per promuovere
la cultura della cura e l’innovazione sociale
Si
inaugura oggi pomeriggio il nuovo corso dell’Istituto Giovanni Paolo II
Matrimonio e Famiglia, in collaborazione con Caritas di Roma e Cei, con una
conferenza su “Convivenze creative. Vita familiare, agire collaborativo e
trasformazioni sociali”. Il direttore Rosito: “Se le diverse esperienze di cura
si mettono in rete, possono trasformare il mondo a vantaggio di poveri e
scartati”
Una scuola per chi opera nei servizi sociali, nella pastorale e nel volontariato
La
scuola è rivolta ad operatori e responsabili dei servizi sociali e
sociosanitari, di associazioni professionali e di categoria, degli uffici
diocesani di pastorale familiare, sociale e del lavoro, volontari della Caritas
e di altre realtà del terzo settore e dell’associazionismo orientato ai servizi
di prossimità, ai membri di movimenti laicali e congregazioni religiose
impegnate nel campo della cura e della promozione sociale.
La
conferenza su "Convivenze creative" e agire collaborativo
I
relatori della lezione inaugurale, alle 16 nell’Auditorium dell’Istituto Jp2,
saranno Guillaume Le Blanc, direttore del Laboratorio sui Cambiamenti Politici
e Sociali dell’Università di Parigi Diderot, e Fabienne Brugère, presidente
dell’Università di Parigi Lumières. Dopo l’introduzione del preside Philippe
Bordeyne, e la lezione dei due ospiti, a presentare la scuola di formazione
saranno i coordinatori scientifici Vincenzo Rosito, direttore dei corsi del
Jp2, la vicepreside Milena Santerini, e Pier Davide Guenzi, che modererà
l’incontro.
I
temi dei sei moduli in programma
Il
programma prevede sei moduli sulla “Caring leadership. La cura come paradigma
culturale e innovazione sociale”; “Organizzazione delle strutture territoriali:
interservizi e lavoro di comunità”; “Organizzazione dei servizi sociosanitari:
cura integrale e ausilio domiciliare”; “Cura di comunità e imprenditorialità
sociale”; “Comunità familiari e condomini solidali”; e infine “Housing sociale
e abitare collaborativo”. La sessione mattutina sarà dedicata all’inquadramento
e all’esposizione delle coordinate teorico-concettuali del modulo, quella
pomeridiana invece all’acquisizione di competenze attraverso la presentazione
di esperienze e progetti, workshop, laboratori. Iscrizioni fino al 31 ottobre,
prima lezione a metà novembre
Le
iscrizioni, sul sito dell’Istituto, si chiuderanno il 31 ottobre, e la prima
lezione è prevista il 19 novembre, dalle 9.30 alle 17.30. Con cadenza mensile,
la Caring School si concluderà il 15 aprile 2023. A collaborare con l’Istituto
Jp2 nell’organizzazione della scuola sono l’Ufficio Nazionale per la pastorale
della famiglia, l’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro della
Conferenza episcopale italiana e la Caritas diocesana di Roma.
La cultura della cura può trasformare la società
“La
crisi della pandemia - spiega Vincenzo Rosito, che è anche docente di Storia e
cultura delle istituzioni familiari - ha manifestato l’importanza delle
relazioni di cura nelle famiglie e negli ambienti della cooperazione, dal terzo
settore e dal volontariato, fino a quello della vita pubblica e civile. Occorre
sperimentare e promuovere nuove forme di cura che non siano esclusivamente
riconducibili al campo dell’accudimento o dell’assistenza professionale
medicalizzata”. La nuova via che si apre è “fare della cura un principio di
trasformazione sociale per sperimentare nuove forme del vivere insieme e nuove
pratiche di alleanza informale tra generazioni, culture, istituzioni e corpi
sociali”.
Quali
sono le finalità di questa scuola su “Cura e innovazione sociale” che il vostro
Istituto propone?
Siamo
partiti da un’idea centrale, quella di immaginare, progettare e accompagnare le
nuove reti della cura accogliendo e facendo nostro anche l'invito di Papa
Francesco a costruire una cultura della cura cercando di andare oltre uno
sguardo che vuole soffermarsi sui singoli gesti di cura. Durante la pandemia
siamo stati sollecitati esattamente in tal senso: ci siamo presi cura gli uni
degli altri, nella famiglia, nei contesti di lavoro e non solo. Ma anche alla
luce di quella esperienza, adesso è arrivato il momento di fare della cura una
realtà e un'istanza di trasformazione sociale.
