– Commento al Vangelo - Domenica 25 Agosto 2024 -
Adattarmi,
prendere il meglio delle diverse posizioni, delle diverse opinioni. E ci sta,
va bene che sia così: la vita necessariamente ci porta al compromesso che è una
vittoria a metà.
E
l’idea che la realtà sia bianca o nera è semplicemente fuorviante, produce
nemici, avversari, contrappone, esaspera, come vediamo accadere accanto a noi.
Ma su alcune cose la scelta va fatta. Luce o tenebra. Costruire o distruggere. Fiorire o appassire.
Su
alcuni temi: la vita, l’amore, le azioni essenziali, i valori, una scelta va
fatta. E ripetuta ogni volta che ne abbiamo la necessità.
È
quello che accade anche con la fede.
È quello che è accaduto ai discepoli, dopo il durissimo discorso del pane di vita che risulta inconcepibile e incomprensibile per molti. Anzi, per la maggioranza fra i presenti, discepoli compresi.
Sangue
Gesù
ha toccato il fondo: ha chiesto alla folla di saziarsi della sua carne, di
dissetarsi al suo sangue. Cristo, probabilmente, ha già in mente l’estremo
dono, l’eucarestia. Chiede ai suoi di non seguirlo solo per le cose magnifiche
che dice, né solamente per i prodigi. Ma di accogliere la sua carne,
che nella Scrittura indica la fragilità, e il suo sangue cioè
la sua essenza.
Di
nutrirci della sua presenza, di cristificarci, di accedere a Dio
attraverso il suo sguardo.
È
troppo. Davvero. La folla è sgomenta e irritata: questo pazzo furioso sta loro
chiedendo di diventare dei cannibali? Ma chi si crede di essere?
È
bastato un confronto duro ma schietto per far crollare la fama del Nazareno.
Parole
che scarnificano, che mettono all’angolo, che impongono una scelta, come ha
dovuto fare il popolo di Israele nell’assemblea di Sichem, come abbiamo sentito
nella prima lettura.
Parole
che cambiano prospettiva, come la difficile seconda lettura che va ben
interpretata: in un mondo in cui tutti, giudei, greci, latini, pensano che le
moglie siano sottomesse ai mariti, Paolo parla di amore nel matrimonio, cosa
inaudita.
Gesù
è chiaro, diretto, inequivocabile. Dio lo è.
Ora
si tratta di scegliere da che parte stare.
Fino
a quando Gesù sfama le folle è idolatrato, quando parla di Dio, del suo Dio, è
abbandonato.
Fino
a quando Dio risponde alle nostre esigenze e alle nostre richieste è grande,
quando – a nostro avviso – ciò non avviene più, è rinnegato e rigettato.
Dramma
di un Dio che mendica la nostra adesione!
Dramma
inaudito di un Dio che si fa carne e compassione e che viene ignorato perché ci
risulta più comprensibile un dio intangibile nella sua asettica e lontana
divinità.
Crescere
Gesù
non cede al gioco del politicamente corretto. Non annusa
l’aria per proferire parole che blandiscono. Ha parlato con le parole di Dio.
La folla le considera eccessive, abituata com’è a vivere di ribassi.
Credenti
sì, ma senza eccessi. Devoti, certo, ma senza esagerare.
Ossessionati
dal rimarcare le distanze, dal dirci cattolici sì, ma…, ossessionati
dal non apparire fuori luogo, fuori moda, fuori tempo. Sempre pronti a prendere
li distanze da questa Chiesa che rappresentiamo, troppe volte, in maniera
mondana, con lo sguardo limitato del mondo.
No,
non se l’aspettava questa reazione da parte della folla che ama con tenerezza.
Forse pensava (ingenuo Dio!) di convertire i cuori con le parole e con lo
sguardo.
Gesù,
indurito, scosso, attonito, si rivolge agli apostoli.
La
domanda, inquietante e tagliente come una lama, è rivolta a ciascuno di
noi: Volete andarvene anche voi?
Non
blandisce gli apostoli sgomenti, non recede dalle sue parole, non chiede
appoggio o carezza o consolazione. Non elemosina consensi, nemmeno dai suoi
amici più fedeli, con cui ha condiviso tanto.
A
Gesù sta più a cuore il Regno della compagnia, la verità dell’applauso.
È
libero. Sa, Gesù, quanto possa diventare ambiguo un rapporto spirituale, sa
quanto possa tarpare le ali il discepolato, invece di far crescere il
discepolo. Gesù non è un guru, è un vero Maestro. Libero. Sa che l’obiettivo di
ogni discepolo è di crescere, non di appassire ai piedi del Maestro.
Sa
che ogni Maestro ha un solo desiderio: che il discepolo diventi autonomo. Che
se ne vada, finalmente autonomo.
Volete andarvene anche voi? È solo il Rabbi, non è stato così solo.
Vuoi
andartene?
E
tu vuoi andartene?
Ora
che incontri le prime difficoltà vuoi lasciare tutto per tornare a chiuderti
nel tuo piccolo mondo di tiepide certezze? Rinunci al sogno di Dio? Vuoi
davvero lasciare questa fragile Chiesa che, ora più che mai, ha bisogno di
discepoli fedeli, sofferenti ma fedeli, onesti, autentici e fedeli, disposti a
rimettere in moto l’annuncio del Vangelo che sta languendo con le nostre
appassite comunità parrocchiali?
Vuoi
davvero metterti dalla parte di coloro che pensano che questo cristianesimo sia
da abbandonare e metterti dalla parte degli illuminati che criticano senza
mettersi in gioco? O degli indifferenti che dicono che Dio sia inutile o
dannoso?
Fallo. Sei libero, straordinariamente, drammaticamente libero di credere. O di fuggire. Di spalancarti, o di chiuderti.
L’amore
di Dio ci lascia liberi, giunge a chiedere a noi, creature fragili e
incostanti, di aderire liberamente al suo progetto.
Pietro, il grande, risponde a nome di tutti. Poco convinto, forse, un po’ amareggiato, come gli altri undici, un po’ preoccupato del domani fattosi improvvisamente incerto, perplesso di fronte a questo Maestro troppo esigente, troppo grande, troppo tutto.
La
sua risposta è sussurrata ma ferma, assoluta.
Una
risposta come un vulcano che erutta, come un vento impetuoso che abbatte i
boschi, come una professione di fede urlata a se stessi e al mondo: Dove
vuoi che andiamo, Signore?
Dove
trovare tanta serenità, tanta verità, tanto bene, tanta luce, tanto silenzio,
dove, Dio santo, trovare qualcosa o qualcuno che ti sia pari? Dove, amico degli
uomini, trovare compassione e futuro, dove respirare l’ebbrezza di Dio?
Ci
sconcerti, Maestro, ci sfidi, è difficile convertire il nostro cuore alla tua
tenerezza e luce ma – Signore – ormai la nostra vita è segnata a fuoco.
Tu ci hai sedotti. Dove vuoi che andiamo, Signore?
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