di Giuseppe Savagnone
La
svolta di Trump
Ha
fatto il giro del mondo il video creato e postato da
Donald Trump, ambientato a Gaza, in cui lui e il premier israeliano
Netanyahu, in costume da bagno, stanno comodamente sdraiati al bordo di una
lussuosa piscina, sullo sfondo di modernissimi grattacieli e di una enorme
statua d’oro raffigurante il presidente USA. Una provocazione kitch che
riassume gli ultimi clamorosi sviluppi della tragedia della Striscia.
Lo
scorso 4 febbraio, pochi giorni dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, il
nuovo presidente degli Stati Uniti, in una conferenza stampa congiunta con il
primo ministro dello Stato ebraico, ha annunciato a un mondo incredulo la
sua intenzione di occupare direttamente Gaza, per far sorgere sulle
macerie della guerra un resort turistico di lusso. «Penso che lo
trasformeremo in un posto internazionale, bellissimo». «Sarà la rivière del
Medio Oriente».
È
nello stile di Trump unire la politica agli affari. E anche in questo caso
quello che dovrebbe realizzarsi è un business di portata internazionale, da
cui, secondo il Tycoon, ci sarà solo da guadagnare: «A tutti piace l’idea
che gli Stati Uniti controllino quel pezzo di terra creando migliaia di posti
di lavoro»
E
i 2 milioni di palestinesi che attualmente ci abitano? La
risposta di Trump è che «Gaza è un inferno, nessuno ci vuole vivere. I
palestinesi adorerebbero andarsene». Si tratta, infatti, di «un luogo
distrutto», inabitabile: «Non si può vivere in quegli edifici in questo momento»,
spiega, perché «sono molto insicuri».
Ma
niente paura: c’è una soluzione a portata di mano. I gazawi potranno essere
«trasferiti» nei due Stati arabi confinanti, Giordania ed Egitto, dove si
troveranno molto meglio che a casa loro.
Al
«trasferimento» provvederà Israele, che poi consegnerà la Striscia, ormai
bonificata, agli Stati Uniti. E così finalmente ci sarà in Palestina la pace
agognata da tutti i popoli della regione: «A molti in Medio Oriente piace
l’idea» perché porterà «stabilità».
L’inaspettata
proposta ha entusiasmato Netanyahu, il quale ha dichiarato che il suo incontro
con Trump ha portato a «enormi risultati che possono garantire la sicurezza di
Israele per generazioni» e ha definito quella del presidente americano una
«visione rivoluzionaria e creativa» che «aprirà molte possibilità» per Israele.
Quanto
ai gazawi, il presidente israeliano ha escluso che si possa parlare di “pulizia
etnica”, come l’ha definita il Segretario generale dell’ONU, Guterres: «Non è
uno sfratto forzato, né una pulizia etnica. Tutti parlano di Gaza come di una
prigione a cielo aperto, e allora perché tenere questa gente in
prigione?».
Il
«trasferimento» sarebbe anzi una manifestazione di libertà: «Noi permettiamo
alle persone di andarsene. Negli ultimi due anni 150.000 abitanti di Gaza se ne
sono andati. I ricchi potevano andarsene. Ma se altri vogliono emigrare, è una
loro scelta».
Ma
l’«inferno» lo hanno creato gli esseri umani
Quello
che né Trump né Netanyahu hanno detto è che a trasformare Gaza in un «inferno»,
dove «non si può vivere», è stato l’esercito di Israele, con la
sistematica distruzione di tutte le abitazioni e le infrastrutture civili,
nell’evidente intento di rendere il territorio inabitabile.
Le
immagini diffuse dai mezzi di comunicazione indipendenti – quando è stato loro
possibile, dopo la tregua, entrare nella Striscia (finora preclusa ai
giornalisti), – mostrano uno scenario di devastazione che ricorda Hiroshima e
Nagasaki.
E
non c’è da stupirsene: dal 7 ottobre 2023 al gennaio 2025 l’esercito israeliano
ha sganciato, su un territorio grande quanto metà della città di Madrid, oltre
85.000 tonnellate di bombe (fornite in gran parte dagli Stati Uniti), superando
di quasi 6 volte la forza di detonazione della bomba sganciata nel 1945 su
Hiroshima.
Per
mesi la propaganda israeliana ha parlato di bombardamenti mirati di obiettivi
militari. Ora con i nostri occhi tutti abbiamo potuto constatare che, nei
centri abitati della Striscia, non è rimasto in piedi neppure un
edificio. Case, uffici, scuole, ospedali, moschee, chiese – tutto è stato
raso al suolo.
La
vita di un popolo
Non
sono stati solo gli edifici ad essere distrutti. È stata la vita di un
popolo. Due milioni di persone sono state da un giorno all’altro sloggiate
con la forza, sradicate dai luoghi dove vivevano e lavoravano, costrette a
vagare alla ricerca di posti sicuri, indicati dall’esercito israeliano, che poi
venivano egualmente bombardati, costringendo alla fuga anche da quelli.
I
morti sono stati quasi 49.000. E ancora una volta sono stati i bambini le
prime vittime: 14.000 sono stati uccisi, 25.000 feriti o mutilati, 17.000 sono
rimasti orfani, tutti sono stati affamati, privati delle cure mediche e della
scuola. Ferite che non si rimargineranno mai più e in cui si alimenterà
l’odio per coloro che hanno fatto tutto questo.
L’argomento
dei “danni collaterali” e quello della differenza tra aggressore e aggredito
Colpa
di Hamas hanno ripetuto i governi e i giornali occidentali. Quelli che vediamo,
dicono, sono i dolorosi ma inevitabili danni collaterali di una guerra volta ad
ottenere la liberazione degli ostaggi israeliani.
