La completezza del vivere
passa anche dalla fisicità
-
di MAURO BERRUTO
-
«Il termine greco Paideia assume oggi,
come nel mondo antico, un carattere ampio che investe la sfera dei
concetti sociali e filosofici di educare, formare i giovani attraverso lo sport
a quei valori cardine del vivere assieme in società sempre più cosmopolite,
ricche di diversità, all’interno delle quali ricercare valori comuni come il
rispetto dell’altro, il superamento delle paure personali e l’armonia con ciò
che ci circonda.
L’osservazione
della natura, l’esercitazione in manifestazioni all’inizio naturali
quali correre, saltare, lanciare oggetti o il combattere sono
alla base dello sport che in alcune realtà sociali prima di altre,
quali ad esempio il Giappone, la Cina e la Grecia
hanno storicamente trovato un radicale utilizzo
nell’immissione di tali pratiche in un sistema educativo per i
giovani del tempo. Le antichissime pratiche della lotta in
Giappone o delle arti marziali in Cina nascevano, infatti, non
solo quale allenamento alla difesa personale in tempo di guerra,
ma soprattutto quale ricerca armonica della posizione dell’uomo
nello spazio che lo circonda in tempo di pace». Sono queste le
parole con cui Paolo Giulierini, direttore del Mann (il bellissimo Museo
Archeologico Nazionale di Napoli), descrive il processo pedagogico che
abitualmente riferiamo quasi in esclusiva alla Atene del V secolo a.C. e che
invece risulta fondante anche per tante altre società.
Una
posizione armonica dei giovani (cioè presenti e futuri) cittadini nel contesto
sociale è, dunque, l’obiettivo ultimo di un percorso educativo che, con il
passare dei secoli ha consolidato quella necessità di tenere insieme elementi
diversi, come la conoscenza della storia, l’eloquenza, la danza, la religione,
la musica e naturalmente, il grande protagonista di questa rubrica: lo sport o,
senza timore di retorica, la ginnastica (dunque non soltanto quel tipo di businessshow sportivo che
porta con sé, oltre allo spettacolo, anche tante contraddizioni).
Questa
lunghissima pandemia, oltre a tanto altro, ci sta insegnando che la completezza
del nostro vivere in una comunità passa attraverso le nostre capacità di
relazione, il nostro intelletto e anche la nostra fisicità.
Prenderci
cura di mente e corpo, oltre a richiamare la famosa locuzione latina tratta da
Giovenale (mens
sana in corpore sano), si sta dimostrando la sfida più grande di
questi ultimi due anni. Purtroppo, le difficoltà di questa sfida
sono ben visibili in quella rabbia dilagante, esasperata
dall’impossibilità di viaggiare, di confrontarci con il diverso da noi, di
alimentare la nostra curiosità e di prenderci cura del nostro corpo. Chissà
quando e come ne usciremo, chissà come sarà il giorno in cui l’emergenza
terminerà, chissà quanto saremo stati cambiati da ciò che avremo vissuto,
individualmente e collettivamente.
Nell’attesa
di quel momento possiamo continuare a nutrirci della grande lezione del mondo
classico che ci ricorda che la cura è certamente scienza, ma anche cultura,
valori, morale, musica, arte e, naturalmente, sport.
Un
universo di cose che questa pandemia ci sta togliendo, forse per farcene
apprezzare, una volta per tutte, l’importanza e la necessità di difenderle.
www.avvenire.it
Nessun commento:
Posta un commento