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-di Alberto Caprotti
Togliere,
limare, diminuire: alla fine, sono sempre questi i verbi del presente.
Che fanno
bene alla testa prima ancora che al cuore, perché probabilmente aiutano a
vivere meglio.
Ma che
presuppongono di rimettere qualcosa “dentro” per compensare il vuoto cosmico
che lasciano e che ci circonda fuori.
Vogliamo
mangiare senza olio di palma, certamente, ma la nostra è anche la civiltà senza
sentimenti, senza tempo, senza cortesia, senza confidenza, senza vita.
Eliminiamo, razionalizziamo, “ottimizziamo” come dicono quelli che parlano difficile e sanno fare i bilanci.
E il conto finale è più magro, in tutti i sensi.
Mancano i
contenuti, ma anche semplicemente i “con” e tutti gli accessori limitrofi. I
confini allargati, i congiuntivi giusti, i consigli utili, le conseguenze
positive, i contatti costruttivi, i concetti intelligenti.
Senza
sale è diventato un modo di essere di troppi, un gusto amaro di rinuncia
che non fa bene affatto.
Senza
tanto, resta quasi nulla.
E la certezza che si stava meglio solo quando
c’era qualcosa che condiva il tutto.
Per
questo la nostra generazione cresciuta a forza di “senza”, dovrebbe rivalutare
il valore del “con”.
Prefisso di condividere, che poi è voce del verbo moltiplicare.
Vorrei ricordarmi di non
dimenticarmelo, con forza e senza dubbi.
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