- di Alessandro D’Avenia
Un mese fa ho partecipato alla Fiera del libro di Francoforte. Al di là dell'intervento che ho tenuto in Fiera sul perché abbiamo bisogno dei classici, ho potuto incontrare i lettori in due eventi esterni in occasione dell'uscita del romanzo L'Appello in tedesco, in una scuola e in un centro culturale.
Chissà
che questi fatti, anche dopo un mese (il «distante» rimane «istante» solo in
base al livello di intensità della verità toccata), non risuonino anche in voi,
cari lettori. Se li racconto è perché per me sono Memoria, cioè, nel mito
greco, la madre delle Muse e non il passato o un archivio dati, come la
intendiamo oggi, ma un presente che genera e non passa mai, e che, ricordato,
produce la stessa serotonina (ormone della felicità) di quando viene vissuto,
energia rinnovabile e sempre disponibile. Solo di questa Memoria la Musa può
esser figlia. E voi di cosa fate Memoria oggi? Provando a rispondere scoprirete
dove è per voi la Musa, la vita che non muore, ispirazione e gioia a comando.
Comincio io.
Stupore
e amore
Lo
stupore genera amore e l'amore conoscenza, e la conoscenza nuovo stupore: il
circolo virtuoso e gioioso dell'esistenza (stupore-amore-conoscenza). Quel
quadro mi ricorda chi sono e che ci sto a fare qui. Potrebbe sembrare un
incantesimo lanciato sulla vita che è spesso opaca e ripetitiva, ma l'arte
esiste proprio per questo: ricordarci che la vita è gioia e siamo noi che
dobbiamo smettere di tradirla e di tradirci inseguendo illusioni e menzogne. Ne
ho avuto conferma quando, di sera, ho incontrato i lettori tedeschi. Mentre,
come il geografo, cercavo di mettere in ordine il mondo con le mie parole, la
mia attenzione è stata attratta, come la luce che sorprende l'uomo nel quadro,
da una un'anziana signora che, per tutto il tempo della presentazione, mentre
ascoltava, si prendeva cura del marito in carrozzina: gli aggiustava la giacca
contro il freddo, gli asciugava la saliva, gli dava una carezza... Alla fine
dell'incontro una signora in fila per le dediche mi ha detto: «Per Otto». Le ho
chiesto chi fosse Otto e lei mi ha risposto «Mio marito, ma non è in fila con
me». Avendola riconosciuta come la signora che si prendeva cura del marito, le
ho scritto: «A Otto, un uomo molto amato». Lei, commossa, mi ha confidato che
tutte le mattine lui le dice che è stato fortunato a trovare la donna migliore
che gli potesse capitare, e lei gli risponde: «Anche io». Tutti ci siamo
fermati e, investiti da una luce simile al quadro di Vermeer, abbiamo sentito
che volevamo un amore così.
Più
tardi, vagando per la città e pensando ancora a quella coppia, mi sono
ritrovato sul famoso Eiserner Steg, il ponte di ferro che, con alterne vicende,
collega dal 1868 il centro ai quartieri oltre il fiume Meno. Una gigantesca
scritta in greco svettava sul ponte. Che ci faceva lì? Qualche anno fa un
artista ha voluto che in cima fosse ben visibile un verso dell'Odissea:
«Navigando sul mare colore del vino verso genti che parlano altre lingue». Ho
attraversato il ponte (Omero, in questo verso, chiama il mare con uno dei suoi
nomi greci: pontos, termine che ne indica la capacità di fare proprio da
“ponte” tra terre e tra uomini) e, vicino ai tanti stranieri che lo
attraversavano, ho sentito che Omero aveva ragione: siamo tutti compagni di
viaggio nello stesso mare della vita e con una meta comune: casa.
«Fiera»
significa giorno festivo, e così è stata per me quella di Francoforte: una
festa di incontri, in cui il mondo mi ha chiesto ancora una volta di tornare a
stupirmi, per amare di più e conoscere di più. Che altro ci sarebbe da fare
sulla Terra? Che altro da ricordare in una vita?
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