Papa Francesco: Per uscire da una pandemia, occorre curarsi e curarci a vicenda. E bisogna sostenere chi si prende cura dei più deboli, dei malati e degli anziani. C’è l’abitudine di lasciare da parte gli anziani, di abbandonarli: è brutto, questo. Queste persone – ben definite dal termine spagnolo “cuidadores”, coloro che si prendono cura degli ammalati – svolgono un ruolo essenziale nella società di oggi, anche se spesso non ricevono il riconoscimento e la rimunerazione che meritano. Il prendersi cura è una regola d’oro del nostro essere umani, e porta con sé salute e speranza (cfr Enc. Laudato si’ [LS], 70). Prendersi cura di chi è ammalato, di chi ha bisogno, di chi è lasciato da parte: questa è una ricchezza umana e anche cristiana.
Questa cura, dobbiamo rivolgerla anche alla nostra casa
comune: alla terra e ad ogni creatura. Tutte le forme di vita sono
interconnesse (cfr ibid.,
137-138), e la nostra salute dipende da quella degli ecosistemi che Dio ha
creato e di cui ci ha incaricato di prenderci cura (cfr Gen 2,15).
Abusarne, invece, è un peccato grave che danneggia, che fa male e che fa
ammalare (cfr LS,
8; 66).
Il migliore antidoto contro questo uso improprio della nostra casa comune è la
contemplazione (cfr ibid.,
85; 214).
Ma come mai? Non c’è un vaccino per questo, per la cura della casa comune, per
non lasciarla da parte? Qual è l’antidoto contro la malattia di non prendersi
cura della casa comune? È la contemplazione. «Quando non si impara a fermarsi
ad ammirare e apprezzare il bello, non è strano che ogni cosa si trasformi in
oggetto di uso e abuso senza scrupoli» (ibid.,
215). Anche in oggetto di “usa e getta”. Tuttavia, la nostra casa comune, il
creato, non è una mera “risorsa”. Le creature hanno un valore in sé stesse e
«riflettono, ognuna a suo modo, un raggio dell’infinita sapienza e bontà di
Dio» (Catechismo
della Chiesa Cattolica, 339). Questo valore e questo raggio di luce
divina va scoperto e, per scoprirlo, abbiamo bisogno di fare silenzio, abbiamo
bisogno di ascoltare, abbiamo bisogno di contemplare. Anche la contemplazione
guarisce l’anima.
Senza contemplazione, è facile cadere in un antropocentrismo
squilibrato e superbo, l’“io” al centro di tutto, che sovradimensiona il nostro
ruolo di esseri umani, posizionandoci come dominatori assoluti di tutte le
altre creature. Una interpretazione distorta dei testi biblici sulla creazione
ha contribuito a questo sguardo sbagliato, che porta a sfruttare la terra fino
a soffocarla. Sfruttare il creato: questo è il peccato. Crediamo di essere al
centro, pretendendo di occupare il posto di Dio e così roviniamo l’armonia del
creato, l’armonia del disegno di Dio. Diventiamo predatori, dimenticando la
nostra vocazione di custodi della vita. Certo, possiamo e dobbiamo lavorare la
terra per vivere e svilupparci. Ma il lavoro non è sinonimo di sfruttamento, ed
è sempre accompagnato dalla cura: arare e proteggere, lavorare e prendersi
cura… Questa è la nostra missione (cfr Gen 2,15). Non possiamo
pretendere di continuare a crescere a livello materiale, senza prenderci cura
della casa comune che ci accoglie. I nostri fratelli più poveri e la nostra madre
terra gemono per il danno e l’ingiustizia che abbiamo provocato e reclamano
un’altra rotta. Reclamano da noi una conversione, un cambio di strada:
prendersi cura anche della terra, del creato.
Dunque, è importante recuperare la dimensione contemplativa,
cioè guardare la terra, il creato come un dono, non come una cosa da sfruttare
per il profitto. Quando contempliamo, scopriamo negli altri e nella natura
qualcosa di molto più grande della loro utilità. Qui è il nocciolo del
problema: contemplare è andare oltre l’utilità di una cosa. Contemplare il
bello non vuol dire sfruttarlo: contemplare è gratuità. Scopriamo il valore
intrinseco delle cose conferito loro da Dio. Come hanno insegnato tanti maestri
spirituali, il cielo, la terra, il mare, ogni creatura possiede questa capacità
iconica, questa capacità mistica di riportarci al Creatore e alla comunione con
il creato. Ad esempio, Sant’Ignazio di Loyola, alla fine dei suoi Esercizi
spirituali, invita a compiere la “Contemplazione per giungere all’amore”, cioè
a considerare come Dio guarda le sue creature e gioire con loro; a scoprire la
presenza di Dio nelle sue creature e, con libertà e grazia, amarle e
prendersene cura.
