martedì 3 dicembre 2024

ADOLESCENTI e SMARTPHONE

 

Smartphone agli adolescenti? 
Riduce concentrazione, rallenta la memoria, compromette il sonno, causa isolamento. Giusto limitarne l’uso”.


Intervista alla dottoressa Angela Grassi


Di Fabio Gervasio

Il digitale tra opportunità e rischi. Ne abbiamo parlato con la Dottoressa Maria Angela Grassi, Pedagogista, Psicologa, Fondatrice e Direttrice della Rivista Professione Pedagogista, Pubblicista e Presidente di ANPE, l’Associazione Nazionale dei Pedagogisti Italiani, che opera nel settore dal 1990 e che ha promosso l’approvazione della legge 55/2024, riguardante Disposizioni in materia di ordinamento delle professioni pedagogiche ed educative e istituzione dei relativi albi professionali.

Dottoressa Grassi, ultimamente si parla molto sull’opportunità di introdurre un divieto sull’utilizzo di smartphone e social media legati ad una specifica età, tanto da portare ad una petizione firmata da molti professionisti del settore educativo. Ci dice cosa ne pensa e se è utile introdurre delle limitazioni?

Inizialmente, ero piuttosto scettica riguardo all’idea di introdurre un divieto sull’utilizzo di smartphone e social media per determinate fasce di età, poiché ritenevo che un approccio restrittivo non fosse educativo e potesse essere percepito come una limitazione alla libertà dei giovani. Tuttavia, dopo aver approfondito il tema, ascoltando il parere di esperti del settore, in particolare medici e neurologi, ho cominciato a rivedere la mia posizione. Gli studi scientifici che analizzano gli effetti degli smartphone e dei social media sulla salute mentale e fisica dei bambini e dei ragazzi sono sempre più preoccupanti. Il loro uso eccessivo è associato a problematiche come l’aumento dei disturbi dell’umore, dell’ansia, e dei problemi legati al sonno, nonché a disturbi della concentrazione e al rischio di isolamento sociale.

Ma non sono solo la salute mentale e fisica a essere a rischio: l’utilizzo prolungato e senza regole di dispositivi tecnologici influisce anche negativamente sull’apprendimento e sul rendimento scolastico. Diversi studi hanno evidenziato come l’uso incontrollato degli smartphone e dei social media possa ridurre la capacità di concentrazione dei ragazzi, rallentare la memoria a breve termine e compromettere la qualità del sonno, un fattore cruciale per la memorizzazione e il recupero delle informazioni apprese durante il giorno. La continua distrazione causata dalla disponibilità di notifiche, messaggi e interazioni sui social impedisce loro di immergersi profondamente nelle attività scolastiche, rendendo più difficile lo studio e l’assimilazione delle informazioni.

Alla luce di queste evidenze, credo che sia opportuno intervenire con misure più forti, come l’introduzione di limitazioni sull’utilizzo di dispositivi tecnologici da parte dei più giovani. Queste misure non devono però essere percepite come un divieto fine a sé stesso, ma come un’opportunità per educare alla responsabilità digitale, proteggendo i nostri ragazzi da rischi che, se non correttamente gestiti, potrebbero compromettere non solo la loro crescita psicologica e sociale, ma anche il loro rendimento scolastico. È fondamentale, infatti, accompagnare queste restrizioni con un’educazione mirata sull’uso consapevole e salutare della tecnologia, affinché i ragazzi possano trarne il massimo beneficio senza esserne sopraffatti.

Per quanto riguarda la scuola il Ministro Valditara ha già approvato un provvedimento sul divieto, dall’altro lato sarebbero le famiglie a dover vigilare sui propri figli. In una società dove i genitori vivono grosse difficoltà, dovute ad un modello educativo in crisi e ad una cronica mancanza di tempo, è possibile realizzare questa alleanza?

Come pedagogista e Presidente dell’ANPE, credo fermamente che i pedagogisti possano e debbano svolgere un ruolo centrale nel facilitare e supportare l’alleanza tra scuola e famiglia, in particolare su temi complessi come quello del divieto d’uso degli smartphone e dei social media. È vero che oggi le famiglie si trovano ad affrontare difficoltà crescenti, legate sia ai modelli educativi in crisi che alla scarsità di tempo e risorse. Tuttavia, non credo che questo debba rappresentare un ostacolo insormontabile, ma piuttosto un’opportunità per creare soluzioni condivise.

La scuola e le famiglie sono chiamate a lavorare insieme per il benessere dei ragazzi, ma affinché questa alleanza sia efficace, è necessario che entrambe le parti ricevano un supporto adeguato. I pedagogisti, con la loro esperienza, sono in grado di facilitare questo dialogo, aiutando sia i docenti che i genitori a comprendere i bisogni dei ragazzi e a sviluppare strategie educative che possano essere messe in pratica concretamente, nonostante le difficoltà quotidiane.