Ci
si potrebbe forse chiedere se i bombardamenti a tappeto potessero servire a
questo scopo e se non fosse assai più logico procedere, come in passato e come
poi si è fatto, con degli scambi di prigionieri. Israele ha preferito
dimostrare la sua potenza militare, anche se poi ha fallito, finora, entrambi
gli obiettivi che si era prefisso, la liberazione dei suddetti ostaggi e la
distruzione di Hamas.
Ma
non è questo il punto. Ciò che è grave – nell’argomento dei cosiddetti «danni
collaterali» – è che questa è la logica di tutti i terroristi. Spiegano
sempre di non avere nulla contro le loro vittime e di essere costretti a
sacrificarle per una giusta causa, che di solito è il rilascio di qualche loro
compagno imprigionato e l’indebolimento di un regime politico iniquo che “si fa
scudo” dei suoi cittadini.
In
realtà il diritto internazionale, in linea con la morale, dice che colpire
i civili è sempre – sempre – un crimine di guerra, quali che ne siano le
motivazioni. E che il nemico armato si mescoli con la popolazione – come sempre
accade – non autorizza a massacrare, affamare, ridurre alla disperazione
quest’ultima.
È
in conformità a questi princìpi, da tempo consolidati, che la Corte Penale
Internazionale ha emesso un mandato d’arresto nei confronti del premier
israeliano Netanyahu e del suo ministro della guerra, per «crimini contro
l’umanità».
Priva
di senso è anche l’ossessiva insistenza sulla differenza tra aggressore e
aggredito per giustificare i metodi dell’esercito israeliano. L’origine di
una guerra è una cosa, il modo di condurla un’altra.
Si
può avere ragione sul primo punto e avere torto sul secondo. Altrimenti in
Italia dovremmo abolire il “giorno del ricordo” delle vittime delle foibe,
perché ad essere aggressori, in quel caso, eravamo noi, gli italiani, che nel
1941 avevamo invaso gratuitamente la Jugoslavia, occupandola fino al
1943.
Se
fosse vero, come ripete anche il nostro governo, che la violenza degli
aggrediti è legittimata dal loro diritto di difendersi, anche i partigiani di
Tito, assurdamente, dovrebbero essere giustificati.
Gaza
beach
Ora
siamo davanti al progetto di sfruttare cinicamente questi crimini per compierne
impunemente un altro – la pulizia etnica – sostenendo che la popolazione,
a cui Israele (con la complicità dell’Occidente, soprattutto degli Stati
Uniti) ha reso impossibile la vita nella sua patria, sarà “invitata” a
emigrare per una “libera” scelta.
I
governi e la stampa occidentali davanti a questo ulteriore passo hanno
finalmente espresso il loro dissenso. Ma quanto durerà? È plausibile che,
l’alibi della minaccia dell’antisemitismo, che finora ha giustificato
l’appoggio incondizionato ad Israele, alla fine faccia chiudere gli occhi
anche su questo ultimo crimine.
Ultimamente,
a mettere in crisi questa linea sono stati due documenti – uno di 350
personalità ebraiche americane, l’altro di duecento ebrei italiani – che hanno
espresso il loro totale dissenso rispetto all’idea del “trasferimento” dei
gazawi. Difficile ascrivere queste prese di posizione da parte di ebrei a un
rigurgito di antisemitismo.
L’irritazione
di chi è stato così clamorosamente smentito si è espressa nel coro di
polemiche sollevatosi contro i documenti, soprattutto il secondo, anche
per la coincidenza con i funerali dei fratellini Bibas, i due piccoli
ebrei, la cui uccisione ha suscitato grande commozione in tutto il mondo.
Al
punto da far dimenticare che non due, ma migliaia di bambini palestinesi sono
morti in questi mesi sotto le bombe, per il freddo, per la fame, per la
mancanza di cure, senza che questa commozione si manifestasse. E che
comunque i firmatari non giustificavano le violenze di Hamas – inaccettabili
esattamente come quelle dell’esercito israeliano – , ma il diritto del popolo
palestinese di non essere deportato (magari “volontariamente”).
A
rendere più sordido il progetto di Trump e di Netanyahu arriva ora la clip dove
si delinea il futuro di Gaza, tra il modello Miami e quello Dubai. Sulla pelle
dei palestinesi.
In
altri tempi l’indignazione mondiale avrebbe travolto Trump e Netanyahu,
costringendo i governi finora complici dello sterminio dei gazawi a
prendere finalmente una posizione politica netta. Non sembra che lo stiano
facendo.
A
cominciare da quello italiano, che pochi giorni fa – pur avendo avanzato per
bocca del ministro Tajani delle caute difficoltà sull’idea del presidente
americano e del premier israeliano – , per la seconda volta a distanza di
pochi mesi ha accolto con grande cordialità il presidente dello Stato ebraico
Herzog, ribadendo l’amicizia incondizionata per Israele, senza nemmeno una
parola di critica e di riserva sul progetto disumano del suo governo.
Herzog
, da parte sua, ha ringraziato l’Italia perché come pochi Stati è disposta
a «schierarsi» (ha usato questo termine) al fianco di Tel Aviv in questo
«scontro di civiltà e di valori».
Ma
la stragrande maggioranza dei mezzi di comunicazione e dell’opinione pubblica
non ha avuto nulla da ridire. Perciò si può fin da ora prevedere che fra
alcuni anni i ricchi italiani andranno anche loro a fare le vacanze a Gaza
Beach.
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