Lo “Stato sceriffo” non basta, se non è assieme
anche agevolatore di una comunità
educante.
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di ANTONELLA MARIANI
E
dunque, il Codice penale italiano si arricchisce, attraverso un decreto
governativo, di nuove norme di «contrasto al disagio giovanile, alla povertà
educativa e alla criminalità minorile».
Dopo
gli stupri di Caivano e di Palermo, commessi in entrambi i casi da giovanissimi
e maturati in ambienti dove di frequente la scuola è un optional e il richiamo
della piccola criminalità potente, era questa una parte della risposta che la
premier Meloni aveva promesso e che è stata offerta all’opinione pubblica in
tempi rapidissimi. L’altra parte, anch’essa approvata ieri dal Consiglio dei
ministri, riguarda il rafforzamento della scuola al Sud e il rilancio
dell’economia nelle aree del Mezzogiorno.
Sintetizzando
e semplificando, il menù che il governo sta mettendo sul piatto è: manette ed
educazione. E, si spera, più sviluppo e lavoro “in chiaro”.
Tutto
bene, dunque? Non del tutto. È in particolare sul “Decreto sicurezza” che si
addensano alcune domande. Chi (e come, e quando, e dove…) arresterà una madre e
un padre responsabili dell’elusione dell’obbligo scolastico? Che fine faranno i
figli se i genitori ipoteticamente saranno condannati a due anni di detenzione?
Chi, ancora, vigilerà che un minorenne già ammonito dal questore non sconfini
dai limiti territoriali che gli sono stati imposti?
Sono
solo esempi: il corpo delle norme varato ieri è complesso e il dubbio che
rimane è che uno degli effetti collaterali possa essere un intasamento delle
procure, delle carceri minorili e degli uffici di questure e prefetture. Senza
contare che un controllo del territorio come quello preconizzato dalle nuove
misure implica un dispiegamento massiccio di forze di sicurezza. Sul fronte del
contrasto alla pornografia, poi, molti interrogativi restano aperti:
tecnologici, educativi, di reale ed effettiva praticabilità.
Non
sono domande e dubbi peregrini. In Italia abbiamo norme avanzatissime
sull’omicidio stradale, ma non per questo gli incidenti mortali causati da
comportamenti scorretti alla guida sono stati cancellati. Abbiamo un Codice
Rosso imponente contro le violenze alle donne, che proprio ieri è stato
arricchito in Parlamento con nuove misure per velocizzare e sburocratizzare le
denunce e le indagini. Eppure, non solo i femminicidi non si fermano, ma
assistiamo a numerosi casi in cui la denuncia di una donna non basta a salvarle
la vita. È accaduto il 19 agosto a Piano di Sorrento, quando Anna Scala è
caduta sotto le coltellate del suo ex compagno, che aveva denunciato due volte
a fine luglio per atti persecutori. Anche Marisa Leo, uccisa ieri a Trapani dal
padre di sua figlia che poi si è tolto la vita, lo aveva denunciato per
stalking, ma poi durante il processo qualcuno o qualcosa l’aveva indotta a
ritirare le denunce. Se si scoprisse che erano state le minacce, il quadro si
farebbe ancora più fosco.
Intendiamoci,
contro la delinquenza minorile così come contro i femminicidi, le leggi
servono: la loro funzione d’indirizzo e “presa in carico” del problema è
fondamentale, quella di deterrenza altrettanto. Ma le leggi non bastano, se non
sono accompagnate da alcune condizioni.
La
principale è la loro applicabilità. Se le donne si sentono in pericolo
nonostante le denunce, se non ci sono risorse sufficienti sia in termini di
personale sia in termini dei mezzi tecnologici di sorveglianza nei confronti
degli uomini violenti, le vittime si terranno lontane da questure e caserme,
nullificando il Codice Rosso e le sue avanzatissime prescrizioni. Così, nello
stesso modo, se si capirà che le (nuove) leggi contro la delinquenza minorile o
contro l’elusione dell’obbligo scolastico si scontreranno contro
l’impossibilità o la difficoltà della loro applicazione, la strada della
legalità e del recupero dei minori nelle periferie malavitose, così come
invocata dal governo, resterà assai lontana.
In
secondo luogo, le norme non devono cadere in un deserto, ma in un contesto
sociale che crei le condizioni perché siano rispettate.
Nel
caso della violenza sulle donne, occorrono seri interventi educativi a più
livelli, a partire dalle scuole. Nel caso dell’elusione dell’obbligo scolastico
e della delinquenza giovanile, la pur giusta severità delle leggi va
accompagnata con misure altrettanto urgenti che ne affrontino le cause e siano
in grado di produrre risposte efficaci. Le abbiamo già elencate diverse volte
su queste pagine: assistenti sociali che accompagnino le famiglie a risolvere i
problemi, opportunità di formazione e di lavori legali, reti civiche di
sostegno alle famiglie. Lo “Stato sceriffo” non basta,
se non è assieme anche agevolatore di una comunità educante. Notiamo allora
che tra le misure approvate ieri c’è sì il rafforzamento delle scuole, ci sono
più fondi per i docenti, c’è la messa in campo di interventi per lo sport e per
la cultura. Manca ancora, invece, un tassello che abbiamo visto operare con
buona efficacia nei territori depauperati: uno stimolo al Terzo settore, un
incoraggiamento alle associazioni, un sostegno fattivo al volontariato
organizzato. Dopo i decreti, scatterà anche l’ora della società civile?
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