gli animali domestici?
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Su «Il Fatto Quotidiano» Morena Zapparoli, a nome di tutti i
possessori di cani e gatti, ha detto che l’affermazione di Bergoglio «ci
ha ferito». E ha cercato di spiegare al papa il perché: «Per noi un cane o
un gatto è una creatura di cui prenderci cura perché non siamo noi a
possedere loro ma sono loro a possedere noi. Per noi sono esseri capaci di
darci un amore incondizionato senza chiedere niente in cambio perché ci
hanno scelti per condividere un pezzo di strada insieme per il tempo,
troppo breve, che Dio ha concesso loro sulla Terra. Per noi sanno
parlare senza bisogno di usare il nostro linguaggio, con gli sguardi, con
il muso umido contro il nostro, con le fusa, con la coda gioiosa agitata
nell’aria, e dicono più di quello che direbbero mille parole».
L’articolo si concludeva con l’accusa al pontefice di essere in
contraddizione col nome che ha scelto di portare: «Per noi [i nostri
animali] sono tutto e non potremmo più neppure immaginare di vivere senza
di loro e quando muoiono, una parte di noi muore con loro. Senza polemica,
caro Francesco, ma il Santo di cui tu porti il nome, sarebbe di certo
d’accordo con noi».
La crisi della genitorialità
Forse può essere utile a capire i termini reali della questione un
breve richiamo al contesto in cui Francesco parlava, che era quello di una
catechesi sulla paternità putativa di s. Giuseppe. Proprio in riferimento
ad essa, il Pontefice ha ricordato che «non basta mettere al mondo un
figlio per dire di esserne anche padri o madri». In realtà, «tutte le
volte che qualcuno si assume la responsabilità della vita di un altro, in
un certo senso esercita la paternità nei suoi confronti». E «avere figli,
paternità e maternità, è la pienezza della vita di
una persona».
Da qui la valorizzazione, in concreto, dell’istituto dell’adozione, che ha
alla base l’«atteggiamento così generoso e bello» di chi fa una «scelta»
che «è tra le forme più alte di amore e di paternità e maternità». Da qui
anche l’auspicio di Francesco «che le istituzioni siano sempre pronte ad
aiutare in questo senso dell’adozione, vigilando con serietà, ma anche
semplificando l’iter necessario perché possa realizzarsi il sogno di tanti
piccoli che hanno bisogno di una famiglia, e di tanti sposi che desiderano
donarsi nell’amore».
Un auspicio estremamente attuale, in una situazione come quella italiana
che vede da un lato molti bambini senza genitori abbandonati in case
famiglia, e dall’altro molte coppie, desiderose di adottare un bambino,
costrette a rivolgersi all’adozione internazionale – sempre assai più
problematica e rischiosa – , per le difficoltà e le lungaggini
burocratiche a cui l’istituto dell’adozione è soggetto nel nostro Paese.
È all’interno di questo quadro che si colloca la critica del Papa a una
società in cui la paternità e la maternità sembrano essere diventate una
scelta sempre meno attraente: «Si vede che la gente non vuole avere figli
e tante coppie non hanno figli perché non vogliono o ne hanno uno solo. Ma
hanno cani e i gatti, che occupano il posto dei figli – ha aggiunto
parlando a braccio -. Questo rinnegare la paternità e la maternità ci
toglie umanità. E così la civiltà diventa più vecchia e senza umanità».
Il problema, come è abbastanza evidente, non è quello del rispetto per
gli animali, ma riguarda l’incapacità delle persone di assumersi la
responsabilità genitoriale. Di questa incapacità sono un evidente indizio
i dati statistici relativi alla natalità nel nostro Paese. Secondo il rapporto
Istat dello scorso dicembre, l’ultimo rilevamento statico, relativo al
2020, registra un nuovo record minimo delle nascite, 405 mila, a fronte di
740.000 decessi.
Un deficit che non è legato a motivazioni strettamente economiche –
o almeno non soltanto a queste – , visto che esso è dovuto alla
popolazione di cittadinanza italiana (-386 mila), mentre per gli stranieri
residenti nel nostro Paese il saldo naturale resta ampiamente positivo
(+50.584). Il problema non è strettamente economico. Il declino della
genitorialità corrisponde a quello, più profondo, dello spirito del dono,
che in essa raggiunge il suo culmine naturale.
