanti a un
comportamento che spontaneamente definiremmo “folle”. Eppure ci sono in questo
episodio di cronaca, curioso ma apparentemente insignificante, degli aspetti
che stimolano la riflessione.
Il ladro non è stato
attirato da una delle innumerevoli trasmissioni centrate sulle ricette di
cucina che ormai quotidianamente vengono propinate dalle nostre televisioni. Né
scorreva i messaggi e le news sul suo smartphone. Questa è già la notizia:
leggeva un libro.
La crisi dei libri
Le statistiche ci
informano che la percentuale di italiani dai sei anni in su che hanno
letto almeno un libro nell’ultimo anno, e non per ragioni strettamente
scolastiche o lavorative, è pari al 39,3% della popolazione. Oltre il 60% delle
persone non leggono neppure un libro all’anno.
E la crisi coinvolge, in
maniera gravissima, anche i quotidiani e le riviste. Anche per la semplice
informazione ormai ci si rivolge al proprio computer o al proprio smartphone,
dove i testi scritti sono ridotti all’essenziale e sono fatti per essere scorsi
in fretta. Di qualità letteraria neanche a parlarne.
Anche a scuola, con
l’alibi di una motivazione più che legittima – l’introduzione alle nuove
tecniche comunicative – , si è progressivamente assistito al declino del
rapporto con il cartaceo. Con l’inevitabile contrazione dei tempi di lettura, a
favore di quelli dedicati alla navigazione su Internet, al “copia e
incolla” di materiali funzionali alla propria ricerca del momento, nella
migliore delle ipotesi alla loro rielaborazione.
Qualcuno, affezionato a
ciò che la scuola era una volta, denuncia la fine dell’idea stessa di “studio”.
Ma anche se si riconosce quanto di positivo c’è in questo nuovo approccio, più
dinamico e creativo, è inevitabile la domanda sulla capacità del nostro sistema
scolastico di sollecitare negli alunni un atteggiamento di reale ascolto
e di pacata riflessione a partire da un testo scritto.
Lo confermano le prove
Invalsi del 2024, da cui risulta che solo il 62% dei ragazzi e delle
ragazze che frequentano la scuola secondaria superiore è in grado di capire
in modo almeno sufficiente quello che legge. Poco più della metà.
Non c’è da stupirsi che
anche il linguaggio della gente, soprattutto quello delle nuove generazioni, si
impoverisca e si imbarbarisca sempre di più. L’esperienza della lettura, oltre
ad essere gratificante, era fondamentale per l’arricchimento del proprio
vocabolario e l’affinamento del proprio stile espressivo, sia orale che
scritto.
L’importanza della
tradizione
Ma, ritornando al ladro,
è significativo non solo che si sia rivelato meno allergico alla lettura di una
gran parte degli italiani, ma anche vedere che cosa lo ha attratto.
Il libro in questione è «Gli
dei alle sei: L’Iliade all’ora dell’Aperitivo» dello scrittore e poeta
Giovanni Nucci, il quale da tempo si dedica alla ripresentazione
in termini attuali, accessibili al lettore di oggi, delle grandi opere
della mitologia greca (prima che dell’«Iliade», aveva fatto
un’analoga “traduzione” dell’«Odissea»), e più in
generale delle figure (Francesco d’Assisi) e dei testi (racconti
dell’Antico e del Nuovo Testamento) che hanno segnato la nostra tradizione
culturale.
«Gli dei alle sei»
si pone su questa linea. Il libro, ha detto l’autore, al giornalista che gliene
chiedeva il contenuto, «cerca di spiegare l’ “Iliade” soprattutto dal punto di
vista degli dei, in termini divulgativi. È un saggio abbastanza accessibile e
che sottolinea l’attualità del poema omerico. L’Iliade inizia con una pandemia
e prosegue con una guerra devastante. Le ricorda qualcosa?»
Sulla qualità di questi
tentativi valga la testimonianza di Conchita De Gregorio: «Ogni volta che
rileggo il modo in cui Giovanni Nucci ha riscritto l’“Odissea”, penso che
davvero non ci siano storie più belle di queste e che nessuno le abbia tradotte
con più grazia e acume e profonda saggezza».
Il ladro del quartiere
Prati non si è fatto sedurre, dunque, da un qualunque raccontino, ma da
un’opera che ha la pretesa di introdurre allo spirito del mondo classico,
riportando il lettore alle radici della civiltà occidentale.
Oggi, nella più generale
crisi della lettura, è particolarmente accentuata quella che riguarda i testi
del passato. Nella scuola è ormai sempre più forte la tendenza a
sostituire i classici con opere più gradite alla sensibilità odierna.
Soprattutto Dante e Manzoni, celebrati dalla critica fuori dell’Italia, nella
nostra scuola vengono spesso sopportati come un’eredità sgradita e
tremendamente noiosa.
