- Dal
Vangelo secondo Marco - Mc 9,2-10
Se non possiamo cambiare la realtà, possiamo
cambiare il nostro sguardo su di essa.
Qui parliamo d’altro.
Di guardare la realtà mettendoci dal punto di vista di Dio.
perché Dio ci ha insegnato a metterci dalla sua parte, ad alzare lo sguardo.
Così anche una pandemia che ci ha e ci sta duramente provando può diventare opportunità, occasione di tornare all’essenziale. Come ci racconta il vangelo di oggi. È lo sguardo dei discepoli che vede Gesù in maniera nuova, luminosa.
Come se, finalmente, si accorgessero della possente luce
interiore che emerge dalla persona di Gesù. Oltre il rabbino, il Maestro, il
profeta, per la prima volta vedono con uno sguardo nuovo il volto di Gesù.
Trasfigurato.
Anche se, nell’originale, si parla di metamorfosi. Lo sguardo altro. Un cambiamento della condizione in cui si viene a trovare Gesù. Colmo di luce.
Possiamo essere cristiani da sempre, ed essere cresciuti a
pane e Vangelo; possiamo frequentare la parrocchia e andare a Messa, finanche
essere preti e suore e volere bene a Gesù, rispettarlo, amarlo, finanche. Ma
quello che cerchiamo è uno sguardo diverso su di lui.
Una metamorfosi.
Così come possiamo guardare a questo deserto in cui siamo immersi da tempo, deserto di affetti, di sogni, di certezze, di abbracci, per vederlo non come il luogo della prova, del vagare impaurito del popolo di Israele, liberato ma non ancora libero. Ma come il luogo del fidanzamento in cui, come dice Osea, Dio conduce la sua amata.
E sì, dobbiamo ammettere che questa lunga pandemia può
diventare non solo il luogo della depressione, ma quello in cui, crollata ogni
certezza, non vediamo più altro se non Gesù solo, con noi. Perché
è il Tabor la meta del nostro cammino.
Per sopportare e superare il Golgota abbiamo bisogno di impregnarci di luce, di fare memoria della gioia, di inebriarci di festa, di lasciarci abbracciare dall’infinita bellezza del Dio di Gesù. Il dolore lo si può affrontare solo se le nostre sporte di speranza sono colme. Ma c’è una condizione necessaria per contemplare la bellezza di Dio. Salire.
Dalla pianura
Gesù prende con sé tre dei suoi discepoli per salire sul
Tabor. Per vedere la bellezza di Dio dobbiamo osare ed abbandonare la pianura
della quotidianità della ripetitività, dell’assuefazione, della paura, dello
scoraggiamento, del vittimismo. Questo grande dono che è il tempo della
Quaresima ci aiuta ad andare oltre, più in alto.
Alzare lo sguardo magari prendendoci mezza giornata vera di
pausa, di silenzio, di pace.
Le nostre anime languono se non abbiamo il coraggio di porre una diga ai pensieri, agli impegni, all’angoscia.
Su quella piccola collina – chiamarlo un alto monte è più un riferimento al Sinai che una precisazione topografica – i tre discepoli vedono Gesù in una maniera nuova, diversa. È sempre lui ma non è lui. Lo sguardo delle altezze ha loro affinato l’anima. Vedono tutta la luce che emana dalla persona del Maestro. Gesù parla con Mosè ed Elia. La Legge e i Profeti.
Per la comunità che legge il vangelo di Marco è un’evidente
conferma dell’identità nascosta del Nazareno. Per noi, oggi, è un invito a
metterci sulla strada della liberazione come il popolo di Israele e ad
accogliere ed ascoltare le tante profezie che ancora ci giungono.
Luca, tenero, ci aggiorna sull’argomento del colloquio:
parlano con Gesù della sua dipartita, della sua Passione. Come ad
incoraggiarlo. È bello! È Pietro a parlare, ora. A dire il vero non sa nemmeno
cosa dire, balbetta, farfuglia.
È bello per noi stare qui.
Ci sono momenti, nella preghiera, nella meditazione, durante
una passeggiata in mezzo alla natura, in cui abbiamo la percezione profonda e
precisa della bellezza di Dio. Essere invasi, abitati dalla sua immensa luce,
avere la netta percezione di altro da noi stessi, di Qualcuno che ci sfiora, è
un dono delicato dello Spirito.
È un momento indescrivibile e che, pure, chi ha vissuto
riconosce. Ma guai a farne la stabile dimora. Guai a cedere al sentimentalismo,
alla gioia per la gioia.
Se Dio ci concedere attimi di gioia intensa e inattesa, di
percezione della bellezza, è per suscitare i noi il desiderio del cammino.
Che prosegue se abbiamo la costanza di ascoltare il Figlio
amato. di scrutarla ed accoglierla questa Parola che ribalta la vita. Parola
che emerge dalla nube che richiama la teofania di Dio sul monte nel deserto.
Non possediamo la Parola, la accogliamo, la riceviamo come un
dono prezioso da scrutare. E che ci nutre di bellezza. Ora, annota Marco/Pietro, i discepoli non
vedono più nessuno, se non Gesù, solo, con loro. Affinare questo
sguardo ci permette di vedere che Cristo, l’unico, rimane con noi qualunque
cosa accada.
Risorgere dai morti
Scendono, ora, i discepoli. Felici e storditi. Colmi di un
gravido e complice silenzio. Non si può dimorare sempre sulla cima del monte.
Bisogna scendere. Perché Gesù, ora, scende in mezzo alla folla amata. Il Tabor
si può prescrivere solo a piccole dosi. E chiede di non raccontare nulla fino
alla sua resurrezione. Annuiscono, i discepoli. Ma, annota Marco, non sanno
cosa significhi risorgere dai morti. Risorgere significa
trasfigurarsi, una vera metamorfosi del corpo e dell’anima.
A noi, in questa quaresima, è chiesto di cambiare, di
fare metamorfosi del nostro modo di vedere le cose e gli
altri.
Verso il Tabor definitivo.
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