Competenze
non-cognitive
Sarebbe opportuno
premiare chi innova
-
di Tommaso Agasisti
Un
tema che sta diventando centrale in tanti dibattiti sulla scuola, non solo in
Italia ma direi in una dimensione internazionale, é quello delle competenze
socio-emotive (chiamate spesso, nel dibattito pubblico, competenze “non
cognitive”). L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico
(Ocse), che dal 2000 è responsabile di Pisa (Programme for International
Student Assessment) da diversi anni ha messo al centro della propria
riflessione proprio questo tema.
Questa
recente attenzione per le competenze socio-emotive, come elemento
caratterizzante di una scuola orientata non solo ai saperi ma anche alle
dimensioni più interiori della vita individuale e sociale va, a mio parere,
salutata con favore. Si tratta di un passo che, forse, può aiutare a far uscire
il dibattito sull’educazione da una visione puramente “funzionalistica”,
secondo la quale studiare servirebbe principalmente a trovare lavoro, a
garantirsi un futuro migliore.
Le
scuole, nella prospettiva di un’attenzione alle competenze socio-emotive, sono
invece chiamate a trasmettere non solo conoscenze e competenze disciplinari (i
“saperi”, appunto) ma anche valori, capacità critiche, abilità che riguardano
la sfera della personalità e della interiorità, delle relazioni sociali e
dell’attitudine nei confronti della realtà.
Le
scuole devono occuparsi di questo compito? Io penso di sì, e soprattutto molti
altri studiosi pensano altrettanto: faccio riferimento al filone di studi
economici promossi dal premio Nobel James Heckman, anzitutto (anche per il mio
particolare punto di osservazione di questo ambito).
Non
è questa la situazione in cui addentrarci in un’analisi troppo specifica della
definizione di competenze socio-emotive. In termini molto semplici e
approssimativi si possono evocare dimensioni importanti e generali dello
sviluppo socio-emotivo dei ragazzi, quali ad esempio: motivazione, attitudine
(o avversione) al rischio, onestà, capacità di relazionarsi positivamente con
gli adulti e con i pari, curiosità, senso critico. Ecco, se le scuole
cominciano a interrogarsi non solo sulle modalità migliori di trasmettere
saperi disciplinari, ma anche di favorire e sviluppare queste dimensioni, penso
che questo sia un fatto positivo. Molti docenti e molte scuole sono già al
lavoro da tempo in questo ambito. Molte altre, invece, ritengono che le
priorità della scuola non sia di occuparsi di queste dimensioni (più
educative), che ma esse debbano limitarsi al proprio compito culturale e
formativo.
Ben
venga una stagione in cui mettere al centro del dibattito e dell’azione
scolastica lo sviluppo delle competenze socio-emotive, insieme – e in modo
complementare! – al rigore nella trasmissione dei saperi. L’educazione, in
questo senso, è la capacità di trasmettere il senso dei saperi, e di favorire
lo sviluppo delle competenze sociali, emotive, interiori anche e soprattutto
attraverso i saperi stessi. Ci sono tanti esempi in questa direzione: penso
all’integrazione di discipline all’interno dei curricula e penso anche ai tanti
progetti e attività che le scuole stanno facendo, durante e a fianco delle
lezioni, per sviluppare in modo specifico queste dimensioni della personalità
degli studenti. Porto sempre nel cuore, ad esempio, l’esperienza della scuola
frequentata dai miei figli in cui “Teatro” è diventata una materia curriculare,
al liceo.
Ecco
allora che un’altra conseguenza per la politica scolastica: si riprenda in mano
il disegno di legge per promuovere i progetti di sviluppo delle non-cognitive
skills nelle scuole, abbandonato nella scorsa legislatura, valorizzando
l’intraprendenza e finanziando le iniziative delle scuole. Sarebbe interessante
che ciascuna scuola fosse “stimolata” a realizzare una o più progettualità
sulle competenze socio-emotive nei prossimi due o tre anni.
Per
concludere, vorrei allora lasciare un messaggio positivo. Nel nostro sistema
scolastico ci sono tante esperienze positive e iniziative lodevoli che è
opportuno premiare.
Chi ha la responsabilità di prendere decisioni
per il nostro sistema scolastico lo faccia, avendo in mente questa positività,
e valorizzandola. C’è uno spazio, ed anche una responsabilità, nel valorizzare
queste esperienze e farle fruttare. I talenti siano usati per crescere, e per
rendere l’esperienza educativa sempre più ricca, profonda, interessante e
costruttiva.
Il
Sussidiario
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