è
ascetismo dell’onestà»
Il cistercense
norvegese, vescovo di Trondheim, affronta nel suo ultimo libro un tema spesso
frainteso «Diventare casti vuol dire riconoscere i diversi aspetti di me
stesso, del mio essere fisico, intellettuale e spirituale.
di SILVIA GUZZETTI
La castità non come
qualcosa che appartiene al passato, fatta soltanto di una sessualità frustrata
oppure repressa, di un’astinenza che non rende felici, di una mortificazione
dei sensi che porta al sabotaggio della personalità umana, ma come di una virtù
che ci aiuta a diventare felici, realizzando pienamente noi stessi e integrando
le diverse sfere che compongono il nostro essere. A questo argomento è dedicato
l’ultimo libro di Erik Varden, Castità. La riconciliazione dei
sensi, in uscita per San Paolo (pagine 208, euro 20,00).
Varden, dal 2020 vescovo
di Trondheim, in Norvegia, è nato nel 1974, in una famiglia protestante,
religiosa, ma non praticante. È stato raggiunto da Dio a 15 anni, dopo aver
ascoltato la Sinfonia n.2 di Mahler. Nel 1993 si è fatto
cattolico e nel 2002 è entrato nell’ordine dei Cistercensi di stretta
osservanza. È stato abate trappista del monastero di Mount Saint Bernard in
Inghilterra. Ha scritto diversi volumi in lingua inglese. In italiano è uscito,
presso l’editore Qiqajon, il volume La solitudine spezzata. Sulla
memoria cristiana.
Perché ha deciso di
dedicare un libro alla castità?
«Perché penso che abbiamo
bisogno di un nuovo vocabolario per parlare di questa materia e anche di
affrontarlo in un modo onesto, dal punto di vista della fede, che sia coerente
con una comprensione teologica degli esseri umani e, nello stesso tempo, realistico,
per quanto riguarda l’esperienza umana. Molti sono convinti che l’unica cosa
che la Chiesa abbia da dire, rispetto alla sessualità, sia no mentre non è
vero. Il cristianesimo può offrire un resoconto sofisticato del mistero della
sessualità umana e della sua bellezza, complessità e anche sofferenza. È
importante farsi nutrire dalla ricchezza di questa eredità, da questa nozione
chiave di castità che è quasi completamente scomparsa dalla conversazione
contemporanea».
Nel suo libro lei parla
della castità come di un ideale molto più complesso dell’astensione dalla
sessualità e come di una virtù che non riguarda soltanto i celibi, ma è un modo
per integrare la nostra vita e renderla più armonica e più felice. Può spiegarci
che cos’è la castità e come possiamo raggiungerla?
«Il libro tratta proprio
di questo, di come la castità sia un modo di realizzarsi pienamente,
dal punto di vista umano. Nel latino classico “castità” era spesso
sinonimo di “integrità”. Vivere in modo casto è vivere con integrità morale,
virtù, moralità. Ormai, nella nostra società, la castità viene interpretata in
modo molto riduttivo, solo come astinenza dal sesso o mortificazione, mentre
l’idea di integrità ha mantenuto una connotazione molto positiva. La maggior
parte delle persone vorrebbero essere percepite come persone di integrità e
persone morali. Ma che cosa vuol dire avere integrità? Significa avere un
rapporto armonioso con me stesso, così che il mio essere e la mia identità
esteriori corrispondano alla mia identità interiore. Insomma, assicurarmi che
ci sia una buona sintonia tra le diverse voci che formano l’orchestra della mia
vita. Per questo motivo metto, come sottotitolo del mio libro, “la
riconciliazione dei sensi”. Diventare casti vuol dire, infatti, riconoscere,
gradualmente, i diversi aspetti di me stesso, del mio essere fisico,
intellettuale e spirituale. Ma anche, storicamente, riconciliare il
condizionamento che avrei forse ricevuto dalla mia famiglia di origine, il mio
temperamento, i miei particolari desideri, e lavorare per rendere tutti questi
aspetti un intero armonioso che mi renda felice. Insomma evitare di vivere
in uno stato di tensione continua nel quale mi sento
sempre tirato in direzioni diverse. Siamo, infatti,
condizionati dalle cose che ci capitano ma non determinati
da esse. Per ottenere tutto questo la conoscenza di noi stessi è
fondamentale. Si chiama l’ascetismo dell’onestà. Dobbiamo riconoscere,
con noi stessi, I nostri punti di forza e di debolezza, le nostre ferite e,
insieme, le nostre abilità e chiederci che cosa possiamo ottenere, con tutto
questo, con l’aiuto di Dio. E avere anche la certezza che, grazie alla fede,
qualunque circostanza possa essere trasformata in una fonte di grazia».
