Un nuovo scandalo a
carico del presidente
La pubblicazione di
alcune email, scambiate da Jeffrey Epstein, con la sua collaboratrice ed ex
amante Ghislaine Maxwell e con l’opinionista Michael Wolff, ha dato nuovo
impulso a un dibattito che coinvolge la figura del presidente Trump e che
già da tempo si prolungava, in modo strisciante, sui media statunitensi.
Oggetto della polemica
sono i rapporti di Trump col finanziere miliardario Jeffrey Epstein, arrestato,
il 6 luglio 2019, per abusi sessuali e traffico internazionale di minorenni e
morto in carcere presso il Metropolitan Correctional Center di New York
il successivo 10 agosto.
Secondo la versione
ufficiale, si sarebbe suicidato impiccandosi, ma una serie di elementi ha
giustificato inchieste successive sulla possibilità che in realtà sia stato
strangolato.
In un’email del 2011 a
Maxwell – poi condannata anche lei a vent’anni di carcere per il suo ruolo
nell’adescamento e reclutamento delle vittime – il finanziere
scriveva che Trump aveva «passato ore» a casa sua con una delle ragazze che la
squallida coppia, dopo averne abusato, cedeva come oggetti di piacere a
personaggi potenti e danarosi.
Sembra si trattasse di
Virginia Giuffre, che nel recente passato ha denunciato gli abusi subiti,
quando ancora aveva 17 anni, da Jeffrey Epstein e dal principe Andrea,
secondogenito di Elisabetta II, (per questo poi spogliato di tutti i suoi
titoli dalla Corona inglese), senza peraltro riuscire a liberarsi dei propri
fantasmi, visto che ha concluso la sua disgraziata esistenza suicidandosi, a 41
anni, nell’aprile scorso.
In un’altra email, questa
volta indirizzata, nel gennaio del 2019, pochi mesi prima dell’arresto, a
Wolff, Epstein dice che il presidente – ormai giunto alla Casa Bianca due anni
prima, nel gennaio 2017 – «ovviamente sapeva delle ragazze poiché ha chiesto a
Ghislaine di smettere».
I democratici chiedono
ora la piena divulgazione dei cosiddetti “Epstein files”, i documenti che
potrebbero contenere nomi, contatti e registri delle frequentazioni del
miliardario con esponenti del mondo politico, economico e culturale. Proposta
cui la Casa Bianca continua a opporsi fermamente, ma che invece viene
appoggiata da un numero sempre maggiore di deputati e senatori repubblicani.
Non si tratta, peraltro,
del primo scandalo in cui Trump si trova coinvolto, anche se il fatto che in
questo caso si tratti di minorenni costituisce un’aggravante dal punto di vista
sia etico che giuiridico.
Che la sua vita sessuale,
fuori del matrimonio, fosse movimentata era noto. Ma a evidenziare il suo
approccio al mondo femminile era stato, nel 2016, prima ancora del suo primo
mandato, un fuori onda di Access Hollywood, in cui Trump illustrava
con un linguaggio volgare la sua visione del sesso e parlava dei palpeggiamenti
a cui, forte del suo potere economico, usava sottoporre le donne.
Ma il caso che con più
clamore ha portato alla luce lo stile del Tychoon è stato quello della
pornostar Stormy Daniels che Trump, allora sessantenne, più volte divorziato e
da poco sposato con Melania, aveva incontrato nel 2006, avendo con lei per un
certo periodo frequenti rapporti sessuali.
Durante le elezioni
presidenziali del 2016, la pornostar aveva minacciato di rendere pubblica
questa storia e Trump, per tacitarla, aveva pagato il suo silenzio con 130.000
dollari – fattile avere tramite il proprio avvocato Michael Cohen –
sottratti illegalmente ai finanziamenti destinati alla campagna elettorale
repubblicana.
