SIATE COME LUI:
NON UNO, MA DIECI, CENTO,
MILLE WILLY
di Alberto Pellay *
La
morte di Willy Monteiro ha riempito noi genitori di orrore, per la violenza di
cui è stato vittima. Ma anche di paura. Pensiamo ai nostri figli, a quando
escono la sera per andare con i loro amici. Ci domandiamo se anche loro
potrebbero trovarsi coinvolti in qualcosa di simile. In fin dei conti, se siamo
buoni genitori, li dovremmo aver educati a comportarsi proprio come Willy.
Ovvero a intervenire nel caso in cui un loro amico si trovi in difficoltà, a
mostrare empatia nei confronti di chi soffre, a fermare ogni azione di
violenza. In questi giorni ho sentito molti genitori consigliare ai propri
figli: «Tu non fare come Willy. Se ti accorgi, mentre sei fuori, che qualcuno
si sta mettendo nei pasticci, tu scappa via e molla tutto».
È
comprensibile questa reazione. Ma, dal punto di vista educativo, è anche la più
sbagliata. Noi educatori, infatti, dobbiamo contribuire a riempire il mondo di
belle persone, come Willy sapeva essere. Se disattiviamo nei nostri figli
quella naturale ed empatica spinta a fare ciò che è bene e ciò che è giusto, se
insegniamo loro che la strada del coraggio è troppo pericolosa e quindi conviene
rimanere riparati nel territorio della paura, succederà che quelli come i
fratelli Bianchi si prenderanno – sempre più – il controllo del territorio.
Porteranno la loro violenza tossica, la loro criminale potenza bullista al
centro di ogni piazza e si sentiranno i 're del mondo'. Ma se ogni ragazzo sa
fare quello che ha fatto Willy, i bulli si troveranno soli e isolati.
Quelli
impauriti diventeranno loro. Viviamo in un mondo che, almeno in parte, esalta
la violenza tossica, che induce i nostri figli maschi a credere che si diventa
potenti e popolari quando si coltiva la forza dei muscoli e non quella della
mente. Perché, alla fine, vince chi fa fuori l’altro. E perché la prepotenza è
molto più vantaggiosa della competenza. È proprio per questo che oggi piangiamo
un ragazzo come Willy, che tutti descrivono come un giovane uomo, promettente e
pieno di bellezza. Attendiamo che la giustizia insegni con una punizione
magistrale ai fratelli Bianchi e ai loro complici che la loro violenza
criminale e stupida, alla fine, li ha fatti finire nell’unico posto in cui
potranno comprendere il disastro di cui si sono resi colpevoli.
Però,
noi tutti non smettiamo mai di dire ai nostri figli, quando escono di casa:
«Sii come Willy. Fai come lui e aiuta i tuoi amici a fare altrettanto».
Altrimenti muore ogni speranza. E l’educazione diventa solo un miraggio
irraggiungibile. Certo, chi controlla il rispetto della legge nei nostri paesi
e nelle nostre città, deve aiutare noi genitori a dare senso al nostro progetto
educativo. Perché altrimenti la frase «Sii come Willy» rischia di diventare
un’incitazione al martirio.
Che
poi è esattamente quello che è successo a lui. Forse molti genitori ed
educatori, di fronte a queste parole si sentono provocati. Io preferirei che
tutti insieme, noi adulti, ci sentissimo interpellati, perché siamo proprio noi
– genitori, educatori, docenti, sacerdoti, allenatori sportivi – che dobbiamo
continuare a far tenere alto lo sguardo ai nostri ragazzi e ragazze, ai nostri
figli, ai nostri studenti. Mi auguro anch’io che la storia di Willy Monteiro
arrivi sui banchi di tutte le classi di scuola secondaria, in questo inizio di
anno scolastico. E che permetta a tutti i nostri figli, di sentire che nelle
loro scuole, nelle loro città, nei loro gruppi di amici ci devono essere non
uno, ma dieci, cento, mille Willy.
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