Ventiduesima domenica del T.O. anno
B
1 settembre 2024
Dt 4,1-2.6-8 Sal 14
Giac 1,17-18.21-22.27 Mc
7,1-8.14-15.21-23
«Leggi, o ascolti, le
parole: Non avere sentimenti d’orgoglio ma temi;
e tu nutri tali
sentimenti d’orgoglio da ritenerti senza peccato?
In questa maniera,
siccome tu non vuoi temere,
non ti rimarrà altro
che apparire quel pallone gonfiato che sei».
Sant’Agostino,
Esposizione sul salmo 118, Discorso 2, 1
Commento di Gaetano Piccolo*
L’apparenza inganna
La storia e l’esperienza ci
insegnano a non fidarci delle apparenze. Lo avevano imparato bene gli abitanti
di Troia, che si erano fatti ingannare da un cavallo lasciato alle porte della
loro città come un regalo. In realtà, all’interno, il cavallo nascondeva i
nemici greci che facilmente, con questo stratagemma, penetrarono nella città
per espugnarla. Nonostante ciò, continuiamo a investire ampiamente
sull’immagine esteriore, come se fosse la cosa più importante. Il motivo è da
ricercare forse proprio nel piacere di essere ingannati. In fondo ci piace
nascondere, siamo contenti di vivere in un mondo dove quello che conta è quello
che appare in superficie.
L’interiorità inutile
L’interiorità è faticosa da curare e
comunque nessuno la vedrebbe. Sarebbe difficile essere apprezzati e
riconosciuti e quindi non vale la pena investire su qualcosa che gli altri non
possono valorizzare in modo immediato. Meglio seguire le mode e cercare di
distinguersi in quello che è socialmente riconosciuto come un valore. In alcuni
ambenti, preservare l’immagine è l’unico modo per fare carriera e per essere
accettati dal gruppo. Anche a questo scopo, occorre giocare d’anticipo e andare
a caccia di chi non rispetta i canoni formali per appartenere al gruppo, in
modo da poter facilmente eliminare un possibile avversario. Siamo in fondo una
società di ipocriti, persone con poco giudizio, come dice il termine, che si
accontentano di una esteriorità superficiale.
La pretesa di giudicare
La domanda che gli scribi e i
farisei, paladini della correttezza formale, rivolgono a Gesù, va proprio in
questa direzione: i discepoli non rispettano una prassi legalistica e non
stanno dentro le norme. Purtroppo, questi ragionamenti li sentiamo spesso anche
all’interno del contesto ecclesiale, che si rivela tante volte più farisaico
che evangelico, pretendiamo infatti di giudicare chi può stare dentro la
comunità solo alla luce di una prassi esteriore non rispettata secondo alcuni
canoni prescritti. Ma è davvero quello il peccato che ci rende indegni? E,
soprattutto, se per Gesù quello che conta è l’interiorità, come possiamo avere
la pretesa di conoscerla e di giudicarla?
Ipocriti contemporanei
Si vedono in giro molti tromboni che
con le loro labbra si dicono fedeli e osservanti. E attraverso le loro parole
riescono a comunicare un’immagine costruita e falsa di se stessi. Ma dal loro
cuore escono invece invidia, maldicenza, pettegolezzo, odio e rancore.
Formalmente però sono a posto. Anzi, molte volte sono proprio quelli che si
ergono a giudici degli altri e vanno a caccia dell’imperfezione esteriore per
eliminare il presunto peccatore. È il loro modo per acquisire una patente
esteriore di correttezza che li preserva da qualunque accusa.
Fare verità
Le parole di Gesù sono per ciascuno
di noi un invito a chiederci a cosa stiamo prestando maggiore attenzione, dove
stiamo investendo le nostre risorse. Possiamo chiederci se siamo più
preoccupati di quello che si vede o di quello che c’è veramente nel nostro
cuore. Possiamo chiederci se stiamo lavorando alla costruzione di un’immagine
esteriore di correttezza o se ci stiamo prendendo cura della nostra vita
interiore. Spesso le mele lucide del cesto del fruttivendolo sono quelle che
all’interno sono marce. Al contrario le mele che hanno più difetti all’esterno,
sono probabilmente senza conservanti, sono più vere e hanno un sapore migliore.
Leggersi dentro
Quanto sono preoccupato della mia
immagine?
Che cosa c’è nel mio cuore?
Alzogliocchiversoilcielo
Immagine
*Gesuita, professore ordinario di filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana
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