che è una richiesta
Scarsa eco hanno avuto, sui mezzi di comunicazione e
nell’opinione pubblica- assorbiti dal “tormentone” della crisi di governo – le
parole di papa Francesco, il 30 gennaio scorso, ai partecipanti all’Incontro
promosso dall’Ufficio catechistico nazionale della Conferenza episcopale
italiana: «Dopo cinque anni, la Chiesa italiana deve tornare al Convegno di
Firenze, e deve incominciare un processo di Sinodo nazionale, comunità per
comunità, diocesi per diocesi».
In realtà, più che un invito, quella del papa sembra una
precisa richiesta, rivolta alla Chiesa italiana in un momento in cui essa
appare tramortita non solo dal Covid, ma dalla difficoltà di trovare forme di
inserimento efficaci nella crisi culturale, sociale e politica della nostra
società. E, in effetti, c’è un nesso profondo tra il richiamo del pontefice e
questa crisi, di cui la pandemia ha solo evidenziato – non determinato – la
gravità.
Uno scenario di frammentazione e di violenza
Siamo davanti allo scenario di un Paese che ha visto
progressivamente dissolversi i legami di amicizia sociale e di solidarietà, ben
prima che per la preoccupazione del contagio, per il dilagare di stati d’animo
incontrollati di rabbia, di paura e di odio, peraltro alimentati e
strumentalizzati dalle forze politiche, che li orientano cinicamente per i loro
scopi.
Rispecchia perfettamente la situazione italiana il quadro
tracciato da papa Francesco nella sua ultima enciclica: «Oggi in molti Paesi si
utilizza il meccanismo politico di esasperare, esacerbare e polarizzare. Con
varie modalità si nega ad altri il diritto di esistere e di pensare, e a tale
scopo si ricorre alla strategia di ridicolizzarli, di insinuare sospetti su di
loro, di accerchiarli. Non si accoglie la loro parte di verità, i loro valori,
e in questo modo la società si impoverisce e si riduce alla prepotenza del più
forte. La politica così non è più una sana discussione su progetti a lungo
termine per lo sviluppo di tutti e del bene comune, bensì solo ricette effimere
di marketing che trovano nella distruzione dell’altro la risorsa più
efficace. In questo gioco meschino delle squalificazioni, il dibattito viene
manipolato per mantenerlo allo stato di controversia e contrapposizione» (Fratelli
tutti, n.15).
Crisi sulle teste dei cittadini…
Si capisce, perciò, perché, malgrado la sbandierata pretesa
del populismo di dar vita a forme più dirette di coinvolgimento della gente
nella gestione della cosa pubblica, da alcuni anni nel nostro Paese siamo
testimoni attoniti di improvvise crisi di governo che si verificano senza che i
cittadini possano neppure capirne le ragioni e che si svolgono sulle loro
teste, oltre che sulla loro pelle.
… Costretti, ogni volta, ad aspettare un “messia”
Si capisce anche perché, invece di poter contare sull’impegno
solidale delle diverse componenti partitiche, il Paese sia costretto a sperare
nella sospensione delle logiche dei partiti e nell’avvento di un deus
ex machina che dall’alto scenda a salvarli dal caos che quelli hanno
determinato. E buon per noi che ci siano un presidente della Repubblica come
Mattarella, in grado di evocare questo prodigio, e una persona seria come
Draghi, degno sicuramente di incarnare correttamente questo ruolo quasi
messianico.
Ma resta il quadro disastroso entro cui queste figure
dignitose sono costrette a operare e che neppure loro possono cambiare alla
radice.
L’idea del Sinodo e il rapporto tra cattolici e politica
Ebbene, non è un caso che proprio in questo contesto papa
Francesco chiami i cattolici italiani a celebrare un Sinodo. Lo aveva già
fatto, implicitamente, nel discorso tenuto al convegno delle Chiese d’Italia, a
Firenze, nel 2015, quando, dopo aver osservato che «le situazioni che viviamo
oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da
comprendere», aveva detto ai convenuti: «Spetta a voi decidere: popolo e
pastori insieme».
L’appello era però rimasto senza risposta. A riprenderlo era
stato un uomo molto vicino al pontefice, il gesuita Antonio Spadaro, direttore
della Civiltà Cattolica, in un articolo del febbraio del 2019 e proprio in
rapporto ai problemi della società italiana.
La domanda da cui partiva padre Spadaro era: «Come possono i
cristiani contribuire a una sana democrazia e a un governo veramente popolare
della nostra Italia?» Perché, sottolineava l’autore, citando le parole di papa
Francesco al Convegno di Firenze, «i credenti sono cittadini».
