I Papi e il volontariato,
scuola di vita
che insegna
il primato del dono
In occasione
del Giubileo dell’8 e 9 marzo prossimi,
ricordiamo alcune
riflessioni dei Pontefici
a partire da Giovanni Paolo II
- - di Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
Scuola
di vita
Solo
se ama e si dona agli altri, l’uomo si realizza pienamente. È questo il fulcro
del messaggio di Papa Giovanni Paolo II in occasione dell’Anno internazionale
del volontariato proclamato nel 2001 dall’Assemblea Generale delle Nazioni
Unite per riconoscere, promuovere e celebrare il servizio volontario in tutte
le sue manifestazioni. Il volontariato - sottolinea Papa Wojtyła - è chiamato
ad essere in ogni caso scuola di vita”.
Carità e gratuità
Attraverso
l'amore per Dio e l'amore per i fratelli, il cristianesimo sprigiona tutta la
sua potenza liberante e salvifica. La carità rappresenta la forma più eloquente
di evangelizzazione perché, rispondendo alle necessità corporali, rivela agli
uomini l'amore di Dio, provvidente e padre, sempre sollecito per ciascuno. Non
si tratta di soddisfare unicamente i bisogni materiali del prossimo, come la
fame, la sete, la carenza di abitazioni, le cure mediche, ma di condurlo a
sperimentare in modo personale la carità di Dio. Attraverso il volontariato, il
cristiano diviene testimone di questa divina carità; l'annuncia e la rende
tangibile con interventi coraggiosi e profetici. Non basta venire incontro a
chi si trova in difficoltà materiali; occorre al tempo stesso rispondere alla
sua sete di valori e di risposte profonde. E' importante il tipo di aiuto che
si offre, ma ancor più lo è il cuore con cui esso è dispensato. Che si tratti
di microprogetti o grandi realizzazioni, il volontariato è chiamato ad essere
in ogni caso scuola di vita soprattutto per i giovani, contribuendo a educarli
ad una cultura di solidarietà e di accoglienza, aperta al dono gratuito di sé.
Amare
con Dio
“L’impegnarsi
a titolo volontaristico costituisce un’eco della gratitudine ed è la
trasmissione dell’amore ricevuto”. È quanto sottolinea Papa Benedetto XVI
incontrando il mondo del volontariato nel 2007 durante il viaggio apostolico in
Austria.
“Deus
vult condiligentes – Dio vuole persone che amino con Lui”, affermava il teologo
Duns Scoto nel XIV secolo. Visto così, l’impegno a titolo gratuito ha molto a
che fare con la Grazia. Una cultura che vuole conteggiare tutto e tutto pagare,
che colloca il rapporto tra gli uomini in una sorta di busto costrittivo di
diritti e di doveri, sperimenta grazie alle innumerevoli persone impegnate a
titolo gratuito che la vita stessa è un dono immeritato. Per quanto diverse,
molteplici o anche contraddittorie possano essere le motivazioni e anche le vie
dell’impegno volontaristico, alla base di tutte sta in fin dei conti quella
profonda comunanza che scaturisce dalla “gratuità”. È gratuitamente che abbiamo
ricevuto la vita dal nostro Creatore, gratuitamente siamo stati liberati dalla
via cieca del peccato e del male, gratuitamente ci è stato dato lo Spirito con
i suoi molteplici doni.
Uscire
per incontrare
Papa
Francesco si è soffermato più volte, durante il Pontificato, sul valore del
volontariato. In particolare, durante l’incontro con i membri della Federazione
organismi cristiani servizio internazionale volontario (Focsiv) ha sottolineato
che essere volontari significa innanzitutto “uscire per incontrare”.
Il
volontariato. È una delle cose più belle. Perché ognuno con la propria libertà
sceglie di fare questo cammino che è un cammino di uscita verso l’altro, uscita
con la mano tesa, un cammino di uscita per preoccuparsi degli altri. Si deve
fare un’azione. Io posso rimanere a casa seduto, tranquillo, guardando la tv o
facendo altre cose… No, io mi prendo questa fatica di uscire. Il volontariato è
la fatica di uscire per aiutare altri, è così. Non c’è un volontariato da
scrivania e non c’è un volontariato da televisione, no. Il volontariato è
sempre in uscita, il cuore aperto, la mano tesa, le gambe pronte per andare.
Uscire per incontrare e uscire per dare.
Farsi dono
Uscire
per incontrare l’altro attraverso il dono, in una società che sta vivendo
profonde lacerazioni a causa di guerre, è un inno alla fratellanza. È come il
suono dello Jobel, soprattutto in questo Giubileo della speranza.
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