Quando la vicenda è
emersa, a elezioni avvenute, Cohen si è dichiarato colpevole e, nel dicembre
2018, è stato condannato a tre anni di prigione. L’incriminazione di
Trump è arrivata, più tardi, nel marzo 2023, e ha portato a un processo
penale conclusosi il 30 maggio 2024, quando la giuria popolare lo ha dichiarato
colpevole di tutti i 34 capi d’imputazione di cui era accusato. La sentenza
finale è stata emessa il 5 gennaio 2025. Ma il condannato era stato appena
eletto, a novembre, presidente, cosicché il giudice ha stabilito che, – pur
avendo ora la fedina penale macchiata dalla condanna – non sarebbe andato
in prigione e non avrebbe dovuto pagare alcuna multa.
La coerenza di Trump
Siamo davanti, dunque, a
un personaggio che, nella più blanda delle possibili valutazioni, non è certo
un modello di moralità. Nulla di eccezionale, a dire il vero, se non fosse che
il personaggio di cui parliamo è stato assunto dalla destra religiosa – soprattutto
evangelica, ma in parte anche cattolica – degli Stati Uniti come il simbolo
della difesa dei valori cristiani e in qualche caso addirittura investito
dell’aura del messia
A dire il vero, ci
sono anche altri e più gravi motivi per mettere in discussione questa
pretesa, dalla sospensione degli aiuti ai paesi poveri alla deportazione dei
clandestini, in modalità particolarmente violente ed umilianti, al sostegno
dato a Netanyahu nella sua politica di sterminio sistematico nella Striscia di
Gaza, col dichiarato intento di sfruttare questo territorio per costruirvi un
resort di lusso.
Significativo anche il
fatto che dopo la sua elezione a presidente Trump abbia chiamato a guidare
il Faith Office, un dipartimento che esisteva dal 2001, una
telepredicatrice milionaria, Paula White, adepta della “teologia della
prosperità”, movimento religioso fondato da Oral Roberts che ritiene che più un
fedele prega più otterrà benefici economici.
Siamo agli antipodi del
vangelo e i vescovi americani, che pur erano stati in gran parte favorevoli
all’elezione di Trump – per reazione alla campagna dei Kamala Harris,
incentrata tutta sulla libertà di aborto – , alla fine ne stanno prendendo
atto
Ma nella tradizione
cristiana il sesto comandamento – «Non commettere adulterio» (Es 20,14)
– ha sempre avuto un particolare valore simbolico. E chiudere gli
occhi sui trascorsi di Trump è stato difficile per la base dell’elettorato
Maga (l’acronimo di Make again great America), che ha accettato solo davanti
alla promessa che, un volta rieletto, il Tychoon avrebbe portato alla luce e
smantellato la rete di magnati e personaggi pubblici che gravitavano
intorno ad Epstein.
Ora invece si trova di
fronte a nuove prove del coinvolgimento di Trump in questa rete e – ciò che
forse agli occhi degli americani è ancora più grave (come ha dimostrato il
Watergate al tempo di Nixon) – al tentativo di nasconderlo e negarlo. Anche in
questo caso, infatti, la portavoce della Casa Binca Karoline Leavitt ha
dichiarato che «queste email non dimostrano assolutamente nulla, se non il
fatto che il presidente non ha fatto nulla di sbagliato».
E non si tratta
solo della sua persona: tra i suoi sostenitori, c’è la sensazione che
Trump, più che se stesso, stia cercando di proteggere personaggi ricchi e
famosi, contraddicendo platealmente il principio fondamentale della fede Maga,
che è la lotta alla casta dei privilegiati. Da qui un malessere che ormai
rischia di diventare una frattura.
Trump e Berlusconi
La fede nel presidente
americano sembra invece intangibile presso la destra italiana. Troppo forte è
il legame che si è stabilito fra lui e Giorgia Meloni, basato non solo su una
sintonia ideologica, ma anche su un reciproco apprezzamento, più volte ribadito
pubblicamente da entrambi.
