Il futuro
in due parole
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di Salvatore Mazzasabato
Siamo al terzo inverno di questa pandemia che non accenna a finire. E che ha messo a nudo, sbattendoli sotto gli occhi di tutti, gli enormi e tremendi squilibri del nostro pianeta. Non solo quelli tradizionali – chiamiamoli così – tra "nord" e "sud" del mondo, sempre più accentuati e mortificanti (per chi ancora abbia la capacità di vergognarsi e indignarsi, ma siamo sempre meno), ma anche due che, per così dire, sono trasversali a tutto il globo. Parliamo dell'educazione e del lavoro. Che sono in crisi ovunque. In forme molto diverse, certo, ma ovunque.
Nei Paesi più ricchi come in quelli più
poveri la disoccupazione e la sotto-occupazione seguono un trend positivo che
non riesce a invertirsi, e gli investimenti in educazione diminuiscono un anno dopo
l'altro (non è un caso se l'Unesco, l'Agenzia delle Nazioni Unite per
l'educazione la scienza e la cultura, è la cenerentola tra tutte quelle
dell'Onu). L'unica differenza è che nei Paesi sviluppati qualcuno prova a
illuderci parlando di un futuro nel quale nessuno dovrà più lavorare, e neppure
avrà bisogno di studiare, una sorta di scenario alla Fahrenheit 451, da incubo.
Negli ultimi cinquant'anni i Papi non si sono mai stancati di ripetere che
attraverso questo binomio – educazione e lavoro – non solo passa lo sviluppo
dei popoli ma anche, e soprattutto, la dignità delle persone, di tutte le
persone. Questo in quanto – ha ribadito una volta di più Papa Francesco,
rivolgendosi lunedì agli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede –
l'educazione «è il vettore primario dello sviluppo umano integrale, poiché
rende la persona libera e responsabile. Il processo educativo è lento e
laborioso, talvolta può indurre allo scoraggiamento, ma mai vi si può
rinunciare. Esso è espressione eminente del dialogo, perché non vi è vera
educazione che non sia per sua struttura dialogica.
L'educazione genera poi
cultura e crea ponti d'incontro tra i popoli». Questa è la ragione per cui
«nessuna società può mai abdicare alla responsabilità di educare», e tanto più
allora «duole constatare, invece, come spesso, nei bilanci statali, poche
risorse vengano destinate all'educazione. Essa viene vista prevalentemente come
un costo, mentre si tratta del miglior investimento possibile». «Se fin da
piccoli – ha aggiunto, in riferimento alla sempre maggiore invadenza della
tecnologia nella vita dei bambini – si impara a isolarsi, più difficile sarà in
futuro costruire ponti di fraternità e di pace. In un universo dove esiste solo
l'"io" difficilmente può esserci spazio per un "noi"».
Per quanto riguarda il lavoro, è un «fattore indispensabile per costruire e
preservare la pace... è espressione di sé e dei propri doni, ma anche impegno,
fatica, collaborazione con altri, perché si lavora sempre con o per qualcuno.
In questa prospettiva marcatamente sociale, il lavoro è il luogo dove impariamo
a dare il nostro contributo per un mondo più vivibile e bello». E, soprattutto,
«non esiste sviluppo economico senza il lavoro, né si può pensare che le
moderne tecnologie possano rimpiazzare il valore aggiunto procurato dal lavoro
umano... Gli anni a venire saranno un tempo di opportunità per sviluppare nuovi
servizi e imprese, adattare quelli già esistenti, aumentare l'accesso al lavoro
dignitoso e adoperarsi per il rispetto dei diritti umani e di livelli adeguati
di retribuzione e protezione sociale». Saremo in grado di raccogliere questa
sfida?
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