La contemplazione, che ci conduce a un atteggiamento di cura,
non è un guardare la natura dall’esterno, come se noi non vi fossimo immersi.
Ma noi siamo dentro alla natura, siamo parte della natura. Si fa piuttosto a
partire da dentro, riconoscendoci parte del creato, rendendoci protagonisti e
non meri spettatori di una realtà amorfa che si tratterebbe solo di sfruttare.
Chi contempla in questo modo prova meraviglia non solo per ciò che vede, ma
anche perché si sente parte integrante di questa bellezza; e si sente anche
chiamato a custodirla, a proteggerla. E c’è una cosa che non dobbiamo dimenticare:
chi non sa contemplare la natura e il creato, non sa contemplare le persone
nella loro ricchezza. E chi vive per sfruttare la natura, finisce per sfruttare
le persone e trattarle come schiavi. Questa è una legge universale: se tu non
sai contemplare la natura, sarà molto difficile che saprai contemplare la
gente, la bellezza delle persone, il fratello, la sorella.
Chi sa contemplare, più facilmente si metterà all’opera per
cambiare ciò che produce degrado e danni alla salute. Si impegnerà a educare e
promuovere nuove abitudini di produzione e consumo, a contribuire ad un nuovo
modello di crescita economica che garantisca il rispetto per la casa comune e
il rispetto per le persone. Il contemplativo in azione tende a diventare
custode dell’ambiente: è bello questo! Ognuno di noi dev’essere custode
dell’ambiente, della purezza dell’ambiente, cercando di coniugare saperi
ancestrali di culture millenarie con le nuove conoscenze tecniche, affinché il
nostro stile di vita sia sempre sostenibile.
Infine, contemplare e prendersi cura: ecco due
atteggiamenti che mostrano la via per correggere e riequilibrare il nostro
rapporto di esseri umani con il creato. Tante volte, il nostro rapporto con il
creato sembra essere un rapporto tra nemici: distruggere il creato a mio
vantaggio; sfruttare il creato a mio vantaggio. Non dimentichiamo che questo si
paga caro; non dimentichiamo quel detto spagnolo: “Dio perdona sempre; noi
perdoniamo a volte; la natura non perdona mai”. Oggi leggevo sul giornale di
quei due grandi ghiacciai dell’Antartide, vicino al Mare di Amundsen: stanno
per cadere. Sarà terribile, perché il livello del mare crescerà e questo
porterà tante, tante difficoltà e tanto male. E perché? Per il
surriscaldamento, per non curare l’ambiente, per non curare la casa comune.
Invece, quando abbiamo questo rapporto – mi permetto la parola – “fraternale”
in senso figurato con il creato, diventeremo custodi della casa comune, custodi
della vita e custodi della speranza, custodiremo il patrimonio che Dio ci ha affidato
affinché ne possano godere le generazioni future. E qualcuno può dire: “Ma, io
me la cavo così”. Ma il problema non è come tu te la caverai oggi – questo lo
diceva un teologo tedesco, protestante, bravo: Bonhoeffer – il problema non è
come te la cavi tu, oggi; il problema è: quale sarà l’eredità, la vita della
generazione futura? Pensiamo ai figli, ai nipoti: cosa lasceremo, loro, se noi
sfruttiamo il creato? Custodiamo questo cammino così diventeremo “custodi”
della casa comune, custodi della vita e della speranza. Custodiamo il
patrimonio che Dio ci ha affidato, affinché possano goderne le generazioni
future. Penso in modo speciale ai popoli indigeni, verso i quali abbiamo tutti
un debito di riconoscenza – anche di penitenza, per riparare il male che
abbiamo fatto loro. Ma penso anche a quei movimenti, associazioni, gruppi
popolari, che si impegnano per tutelare il proprio territorio con i suoi valori
naturali e culturali. Non sempre queste realtà sociali sono apprezzate, a volte
sono persino ostacolate, perché non producono soldi; ma in realtà
contribuiscono a una rivoluzione pacifica, potremmo chiamarla la “rivoluzione
della cura”. Contemplare per curare, contemplare per custodire, custodire noi,
il creato, i nostri figli, i nostri nipoti e custodire il futuro. Contemplare
per curare e per custodire e per lasciare un’eredità alla futura generazione.
Non bisogna però delegare ad alcuni: quello che è il compito
di ogni essere umano. Ognuno di noi può e deve diventare un “custode della casa
comune”, capace di lodare Dio per le sue creature, di contemplare le creature e
di proteggerle.
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