I nemici del cristianesimo e della democrazia
Ora, secondo l’articolo, ad essere in gioco non è solo la
politica, ma anche la proposta religiosa della Chiesa, perché i nemici della
democrazia sono gli stessi che stanno sempre più allontanando il popolo
italiano dalla sua tradizione cattolica: «La paura, l’ostilità, il sentirsi
minacciati, la frattura dei legami sociali e la perdita del senso di
fratellanza umana e di solidarietà. Nella società sta venendo meno la fiducia: nei
medici, negli insegnanti, nei politici, negli intellettuali, nei giornalisti,
negli uomini del sacro…».
Il discorso di Mattarella
Padre Spadaro concludeva riferendosi al discorso di fine anno
2018 del presidente Mattarella: «Possiamo riconoscere il nostro compito oggi
come discepoli di Cristo impegnati nelle tensioni della nostra moderna
democrazia in due punti evidenziati dal Presidente: da una parte, contrastare
le “tendenze alla regressione della storia”; dall’altra, fare la nostra parte
per costruire il Paese come “comunità di vita”, curando le ferite dei legami
spezzati e della fiducia tradita. E questo potrà avvenire solamente grazie a un
largo coinvolgimento del popolo di Dio, in un processo sinodale non ristretto
né alle élites del pensiero cattolico né ai contesti
(specifici e importanti) di formazione».
Il Sinodo come “cammino comune”
Nella tradizione cristiana, infatti, il concetto di «Sinodo»
– che significa “cammino comune”– comporta che persone della più diversa
estrazione – laici e presbiteri, pastori e fedeli, uomini e donne,
intellettuali persone di scarsa istruzione – si riuniscano, in un clima di
fraternità, per mettere a confronto i loro differenti punti di vista e le loro
differenti esperienze, in vista di una visione “sinfonica” dei problemi e delle
possibili soluzioni. Dove ciò che conta non è solo l’esito di questo processo,
ma lo stesso processo che la sinodalità implica.
Un silenzio inquietante
In realtà di questo stile sinodale nelle nostre Chiese c’è
ancora scarsa traccia. E questo spiega probabilmente perché l’invito rivolto
allora dal pontefice sia caduto nel vuoto – anche dopo l’articolo di Spadaro e
dopo esser stato ripreso dallo stesso Francesco, in un discorso all’Assemblea
della CEI, nel maggio 2019 –, con la sola eccezione di qualche vescovo, come
quello di Rieti, Domenico Pompili, quello di Palermo, Corrado Lorefice, e
quello di Modena, Erio Castellucci.
C’è da temere che questo silenzio inquietante sia dovuto a
una carenza di creatività e di entusiasmo dei cattolici italiani, che rende
problematica la prospettiva di un’avventura innovatrice come sarebbe quella
sinodale che spiega, tra l’altro, la loro difficoltà attuale di avere un ruolo
incisivo nella crisi della politica e della società italiane.
Proprio per questo, però, il papa chiede il Sinodo, nella
convinzione che esso costringerebbe i cattolici a un rinnovamento da cui
deriverebbe anche una ben più dinamica e creativa presenza nella città terrena.
Era l’ipotesi avanzata da Antonio Spadaro: «L’esercizio della sinodalità e
quello della democrazia sono cose diverse come metodo. Ma si può facilmente
cogliere quanto sia importante la sinodalità nella Chiesa per
discernere le forme dell’impegno democratico dei cristiani affinché
essi siano – come ci chiedeva Francesco alla fine del suo discorso di Firenze –
“costruttori dell’Italia”».
La città terrena può ancora contare sulle risorse spirituali
dei cattolici?
Ora il papa ritorna, con tutta la sua autorità, sulla
proposta di un Sinodo, ignorata in questi cinque anni (una sola perplessità:
perché non parlarne direttamente, in privato, col presidente della CEI?). Non è
facile prevedere se avrà la meglio la sua volontà di cambiare le cose o la
forza d’inerzia che sembra dominare il clima ecclesiale del nostro Paese.
In realtà un Sinodo dei cattolici italiani sarebbe
un’occasione di rinnovamento delle comunità cristiane che andrebbe molto al di
là delle sue ricadute sulla crisi sociale e politica del nostro Paese. Ma, in
quanto quest’ultima ne rivela una spirituale più profonda e mette in
discussione aspetti decisivi del messaggio cristiano, come la fraternità, il
collegamento tra il futuro della Chiesa e quello della democrazia non è
peregrino.
In un recente passato la vitalità del mondo cattolico ha
costituito per la politica un riserva spirituale ed etica fondamentale. Si
pensi ad uomini come De Gasperi, La Pira, Dossetti e al ruolo svolto
dall’associazionismo cattolico per formare i quadri della Democrazia cristiana
nel dopoguerra. La domanda è se la città terrena può ancora sperare di fruire
delle risorse spirituali della comunità cristiana. La risposta dipende da noi.
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