Il nostro compito è quello di fornire strumenti pratici e supporto continuo, creando momenti di formazione e di confronto, affinché genitori e insegnanti possano collaborare in modo più consapevole ed efficace. La responsabilità educativa non può essere delegata esclusivamente alla scuola o alla famiglia: entrambe le istituzioni devono agire come partner in un progetto comune di crescita. I pedagogisti possono essere il ponte tra questi due mondi, favorendo una comunicazione aperta e promuovendo azioni che siano realistiche e sostenibili, tenendo conto delle reali difficoltà che le famiglie e gli insegnanti si trovano ad affrontare.

In Italia a scuola si consolida sempre più la figura dello psicologo ma manca quella specialistica del pedagogista, la prima cura il disagio, la seconda cerca di prevenirlo. Lei che guida un’associazione come l’ANPE, non ritiene che sarebbe importante dotare le scuole di questi professionisti soprattutto per educare i ragazzi anche su un uso corretto dei dispositivi digitali?

Condivido pienamente la sua osservazione: la figura del pedagogista nelle scuole è fondamentale e, sebbene lo psicologo svolga un ruolo importante nel supportare i ragazzi che affrontano situazioni di disagio, è altrettanto fondamentale che i pedagogisti siano presenti per affrontare il disagio in modo preventivo, lavorando a monte per educare i bambini e i ragazzi a un uso consapevole e corretto dei dispositivi digitali. La presenza dei pedagogisti nelle scuole, anche nell’ambito dell’educazione digitale, risponde a una necessità che oggi è sempre più urgente.

Il pedagogista non si limita a intervenire in situazioni già problematiche, ma si occupa di formare e sensibilizzare le nuove generazioni, proponendo percorsi educativi che li aiutino a comprendere l’importanza di un uso equilibrato della tecnologia. Attraverso attività di ascolto e supporto, il pedagogista è in grado di cogliere le difficoltà e i segnali precoci di disagio, prima che possano trasformarsi in problemi più gravi. Il lavoro preventivo è quindi essenziale per sviluppare la resilienza nei ragazzi e aiutarli a navigare il mondo digitale in modo sano e consapevole.

Inoltre, il pedagogista è un professionista in grado di collaborare con tutte le componenti scolastiche, contribuendo a creare un ambiente di apprendimento positivo e inclusivo. Insieme agli insegnanti, i pedagogisti possono promuovere un’educazione digitale che non si limiti solo all’insegnamento dell’uso della tecnologia, ma che affronti anche le problematiche legate all’isolamento, alla dipendenza digitale, e alla gestione delle emozioni e delle relazioni online.

Credo che investire nella presenza dei pedagogisti nelle scuole possa contribuire non solo ad arricchire l’offerta educativa, ma sia una risposta concreta e necessaria per affrontare le sfide del mondo contemporaneo, preparando i giovani a diventare cittadini digitali responsabili e a prevenire le varie forme di disagio prima che emergano.

Un’ultima domanda, abbiamo parlato di educare al buon uso di smartphone e social media, ma quant’è importante anche dare il buon esempio mettendo in pratica noi stessi le indicazioni che diamo ai nostri ragazzi?

Sono convinta che la frase di Paolo Borsellino, ‘Si educa con quello che si dice, ancor di più con quello che si fa, ma molto di più con quello che si è’, rappresenti una verità fondamentale, che si applica perfettamente anche al contesto educativo di oggi. Educare non significa solo impartire nozioni o imporre regole, ma soprattutto essere un modello per i giovani. Nel contesto digitale, questo principio è ancora più rilevante. I ragazzi, infatti, apprendono non solo dai discorsi degli adulti, ma soprattutto dal comportamento che questi ultimi adottano nelle loro interazioni quotidiane, anche nel mondo digitale.

Se vogliamo educare i giovani a un uso consapevole dei dispositivi digitali, dobbiamo essere i primi a dimostrare come utilizzare la tecnologia in modo equilibrato, responsabile e rispettoso. Il nostro esempio è fondamentale. Un adulto che vive la tecnologia come un’opportunità di crescita e non come una dipendenza, che sa fare un uso critico e riflessivo delle risorse digitali, diventa un modello di riferimento per i giovani.

In questo senso, il ruolo dei pedagogisti, così come quello degli insegnanti e dei genitori, è cruciale. Non si tratta solo di insegnare, ma di accompagnare i ragazzi in un percorso di consapevolezza che li aiuti a comprendere le potenzialità e i rischi della tecnologia. Si educa anche attraverso l’ascolto, la presenza, e soprattutto l’esempio. Solo così potremo sperare di formare una generazione in grado di affrontare il mondo digitale con consapevolezza, equilibrio e responsabilità.

Orizzonte Scuola

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