Immaginare e progettare nuove reti di
cura: cosa intendete fare per questo obiettivo?
Prima di tutto mettere in rete tutte
le esperienze che a livelli diversi della vita professionale, nel mondo del
volontariato, ma anche nella ricerca universitaria e scientifica, si occupano
esattamente del prendersi cura gli uni degli altri.
Il corso, infatti, vuole valorizzare sia quelle teorie che si occupano del
curare, la cosiddetta “etica della cura”, ma soprattutto mettere in relazione
tutte quelle esperienze concrete, che vanno dall’organizzazione dei servizi
territoriali, degli interservizi e del lavoro di comunità, all’organizzazione
dei servizi socio-sanitari fino ad arrivare alle esperienze di cura di
comunità. Come l’imprenditorialità sociale, le comunità familiari, i condomini
solidali. In tutte queste esperienze che possono sembrare molto diverse e
lontane tra loro, in realtà c’è un filo che le attraversa, ed è esattamente
quello di maturare e di incoraggiare una cultura della cura.
Promuovere
prima di tutto la dimensione familiare nei servizi alla persona, formare nel
campo della leadership della cura e dell'innovazione sociale e appunto mettere
in rete quelle competenze professionali, i soggetti sociali e le istituzioni
territoriali che si occupano della cura.
Mettere
in rete, quindi, significa anche che le persone che frequenteranno questo
corso, potrebbero poi creare un gruppo che si ritrova periodicamente per
confrontare le diverse esperienze?
Esattamente:
l’idea e l’auspicio è anche questo, di creare un contesto collaborativo di
persone che provenendo da esperienze diverse potrebbero anche dare vita a un
qualcosa di nuovo. Infatti, questa è la questione: l’abbinamento tra cura e
innovazione sociale che diventa un po' il cuore del nostro lavoro e l’auspicio
anche per il lavoro futuro. La cura non soltanto come un atteggiamento di
conservazione o di riparazione del mondo, ma la cura come un'esperienza di
trasformazione del mondo. Ma per trasformare il mondo bisogna mettersi insieme
nelle diversità professionali, nelle diversità delle diverse sensibilità.
Quindi
come deve cambiare, per adeguarsi alle trasformazioni della società, il mondo
dei servizi sociali e del volontariato?
Prima
di tutto partendo da una sensibilità verso la vita ordinaria di ciascuno.
Perché i luoghi della cura sono prima di tutto i luoghi dell'ordinario, i
luoghi della vita quotidiana. È lì che le persone che potremmo chiamare
“normali”, ma soprattutto il poveri, talvolta le persone più scartate o più
lontane, sperimentano nuovi modelli di vita. E’ lì che le persone si mettono in
relazione, in nuovi contesti di innovazione. E’ lì che provano a trasformare
dal basso, o semplicemente stando insieme, nuovi modi di vivere, nuovi modi di
sperimentare la vicinanza, nuove forme del vivere insieme. Penso ad esempio
alle comunità familiari, o all’housing sociale, o all’abitare collaborativo: lì
dove concretamente si sperimentano delle alleanze informali tra generazioni, ad
esempio. Questo è un modo di prendersi cura tra persone, ma è anche un modo di
trasformare il mondo e dunque di fare innovazione sociale tra i poveri, tra i
piccoli o per dirla con Papa Francesco, tra gli scartati.
Quindi
queste sono le “convivenze creative” e l’agire collaborativo di cui parlerete
oggi nella conferenza inaugurale?
Certo!
Oggi nell’auditorium del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II ci
sarà la conferenza inaugurale e la creazione e la presentazione della Caring
School. L'abbiamo chiamata “Convivenze creative”, volendo valorizzare il legame
che c'è tra vita familiare, agire collaborativo e trasformazioni sociali. E lo
faremo insieme al professore Guillaume Le Blanc che è direttore del laboratorio
sui cambiamenti politici e sociali dell'università Diderot di Parigi e che ha
recentemente scritto un libro esattamente sulla solidarietà dei poveri, per una
storia politica della povertà.
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