L’indagine dell’Osservatorio dell’Istituto Toniolo
sull’istruzione in Italia
C’è fiducia nel sistema, ma chiedono più ore di lezione, più tecnologie, più inglese, attenzione al singolo e un legame col mondo del lavoro.
Il nostro modello ha eccellenze, ma molti limiti: gli
studenti italiani hanno performance più basse in lettura, matematica e scienze
e troppi lasciano gli studi prima di un diploma superiore
i DIEGO MESA *
All’interno di questo quadro le indagini dell’'Osservatorio
Giovani' del-l’Istituto Toniolo – l’ente fondatore dell’Università Cattolica,
di cui il 20 settembre si tiene la 96ª Giornata, tema: «Alleati per il futuro »
– hanno monitorato l’esperienza che i diretti beneficiari, i giovani, hanno
avuto del sistema di istruzione, la loro idea di scuola e le loro aspettative
di cambiamento. Ne emerge una visione disincantata e al tempo stesso sfidante
di una scuola come esperienza formativa fondamentale da rivedere, valorizzare
e rilanciare a vari livelli. I n un’indagine dell’Osservatorio
Giovani effettuata prima dell’emergenza Covid-19 è stato chiesto a un campione
di giovani tra i 18 e i 34 anni a cosa serve secondo loro la scuola. Per
almeno sette su dieci serve ad aumentare le conoscenze e le
abilità personali (77,7%) a imparare a ragionare (75,1%) e a stare
con gli altri (73,4%). Sei su dieci pensano che serve a capire
le proprie attitudini e (63,5%) e formare dei cittadini
consapevoli (60,4%). Poco più della metà pensa che la
scuola serve ad affrontare la vita (52,2%) o a trovare un lavoro
migliore (53,4%). Il 44,5% pensa che possa servire a trovare più facilmente
lavoro (44,5%) e per meno di un terzo è utile a capire come funziona il mondo
del lavoro. Questa graduatoria pone in evidenza i pregi sotto il profilo della
crescita personale, culturale e sociale, ma anche le criticità che i giovani
rilevano soprattutto nella mancanza di raccordi istituzionali tra il sistema di
istruzione e il percorso di orientamento e inserimento nel mercato del lavoro.
I n merito agli insegnanti, la spina dorsale del
sistema, i giovani riconoscono loro maggiori competenze nella preparazione sui
contenuti della disciplina, nello spiegare e valutare e nella gestione delle
relazioni, mentre ritengono meno diffuse le capacità di adattamento e
risoluzione di problemi inediti, di supporto individuale e di capacità di
motivare allo studio. Rispetto alle ipotesi su cosa andrebbe implementato i
giovani individuano una molteplicità di fronti. Limitandoci a quelli più
consistenti, segnaliamo che oltre sei giovani su dieci propongono l’aumento dei
giorni complessivi di scuola, l’aumento delle possibilità di scelta delle
discipline, dell’uso delle nuove tecnologie, delle attività laboratoriali e,
poco al di sotto del- la soglia del 60%, l’aumento degli scambi culturali
con scuole straniere, l’implementazione delle lingue straniere e degli stage e
tirocini lavorativi. A emergere è una richiesta complessiva e pressante di
maggiore investimento in una scuola più dinamica e aperta alle innovazioni, all’internazionalizzazione,
al dialogo con il mondo del lavoro e alle istanze e attitudini proprie dei
singoli studenti.
I n questa prospettiva, l’evento della Pandemia ha rappresentato un’opportunità positiva che non va sprecata, quantomeno sul piano della riduzione del divario digitale tra insegnanti e studenti e della digitalizzazione delle scuole. Va da sé che la didattica a distanza, per quanto possa rappresentare un valido supporto per il processo di apprendimento, può solo in parte favorire lo sviluppo di tutte quelle competenze e attitudini che gli studenti acquisiscono nella relazione in presenza e nei contesti di apprendimento con i pari e con gli insegnanti e non può rappresentare l’unica leva di innovazione del sistema. Il divario tra l’esperienza effettivamente vissuta e ciò che l’istruzione come ascensore sociale e leva di apprendimento dovrebbe o potrebbe essere, si riflette anche nel grado di fiducia che le nuove generazioni dichiarano di riporre nella scuola e nell’università. Fiducia che supera la sufficienza per poco più della metà del campione passando dal 56,8% del 2013 al 53,5% della rilevazione del 2017. Non si tratta tanto, per molti sfiduciati, di dubitare del valore del sapere e della conoscenza in sé, dato che la ricerca scientifica rappresenta in assoluto l’ambito che riscuote il grado più alto di fiducia (77,3% nel 2017), quanto piuttosto di non credere nella capacità che il sistema d’istruzione ha di favorire l’acquisizione e l’effettiva applicazione di tali saperi nei propri contesti di vita. L’ ultima rilevazione internazionale dell’Osservatorio Giovani, effettuata tra aprile e maggio 2020, ha mostrato che la fiducia nei confronti della scuola e dell’università è rimasta invariata rispetto alla fase antecedente al lockdown per il 61% dei giovani italiani, è aumentata per il 21% ed è diminuita per il 17% con una differenza del 4% a favore di coloro i quali l’hanno vista aumentare. Non così negli altri Paesi osservati nei quali si sono registrati lievi scostamenti negativi della fiducia tra il -2% della Spagna e il -5% della Francia. Il giudizio sugli effetti futuri che la pandemia potrà avere sul sistema scolastico rimane in bilico: secondo il 43,4% dei giovani italiani saranno tendenzialmente positivi, secondo il 56,6% negativi. In sintesi, le osservazioni e i giudizi raccolti tra i giovani italiani attraverso le diverse rilevazioni riflettono questa tensione tra il valore e il significato che la maggior parte di essi ancora attribuisce all’istituzione scolastica e i limiti e le frustrazioni che molti di loro sperimentano sul fronte interno nelle modalità di gestione del processo di trasmissione dei saperi e di partecipazione alla vita scolastica e sul fronte esterno nella difficoltà di mettere in gioco ciò che si è appreso nel contesto lavorativo, sociale e culturale italiano. Nella precedente crisi economico- finanziaria l’Italia ha reagito sul piano delle politiche dell’istruzione riducendo la spesa in nome dell’austerity.
Si tratta di capire se, in occasione di questa crisi
pandemica, e nel contesto della messa a disposizione di una dotazione
straordinaria di fondi europei, ci sarà un investimento mirato e di prospettiva
sulla scuola. Lo ha ricordato anche il presidente Mattarella nel suo intervento
di inaugurazione dell’anno scolastico 2020/2021 a Vo’: «La nostra
partecipazione al programma Next Generation dell’Unione Europea è una
straordinaria opportunità che non possiamo perdere. Un’occasione anche per un
vero rilancio della scuola italiana». Un’alleanza strategica tra le generazioni
non può che ripartire dalla scuola e dall’università. Una volta superata la
'prova d’ingresso' della riapertura saranno dunque altre le 'prove di maturità'
che le istituzioni politiche dovranno superare per non disperdere quel credito
di fiducia che i giovani ancora ripongono nel valore del sapere e della
formazione. Per ridare uno slancio decisivo al Paese, la scuola (e i giovani
con essa) più che essere vista come il problema, dovrebbe essere considerata
come parte della soluzione.
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