In gran parte dell’Europa secolarizzata la fede cristiana,
che per quasi duemila anni ne era stata l’anima, è ormai presente solo come
fenomeno residuale e in continua decrescita. In un’intervista all’«Osservatore
Romano» dello scorso 2 settembre, il cardinale Jean-Claude Hollerich,
presidente della Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione europea ha
detto che a suo avviso la pandemia di coronavirus avrà come effetto di
accelerare di dieci anni il processo di abbandono della pratica religiosa. Una
previsione che ha riscontro nella preoccupata lettera della presidenza della
Conferenza Episcopale Italiana, in cui si invitavano i vescovi ad «aprirsi a
nuove forme di presenza ecclesiale, per far fronte ad «un certo smarrimento (in
particolare, una diffusa assenza dei bambini e dei ragazzi)» registrato tra i
fedeli, molti dei quali non sono ritornati in chiesa anche dopo la fine del
lockdown.
La “cultura del sospetto”
La crisi della fede religiosa si inserisce, in realtà, in una
più ampia trasformazione culturale, le cui radici sono profonde, e che ha reso
problematica ogni certezza. Gli studiosi della recente storia del pensiero
hanno più volte individuato in tre grandi protagonisti di questa storia – Karl
Marx, Friedrich Nietzsche e Sigmund Freud – i «maestri del sospetto» che,
ognuno per la sua parte, in questi ultimi centocinquant’anni hanno contribuito
in modo decisivo a smascherare la falsità di rappresentazioni concettuali che
avevano per secoli dominato l’immaginario collettivo dell’Occidente.
Il crollo di queste costruzioni illusorie – con la denunzia
della sottile rete di interessi, di meccanismi psicologici, di abitudini
inveterate, che stava dietro di esse – ha reso sempre più difficile, agli
uomini e alle donne di oggi, aderire non solo alle «grandi narrazioni»
religiose e metafisiche, ma a qualsiasi verità. Il sospetto è diventato – anche
per tante persone semplici, abituate in un passato non troppo remoto a fidarsi
senza riserve di quello che dicevano persone di cultura, esponenti della
gerarchia ecclesiastica, scienziati, giornalisti, governanti – un atteggiamento
radicato, che rende molto difficile la dedizione incondizionata a cause ideali,
ma anche, più semplicemente, la fiducia in ciò che viene proposto da altri come
vero.
La crisi delle autorità morali e culturali
Proprio coloro che, per motivi diversi, spesso di ordine
socio-economico, non hanno potuto fruire di un’istruzione adeguata, e che prima
erano i più disponibili ad accettare senza dubbi di sorta l’autorità morale e
culturale dei “dotti”, sono ormai i più restii ad accettare questa autorità.
Colpisce leggere sui social i commenti francamente volgari e
ingiuriosi che molti indirizzano contro una figura, in altri tempi da tutti
ascoltata con rispetto, come quella del Sommo Pontefice. È solo un esempio. Già
il Sessantotto aveva segnato la “morte dei maestri”. Allora questo fenomeno era
inserito in un più ampio tentativo di combattere l’autoritarismo e di costruire
un sistema nuovo. Oggi di quelle prospettive non resta nulla, se non la disinvolta
scelta di trattare tutti, nelle discussioni, come propri pari, prescindendo
dalla diversità di competenze che differenzia un interlocutore dall’altro.
Uno vale uno?
È la logica del populismo. Uno vale uno. Ogni pretesa
differenza è una prevaricazione. Molti ricordano il confronto televisivo tra
Pier Carlo Padoan, professore di Economia presso l’Università La Sapienza e già
direttore per l’Italia del Fondo Monetario Internazionale e la sottosegretaria
5stelle all’economia del governo Conte 1 (confermata poi nel Conte 2), Laura
Castelli, diplomata in ragioneria e con laurea triennale in economia aziendale,
in cui, a proposito del rapporto tra spread e tassi dei mutui, quest’ultima
zittì il suo interlocutore con un veemente: «Questo lo dice lei!». Una battuta
che la stessa Castelli poi ha spiegato: «Non è che perché uno ha studiato più
di un’altra, quello che ha studiato ha per forza ragione».