Del resto, che il
problema dell’immoralità sessuale dei politici non impressioni più di tanto la
nostra premier lo dimostra la sua disponibilità a fare di Silvio
Berlusconi il “padre” ispiratore del suo governo.
Dalla proclamazione del
lutto nazionale per la sua scomparsa, prolungato per una settimana, alla dedica
della recente riforma della giustizia, questa “beatificazione” del
cavaliere è stata una costante in questi tre anni. Per non parlare del temerario
accostamento – ricorrente nei discorsi del vicepremier Tajani –
tra la sua figura a quella di De Gasperi, che invece era davvero un
cristiano.
L’associazione che viene
spontaneo fare è invece fra Berlusconi e Trump, entrambi imprenditori scesi in
politica con il chiaro intento di tutelare e promuovere interessi personali,
entrambi pervenuti al successo in una battaglia contro il “comunismo” dei loro
oppositori ed entrambi tutt’altro che restii a esibire loro spregiudicatezza
nell’ambito sessuale, malgrado i loro legami coniugali.
Nel caso di Berlusconi,
più che in quello di Trump, il successo sessuale – si vantava di non
accontentarsi di una donna per notte – è stato addirittura, insieme
quello economico e a quello politico, un fattore importante del fascino che ha
esercitato su milioni di italiani, molti dei quali hanno visto in lui la
proiezione dei loro sogni. E anche il cavaliere, come Trump, ha ampiamente
fatto ricorso al suo potere e al suo denaro per soddisfare i propri impulsi
sessuali, creando un vero e proprio harem di escort.
Anche lui non ha
disdegnato le minorenni, come dimostra il caso che nel maggio 2010 lo vide
intervenire presso la questura di Milano per il rilascio della diciassettenne
marocchina Karima El Mahroug, soprannominata “Ruby Rubacuori”, sostenendo
che si trattava della nipote del presidente egiziano Mubarak.
Resta agli atti della
storia del nostro parlamento la mozione, approvata dalla maggioranza di destra,
in cui non si negava che il cavaliere avesse approfittato del suo ruolo
pubblico per ottenere il proprio scopo, ma ci si diceva certi che lo
avesse fatto perché davvero convinto che ci fosse il pericolo di una crisi
internazionale.
È inevitabile il
confronto tra questa esaltazione di un personaggio indiscutibilmente
responsabile di una condotta sessuale gravemente immorale, con ricadute
pubbliche, e le continue dichiarazioni della destra al governo di voler
difendere a tutti i costi la tradizione cristiana, con particolare riferimento
ai valori della famiglia.
In un discorso tenuto a
Budapest nel settembre del 2023 Meloni ha ricordato una sua dichiarazione
precedente a questo proposito: «Con il mio discorso ormai celebre “sono una
donna, una madre, sono cristiana” volevo dire che viviamo in un’era in cui
tutto ciò che ci definisce è sotto attacco e questo è pericoloso per la nostra
identità nazionale di famiglia e di religione. Senza questa identità siamo solo
numeri». E ha parlato della necessità di «una grande battaglia» per
«difendere la famiglia», perché questo significa «difendere Dio, la nostra
identità e tutto quello che ha contribuito a costruire la nostra civiltà».
Sono Trump e Berlusconi i
modelli di questa “difesa”? Posto che il problema del sesso non è il
centro della questione e che anche per il governo italiano si possono citare
altri elementi, ancora più significativi, che evidenziano la sua lontananza dalla
prospettiva di un umanesimo ispirato cristianamente – dalla politica
migratoria al favore nei confronti dei ceti privilegiati al sostegno a
Netanyahu – , resta il fatto che la coniugazione tra sesso, denaro e
potere, di cui sono simboli le figure di Trump e di Berlusconi, è il contrario
di ciò a cui un vero rinnovamento del nostro paese e dell’Occidente deve
mirare.
Attendiamo con speranza
dei leader che nella loro vita privata – ormai inevitabilmente destinata ad
essere anche pubblica – esprimano la rottura con questo modello squallido.
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