È in gioco il fraintendimento della libertà, sempre più intesa
egocentricamente come espressione della propria autonomia, piuttosto che
come responsabilità verso qualcun altro. Per questa “libertà” i figli sono
un ostacolo, molto più di un animale domestico (peraltro non bisogna
dimenticare l’assurda pratica dell’abbandono di cani e gatti alla vigilia
delle vacanze estive, quando anch’essi diventano un impaccio e vengono
trattati come una zavorra di cui disfarsi).
Da qui le fosche previsioni che, sempre l’Istat, fa sul futuro demografico
in Italia: una popolazione residente che da 59,6 milioni al primo gennaio
2020 scenderà a 58 milioni nel 2030, a 54,1 milioni nel 2050 e a 47,6
milioni nel 2070. Nel 2048 i decessi doppieranno le nascite e nel
2050 il rapporto tra giovani e anziani sarà di 1 a 3. Con conseguenze
devastanti anche sul sistema pensionistico. Anche a questo il Papa ha
fatto cenno nell’udienza generale: chi si prenderà cura degli anziani, chi
li manterrà, quando non potranno più lavorare?
La logica della pensione è che ci sia un numero di lavoratori che, con
i propri contributi, mantiene chi è in pensione: figli che si assumono a
loro volta, dopo esserne stati allevati, la responsabilità dei propri
genitori. Ma se una coppia ha un solo figlio, o addirittura non ne ha, i
conti non tornano.
Non “contro” gli animali, ma “per” le
persone umane
Si capisce, allora, il senso della denuncia di papa Francesco, che non è
frutto insensibilità verso gli animali, ma di sensibilità verso le persone
umane. È la preferenza data ai primi rispetto ai secondi che egli ha
criticato, sia nei termini di apertura alla vita e di cura dei bambini
abbandonati, sia in quelli di una responsabilità verso il bene comune
della società nel suo insieme, a cominciare dai suoi membri più anziani.
Il problema, peraltro, non riguarda solo la questione della natalità. In un
altro discusso intervento, durante un’udienza giubilare del maggio 2016,
in pazza san Pietro, Francesco aveva messo in guardia dal confondere
la pietà «con la compassione che proviamo per
gli animali che vivono con noi». E aveva proseguito: «Accade che
a volte si provi questo sentimento verso gli animali, e si rimanga
indifferenti davanti alle sofferenze dei fratelli».
Anche allora molte erano state le reazioni polemiche. Lorenzo
Croce, presidente dell’Associazione Italiana Difesa Animali ed Ambiente,
aveva definito le parole del Papa «irresponsabili e fuorvianti» e lo
aveva invitato a occuparsi dei preti pedofili invece di «fare lezioni a
noi che amiamo sia uomini che animali come tutte creature di
Dio». Ancora una volta, però, sarebbe bastato poco per capire che il problema
del Pontefice non è di svalutare gli animali, ma di reagire alla
svalutazione che, rispetto ad essi, subiscono le persone umane.
Di fronte al moltiplicarsi, nelle nostre città di cliniche veterinarie
e di centri di toelettatura per animali domestici (esistono ormai anche
dei corsi professionali per “toelettatore”, «una professionalità molto
richiesta» si dice su Internet), non si può non chiedersi a quanti esseri
umani è negato un minimo di cura e di benessere. Come di fronte alle ormai
numerose pubblicità televisive relative ai più raffinati
prodotti alimentari per cani e gatti viene spontaneo fare il confronto con
le miserabili condizioni di vita di tanti uomini e donne nelle nostre
periferie urbane. Per non parlare di quelle di quanti vivono nei Paesi
sottosviluppati e lottano quotidianamente con la fame e le malattie…
La storia della Chiesa è piena di santi – non solo s. Francesco d’Assisi,
come erroneamente si crede! – che amavano gli animali e avevano un ottimo
rapporto con loro. Ed il massimo teologo della tradizione cristiana,
Tommaso d’Aquino (a differenza di pensatori dell’epoca moderna come
Cartesio) era convinto che essi hanno un’anima e sono capaci di avvertire
piacere e sofferenza, gioie e dolori, anche se privi della facoltà
razionale propria degli esseri umani. Non è il disprezzo degli animali, ma
l’amore le persone a motivare le denunzie di papa Francesco. Ma forse è
più comodo contestare quello che non dice, piuttosto che prendere sul
serio quello che vuole dire.
*Pastorale Cultura Diocesi Palermo
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