Vangelo: Gv 2,1-11
Quando, però, abbiamo a che fare con il Vangelo di Giovanni, sarebbe più
corretto non iniziare in maniera generica la lettura di un suo brano solamente
con l'indicazione “in quel tempo”, soprattutto quando il testo originale inizia
con una precisa indicazione temporale. Il secondo capitolo del suo Vangelo,
infatti, inizia così: “Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di
Galilea”. Chiaramente, nei due giorni precedenti Giovanni deve aver narrato
qualcos'altro: leggendo il capitolo precedente, si parla di due giorni nei
quali Gesù incontra e chiama i suoi primi discepoli, già seguaci di Giovanni il
Battista, ovvero lo stesso evangelista Giovanni, Andrea, Simon Pietro, Filippo
e Bartolomeo. Tutti quanti della Galilea, la maggior parte di essi pescatori.
Di loro e della loro chiamata ci dirà di più, nelle prossime domeniche,
l'evangelista Luca, al quale spetta accompagnarci in questo anno liturgico, e
che oggi mettiamo un po' in “stand-by” perché Giovanni, con il famoso brano
delle nozze di Cana e dell'acqua mutata in vino, ha qualcosa di importante da
insegnarci proprio in ordine al cammino che i discepoli - e noi con loro - sono
chiamati a fare dietro a Gesù.
Un cammino che inizia con una festa di nozze: una festa che terminò con un
segno compiuto da Gesù per mezzo del quale “i suoi discepoli credettero in
lui”; una festa che avvenne, appunto, “il terzo giorno”. Non è un giorno a
caso, e Giovanni (che non usa mai i numeri senza tenere conto di una simbologia
particolare) lo sa bene. Nella narrazione di Dio che si rivela al popolo
d'Israele sul monte Sinai (lo troviamo al capitolo 19 di Esodo), “nel terzo
giorno” dopo l'arrivo ai piedi del monte, Dio scende sul Sinai attraverso lampi
e tuoni, ovvero attraverso una manifestazione della sua gloria, alla quale
seguirà il dono delle Tavole dell'Alleanza. E anche nella Liturgia, come
facciamo ogni domenica dopo l'omelia recitando il Credo, ricordiamo “il terzo
giorno” come quello in cui Gesù “è risuscitato, secondo le Scritture”. Ciò
significa che questo “terzo giorno”, a Cana, durante un banchetto di nozze,
quello che avviene è una rivelazione importante, qualcosa che manifesta Gesù
come il protagonista della Nuova Alleanza tra Dio e il suo popolo, qualcosa che
è l'anticipo del giorno di Pasqua, nel quale Gesù, con la sua resurrezione,
farà nuove tutte le cose. Qui, di nuovo, c'è l'acqua trasformata in vino, e non
un vino qualsiasi, ma un vino buono, di ottima qualità, perché quando Dio in
Gesù fa nuove tutte le cose, le fa bene, non tanto per farle. E lo fa attraverso
un percorso e con modalità che a noi possono apparire quantomeno strane, poco
usuali, a tratti anche sgarbate.
Come nei confronti della Madre, la vera protagonista di queste nozze
insieme agli sposi: Gesù e i suoi discepoli vengono invitati “anche” loro, ma
perché c'è lei, forse madrina di quel momento di gioia. Un momento di gioia che
si trasforma in tristezza a causa di una leggerezza, di una disattenzione che
si paga cara (dai... come si fa a rimanere senza vino a un banchetto di nozze?
Siamo proprio un'umanità incapace, che senza l'aiuto di Dio non è proprio
capace di fare nulla...). Queste situazioni, però, a una Madre non sfuggono.
Anzi, a una “Donna”, non sfuggono: perché qui è la Donna a essere esaltata per
la sua capacità di farsi carico delle tristezze dell'umanità e dare a esse una
svolta positiva. Gesù, infatti, non la chiama “Madre”, ma per ciò che è
profondamente, “Donna”: e nel vangelo di Giovanni, Gesù chiamerà “Donna” altri
due personaggi femminili che non rispondono certo ai nostri “cliché” di donne
ideali, ovvero la pluridivorziata samaritana e l'adultera condannata alla
lapidazione, che qualcuno può anche sbizzarrirsi a identificare con la
Maddalena, dato che dopo la risurrezione anch'essa viene chiamata “Donna” prima
di essere chiamata per nome da Gesù... non sono certo le storie personali, e
neppure i propri limiti umani a impedire a Gesù di chiamare “Donna” ogni donna,
e di equipararla alla Madre, perché ciò che conta di una vera Donna è il cuore,
un cuore capace di amare e attento alle necessità.
Sarà proprio uno straordinario intuito femminile a stravolgere la
rispostaccia di Gesù a sua Madre in un'indicazione di salvezza ai servitori del
Vangelo: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. Qualsiasi. Anche la più strampalata.
Anche quella di riempire di acqua (l'esatto opposto del vino di cui si ha
bisogno) le sei anfore di pietra che servivano per la purificazione rituale dei
Giudei. Non anfore qualsiasi: anfore per la purificazione rituale, ovvero
anfore soggette all'uso rituale e legale prescritto dall'Antica Alleanza,
sempre bisognosa di purificarsi finché troverà l'acqua vera che dona vita,
quella della Nuova Alleanza sigillata dal Battesimo; una purificazione rituale
che non dona salvezza, che è incapace di portare a compimento la salvezza,
perché se fosse totale e perfetta, le anfore non sarebbero solo sei (numero
dell'imperfezione), bensì sette, il numero della totalità; una Legge, quella
dell'Antica Alleanza, che pesa come un macigno sulla vita del popolo d'Israele,
proprio come pesano sei anfore di pietra piene fino all'orlo di una quantità di
acqua spaventosa (alla fine, calcolatrice alla mano, parliamo di 700 litri di
acqua...).
Ma come si fa a pensare che da lì può uscire un vino nuovo, e di qualità
eccellente? Non importa: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. Abbiate fiducia,
dice la Madre: egli sa quello che fa! Lo sa lui, e lo sanno i servi che hanno
attinto l'acqua! Queste cose non le sa “colui che dirige il banchetto”! Nella
logica del Vangelo, chi “dirige”, chi “comanda”, resta all'oscuro di tutto,
perché “Dio nasconde queste cose ai grandi e ai sapienti e le fa conoscere ai
piccoli”. È così che Dio si rivela in Gesù come Signore della storia e
dell'umanità: ai piccoli e ai servi.
E questo, avvenuto il terzo giorno, fu solo l'inizio dei segni compiuti da
Gesù. Come a dire: ne vedremo delle belle!
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