Una parte del suo libro è
anche dedicata al tema degli abusi dentro la Chiesa. Qual è la radice del
problema degli abusi, secondo lei, e pensa che la Chiesa abbia fatto abbastanza
per prevenirli o debba fare di più?
«La radice degli abusi è
la capacità degli esseri umani per la malvagità. Alla fine, è quella ferita
esistenziale che chiamiamo peccato. Come sappiamo fin troppo bene, la maggior
parte degli abusi accadono in famiglia e li vediamo in tanti contesti diversi.
Dire questo non vuole dire relativizzare quanto orribili gli abusi siano
all’interno della Chiesa perché è sempre peggio quello che succede dentro
la Chiesa ed è sempre peggiore, quando rappresenta un tradimento di fiducia e
un tradimento di un obbligo sacro. Ovviamente ci sono estremamente complesse e
svariate risposte a quella domanda e non voglio semplificare, ma possiamo dire
che, se una persona diventa un abusatore, è per una fondamentale mancanza di
castità, una mancanza di integrità, una mancanza di equilibrio che va
affrontata in modo molto onesto. Ha la Chiesa fatto abbastanza? Forse non
possiamo mai fare abbastanza per prevenire orrori così tremendi. Qualcosa che è
stato molto utile, e per il quale dobbiamo essere molto grati, nel doloroso
lavoro che abbiamo fatto negli ultimi dieci anni, è che oggi, almeno, abbiamo
un vocabolario che ci consenta di parlare di questo argomento, evitando di
negare che gli abusi siano stati commessi o cercando di nasconderli. E’
importante che abbiamo confini chiari che ci dicano che cosa è o non è un
comportamento accettabile e che abbiamo parole per definire che cosa non è
accettabile. Inoltre, abbiamo oggi, nel diritto canonico e nel modo in cui le
diocesi operano, procedure molto chiare che obbligano a rispondere di quello
che è successo e a investigarlo. Insomma, abbiamo una comprensione
sofisticata di quelle che sono manifestazioni di una sessualità disturbata e
siamo in grado di identificarle. Le procedure non possono mai garantire la
giustizia, ma offrono un contesto nel quale possiamo ottenere giustizia. Penso,
quindi, che tutto il dolore degli ultimi dieci anni abbia prodotto buoni
frutti, ma dobbiamo sempre essere vigili, attenti, guardinghi,
senza diventare paranoidi».
Spesso, nel suo libro,
lei parla di come la nostra società promuova un approccio alla sessualità molto
lontano dalla castità cristiana. Dove vede, nella nostra società, esempi di
castità cristiana? E che cosa possiamo fare per riconciliare la nostra società
con l’ideale cristiano di castità?
«Conosco molte coppie e
molti single che sono ottimi esempi di castità cristiana. Viviamo in un mondo
spezzato, dove molte persone si sentono molto sole, senza amici. L’esempio di
esseri umani che siano pienamente integrati, che vivano vite equilibrate e
armoniose, che siano capaci di amore autentico e di amicizia, di darsi davvero
agli altri, avrà una grande capacità magnetica di attrazione e potrebbe portare
a una rivoluzione».