via i tablet da scuola,
si disimpara a leggere
L’utilizzo della penna invece della tastiera fino almeno ai 14
anni non solo è auspicabile ma rimane un criterio inderogabile per la qualità
dei processi di crescita.
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di Daniele Novara*
La goccia che ha portato
a questa inversione di marcia arriva dallo studio internazionale PIRLS del 2021
che ha mostrato come la capacità di lettura degli studenti svedesi si fosse
abbassata, in 5 anni, di 11 punti. E di come un fattore chiave di questo peggioramento
fosse l’eccessivo utilizzo di dispositivi digitali. Questa decisione del Paese
scandinavo getta un sasso nell’acqua stagnante legata alla convinzione che il
miglioramento della scuola passi necessariamente dall’aumento della
digitalizzazione. L’iniziativa svedese apre una possibilità di dibattito su una
questione che equivocamente viene data per scontata, che più tecnologia
significhi una scuola migliore.
Un equivoco che lascia
sottintendere la possibilità della tecnologia di sopperire alle carenze
professionali e pedagogiche degli insegnanti. Come affermano tutte le ricerche
internazionali, la verità è che il fattore umano nella scuola resta l’elemento
prevalente e non esiste un piano B che permetta di evitare una formazione
continua, permanente e sistematica dei professionisti scolastici. Se guardiamo
la situazione italiana, va ricordato che l’unica area scolastica che ha giovato
di finanziamenti sostanziali negli ultimi dieci anni è proprio quella della
digitalizzazione dimenticandosi quasi totalmente della necessità di formazione
più strettamente pedagogica.
Mi permetto di fare un
banale elenco di ciò che intendo: la gestione della classe come gruppo, la
valutazione formativa, il lavoro di équipe fra docenti, la conoscenza delle
fasi psico-evolutive e neuro-cognitive degli alunni età per età, la
progettazione delle competenze socio-affettive, come quelle relative ai litigi
e alla gestione del bullismo in un’ottica non giudiziaria. Negli ultimi anni
invece la digitalizzazione ha goduto di un finanziamento di circa un miliardo
di euro che, con l’ultima tranche del PNRR, potrebbe addirittura raddoppiare.
Sono cifre enormi, specialmente a confronto di ciò che viene stanziato per i
pochi progetti di formazione pedagogica e socio-relazionale rivolti ai docenti
e agli alunni.
Utile infine sottolineare
due punti. Prima di tutto, in ogni epoca la scuola ha avuto i suoi supporti
tecnologici che si sono evoluti. Per esempio, io in prima elementare scrivevo
con il pennino, strumento fortunatamente sostituito dalla penna. In ambito
scolastico è normale avere tecnologie, il punto è farne buon uso. In secondo
luogo, la tecnologia digitale, nel momento in cui diventa di carattere
individuale, con tablet e account personali per ogni studente, sposta di molto
il baricentro dell’apprendimento. La tecnologia in aula va gestita in maniera
collettiva, una LIM per tutta la classe, un computer da utilizzare in gruppo. I
dispositivi tecnologici non hanno un impatto sempre favorevole
all’apprendimento.
Per questo motivo
l’utilizzo della penna invece della tastiera fino almeno ai 14 anni non solo è
auspicabile ma rimane un criterio inderogabile per la qualità dei processi di
crescita. Il passaggio dal quaderno cartaceo a quello digitale è una scelta che
oggi come oggi non può essere fatta con la naturalezza con cui a suo tempo si
passò dal pennino alla penna a sfera perché la posta in gioco è ben più alta.
La decisione della Svezia sollecita la scuola italiana a evitare di procedere
nell’attuale direzione senza una necessaria e approfondita riflessione,
specialmente alla luce di tutti i complessi dati scientifici.
*Pedagogista
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