Per non dire della
ricorrente protesta per il tempo “perduto”, nelle scuole italiane, a studiare
lingue e le civiltà antiche e sottratto all’acquisizione di competenze molto
più spendibili sul mercato del lavoro (lingue, informatica….). Logica
conseguenza di una diffusa cultura che educa fin da piccoli a identificare ciò
che è importante con ciò che è utile, dimenticando che utile è per definizione
quello che non vale per se stesso, ma in funzione di altro, e che, spinto alle
sue inevitabili conseguenze, l’utilitarismo svuota l’esistenza umana di
ogni rapporto con ciò che è importante.
Non si può negare che,
per quanto riguarda la scuola, alla base di questo tendenziale rifiuto del
passato c’è l’incapacità di molti professori di evidenziare il rapporto
tra le espressioni letterarie delle culture che stanno alle nostre spalle e
le esigenze, i problemi, le prospettive del mondo in cui oggi viviamo.
Si dimentica spesso
che il senso della tradizione non è la conservazione del passato,
ma la sua importanza per la lettura del nostro presente e per la
progettazione del nostro futuro. Così accade che gli studenti, anche i più
volenterosi, non colgano il rapporto tra ciò che la scuola propone loro nei
suoi programmi e la loro esistenza reale, passando così da cinque ore di
cultura senza vita della mattina a quelle di vita senza cultura il pomeriggio e
la sera.
Non sappiamo che studi
abbia fatto il ladro del quartiere Prati, ma il “colpo di fulmine” che lo ha
spinto a immergersi nella lettura del grande poema omerico fa pensare alla
scoperta di qualcosa per lui nuovo. «Quel testo mi aveva appassionato», ha detto
a chi lo stava arrestando.
Il declino dell’Occidente
come perdita delle radici
Quello che è certo è che
l’evidente declino dell’Occidente ha a che fare con la crisi culturale, prima
ancora che con quella economica, su cui tanto si insiste. Più grave della
crescita delle esportazioni cinesi, più grave del costituirsi di un’area che
raccoglie i paesi del Sud globale (BRICS) in contrasto con quelli del G7 (in
prevalenza occidentali), è lo smarrimento sempre più accentuato delle
radici – quella greca, quella latina, quella cristiana – da cui il mondo
occidentale aveva tratto la propria forza.
Anche per i singoli, è
vero che noi siamo la nostra memoria. Solo grazie ad essa noi custodiamo
una storia che, di per sé, non esiste più. Ogni fatto, ogni gesto, dal punto di
vista puramente fisico cade nel nulla nel momento stesso in cui è compiuto.
Solo il ricordo lo mantiene nell’esistenza, dentro di noi, e ci permette di
vivere la continuità del nostro essere noi stessi. E proprio per questo è la
memoria a costituire la base per la progettazione di ciò che vogliamo diventare
e fare, a partire a ciò che siamo stati e siamo.
Ma per questo bisogna
sapersi fermare a raccogliere i frammenti di vita che possono aiutarci a essere
e a restare noi stessi. Un buon libro può servire a questo.
Nella nostra società la
logica del “fare” e del “produrre” – espressa dal trionfo incontrollato della
tecnica – ha sempre più coinvolto uomini e donne in una corsa frenetica.
Da questo punto di vista, la storia del ladro, che si siede con calma a leggere
invece di fare il colpo e fuggire, è paradossale e spiazzante. Qualcuno vi
vedrà una conferma che facciamo bene a correre. È sicuramente più “utile”.
Ma, al là degli inconvenienti che il non farlo ha avuto nel caso concreto,
siamo sicuri che non aver mai il tempo per fermarsi stia facendo bene alla
nostra salute fisica, psicologica e spirituale?
L’indebolimento
dell’identità e il dominio della tecnica
Senza dire che, proprio
per questo indebolimento progressivo della nostra identità, siamo portati
ad affidarci alle macchine che ci sostituiscono. La denuncia dei rischi
dell’Intelligenza Artificiale costituisce solo l’ultimo grido d’allarme, ampiamente
inascoltato, di fronte a un mondo in cui non ci si deve più chiedere che
cosa stiamo facendo della tecnica, ma che cosa la tecnica sta facendo di
noi.
Anche da questo punto di
vista il ladro del quartiere Prati è andato controcorrente. I tantissimi film
americani che raccontano di audaci e clamorose rapine mostrano come
per esse siano utilizzate ormai tecnologie sofisticatissime.
Quella di cui parliamo
ricorda invece il famoso film di Monicelli «I soliti ignoti», che racconta di
una banda di ladri scalcinati i quali, dopo un travagliato
percorso, invece che raggiungere la cassaforte del Banco dei Pegni, si
ritrovano alla fine in una cucina, dove non resta loro altro da fare che
mangiare con gusto una buona minestra di pasta e ceci.
Il ladro del mancato
furto di Roma non si è fermato a mangiare, ma a leggere. Scherzando, si
potrebbe dire che forse per questo nel suo caso la vicenda è finita ancora
peggio, con l’arresto. La cultura è rischiosa… Eppure, forse vorremmo che un
pizzico della sua “follia” si comunicasse a questa società che,
così razionale nell’uso dei mezzi – l’ utile – , sembra aver perduto la
capacità di guardare i fini – l’importante. Che, tutto sommato, è la
forma di pazzia peggiore.
*Scrittore
ed Editorialista – Pastorale della Cultura, Arcidiocesi Palermo
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