IL REALISMO DEL DIALOGO
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di MAURO MAGATTI
Convivere in un mondo plurale
Il
recente vertice del G20 tenutosi a New Delhi ha restituito l’immagine di un
mondo plurale che deve trovare, un po’ per volta, forme e modi di una
convivenza pacifica.
L’Occidente
‒ con gli Stati Uniti da una parte e l’Unione Europea dall’altra, e le
propaggini del Canada e dell’Australia ‒ mantiene il primato economico e
tecnologico, ma mostra segni di invecchiamento e calo demografico. Al suo
fianco il Sudamerica ‒ da sempre periferia di questa grande area ‒, che pure
immerso in una forte instabilità politica riprova con Lula a giocare una
propria autonomia.
A
trent’anni dalla fine dell’Urss, la guerra in Ucraina dice che la Russia,
epicentro della cultura dell’Europa orientale che arriva fino ai Balcani, cerca
un suo riposizionamento. Animata però da un risentimento e una aggressività che
creano molte tensioni. Lo stesso vale per la Cina che, dopo un lungo sonno, è
riapparsa sulla scena della Storia con l’esplicita aspirazione di giocare un
ruolo globale e accrescere la propria influenza sulla scala regionale. Discorso
che vale anche per l’India ‒ la cui popolazione ha superato quella cinese ‒,
che un passo alla volta sembra riuscire, pur tra i grandi squilibri interni, a
intraprendere la strada dello sviluppo. Senza dimenticare la tumultuosa fascia
islamica, che dal Marocco percorre tutto il nord Africa, passando dalla
Turchia, la Penisola araba, il Pakistan e il Bangladesh, fino ad arrivare
all’Indonesia. E per finire l’immenso continente africano, una grande
polveriera in piena espansione demografica, che ben lontano dall’avere trovato
una qualche stabilità rimane terreno di lotta e conquista da parte dei grandi
interessi economici e politici globali.
Un
mondo plurale con una densità spirituale elevatissima, ampiamente sottovalutata
dall’idea di globalizzazione lineare affermatasi dopo l’89. Basata sull’ipotesi
‒ sbagliata ‒ che la crescita economica avrebbe omologato il mondo.
In
realtà, ciò che l’integrazione tecnologica ed economica dell’intero pianeta ha
innescato è la necessità per le diverse culture del mondo di fare i conti con
l’universalismo occidentale ‒ i cui principali elementi costitutivi sono
scienza, tecnologia, democrazia, benessere ‒, cercando ora di difendersene, ora
di appropriarsene. A trent’anni di distanza dall’avvio di quel processo, quello
che rimane è la domanda di come sia possibile convivere tra diversi. Il rischio
di uno scontro di civiltà è molto alto. Dappertutto si lanciano proclami che
vanno in questa direzione. L’ultimo, proprio di qualche giorno fa, da parte dei
leader russo, Vladimir Putin, e nordcoreano, Kim Jong-Un, uniti nella
«battaglia sacra contro l’Occidente imperialista».
Proprio
a seguito di quanto accaduto negli ultimi trent’anni con l’integrazione
economica e infrastrutturale dell’intero pianeta, ci troviamo ora a vivere
un’epoca del tutto nuova. Si tratta di affrontare questa inedita situazione con
un pensiero diverso da quello della globalizzazione di inizio secolo, senza
cadere nello schema della guerra basato sull’idea dei rapporti di forza. Con
l’idea (ancora più sbagliata) che sia possibile arrivare un giorno al dominio
di una cultura sulle altre.
La
partita è delicatissima e difficilissima.
Lo
è anche perché le questioni internazionali sono strumentalizzate per
stabilizzare il consenso interno. Con commistioni sempre ambigue tra politica,
interessi economici e tradizioni religiose.
Prima
ancora che politica, la questione è di natura spirituale. C’è quindi bisogno di
una visione e di una sensibilità nuove per riuscire a immaginare come sia
possibile salvaguardare le matrici culturali presenti nel mondo insieme con il
riconoscimento dell’unico destino condiviso da tutti gli abitanti sulla Terra.
E così fermare la deriva bellica che sembra crescere di giorno in giorno.
I
n questa situazione, l’unico universale che si può immaginare è quello del
dialogo, strumento delicato ma necessario per creare la sola soluzione
ragionevole, che è convivere pacificatamene tra diversi. Sapendo che oggi le
condizioni di questo dialogo non ci sono.
È
questa la ragione per cui è così importante il tentativo, per quanto finora
concentrato sugli aspetti umanitari, che papa Francesco sta cercando di
svolgere sulla vicenda Ucraina. Non si tratta di “darla vinta” all’aggressore.
Ma di non cedere al pensiero che la guerra sia la soluzione delle tante
controversie che esistono oggi nel mondo. Grazie all’umile, ma prezioso
pellegrinaggio del cardinale Zuppi nelle diverse capitali del mondo, la Chiesa
cattolica è, in questo momento, l’unico soggetto che, sulla scena globale, sta
richiamando tutte le parti in causa al realismo del dialogo come unica via che,
nel rispetto delle esigenze della giustizia, può disinnescare il conflitto.
Un’impresa impossibile e tuttavia necessaria.
www.avvenire.it
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