Contro le competenze
È la stessa logica per cui molti, che non hanno mai aperto un
libro di teologia, i quali sui social ripetono che papa Francesco è eretico,
perché a loro avviso non si colloca nella tradizione della Chiesa cattolica.
La stessa logica per cui fiorisce oggi un movimento di
“terrapiattisti” che sostiene la totale falsità delle tesi scientifiche ispirate
alla teoria copernicana e vede in esse il frutto di un complotto
internazionale.
La stessa logica che ha ispirato il movimento di rifiuto dei
vaccini, basato sulla premessa che la classe medica è costituita nella
stragrande maggioranza da incompetenti e mascalzoni, interessati solo a far
guadagnare le case farmaceutiche.
Accusa che sta adesso viene rinnovata a proposito del
coronavirus, che, secondo i “negazionisti”, sarebbe un’invenzione finalizzata a
soddisfare oscuri interessi economici (ritorna il tema delle case
farmaceutiche, desiderose di arricchirsi vendendo mascherine e sanificanti).
Una nuova forma di fede
Eppure, a ben vedere, questa “cultura del sospetto” comporta
anch’essa, suo malgrado, una fede e delle certezze. Ne troviamo l’eco sui
social, negli stessi messaggi ingiuriosi rivolti a studiosi o a rappresentanti
del mondo politico e della Chiesa. Chi accusa la “casta” di mentire deve farlo
appellandosi a qualche “ragione”. E c’è sempre qualcuno, in possesso di qualche
titolo che giustifica la sua pretesa, che si presenta come “esperto fuori dal
coro” e denunzia il conformismo e la malafede dei suoi colleghi. Si tratta
quasi sempre di figure che, per varie ragioni (che non è certo qui il caso di
analizzare) sono rimaste marginali nei loro rispettivi ambiti, o che hanno poi
sentito il bisogno di mettere meglio a fuoco la loro posizione “anticonformista”.
Emblematico il caso del prof. Zangrillo, primario al San
Raffaele, che aveva sostenuto, con grande sconcerto del mondo scientifico, che
il coronavirus era ormai «clinicamente morto», che ha dovuto recentemente
ammettere, in un momento in cui il suo più famoso paziente ha dovuto essere
ricoverato per polmonite, di avere usato «una espressione probabilmente stonata
nel modus».
Anche senza appigli
Ma anche quando nessuno offre appigli per giustificare le
loro certezze, terrapiattisti, negazionisti, no vax, sostenitori dell’invasione
incontrollabile di immigrati, questa fede ce l’hanno, e così radicata da
rifiutare di discuterla. Si ha un bel dire che ci sono dei dati scientifici,
delle statistiche ufficiali, che basterebbe documentarsi per capire dove sta l’equivoco.
Nulla da fare. «Sono tutte balle», rispondono. E chi vuole sostenerne la verità
è, ai loro occhi, un complice dell’inganno, che sicuramente nel fare questo ha
i suoi vantaggi.
Da una fede all’altra
La fede, cacciata dalla porta, è rientrata dalla finestra. Ma
è una fede malata, ben diversa da quella del cristianesimo, sempre accompagnata
dal richiamo alla ragione. Non sembra sia stato un buon affare per l’Europa il
passaggio dall’una all’altra. Episodi storici di intolleranza – penso
all’Inquisizione o al caso Galilei – non devono far perdere di vista i costanti
richiami del magistero della Chiesa – esemplari i documenti del Concilio
Vaticano I e del Concilio Vaticano II, ma anche l’enciclica Fides et ratio di
Giovanni Paolo II – alla valorizzazione dell’intelligenza, della scienza, della
ricerca critica della verità.
Un compito per la Chiesa
Forse proprio la Chiesa dovrebbe saper riscoprire l’attualità
del concetto di fede maturato nella sua millenaria tradizione e riproporlo come
alternativa autentica umana, oltre che cristiana. Non per difendere la propria
posizione, ma per rendere un servizio agli uomini e alle donne di questa
società. Non è detto che ciò basterebbe a fermare il processo di
scristianizzazione in corso. Ma sarebbe – questo sì – un modo nuovo, creativo,
di riproporre la sua presenza pastorale.
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Pastorale Cultura Diocesi
Palermo
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