Ritorno
del religioso
e
spiritualità cristiana
Il
ritorno alla religione, almeno come dato sociologico, smentisce il paradigma
della secolarizzazione e attesta la complessità del fenomeno religioso, ma
anche dei cambiamenti che attraversano la nostra epoca.
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di Francesco Cosentino*
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Quando
nel 1965 il teologo Harvery Cox pubblicò il suo testo La città secolare, furono
in molti a riconoscersi nella tesi proposta e ad avvertire che, effettivamente,
la crescente secolarizzazione in molti ambiti della società, in particolare
dovuta agli sviluppi tecnico-scientifici della modernità e alle nuove visioni
del mondo inaugurate dalle ideologie, avessero in qualche modo segnato per
sempre il destino della religione. La chiave di lettura sembrava essere
inesorabilmente questa: all’avanzare della secolarizzazione diminuiscono
presenza ed esperienza religiosa, mentre ci si avvia in modo più o meno
definitivo verso una completa scristianizzazione della cultura occidentale.
I
decenni successivi, come lo stesso Cox affermerà in altre sue opere postume,
hanno smentito questo assunto e hanno mostrato tutta la complessità e anche
l’ambiguità del concetto di secolarizzazione. L’osservazione della vita reale
dei nostri contemporanei, nel frattempo entrati nell’era postmoderna, ha di
fatto mostrato come il collegamento automatico tra progresso della modernità e
declino della religione fosse quantomeno troppo semplicista, anche per il fatto
che il fenomeno religioso – con i suoi alti e bassi – comprende diverse
dimensioni e risponde a molteplici fattori. Di certo, la religione – e non solo
quella cristiana – non è morta. Per certi versi, c’è stato anche un singolare
“risveglio del sacro” e un ritorno di spiritualità che, tuttavia, è proprio ciò
che deve suscitare la nostra attenta riflessione teologica, per evitare sia di
cedere ai facili entusiasmi di chi canta un nuovo trionfo della religione e sia
al disfattismo di chi non riesce a cogliere le opportunità che si celano in
questo momento storico.
Una
“rivincita” di Dio?
Il
ritorno alla religione, almeno come dato sociologico, smentisce il paradigma
della secolarizzazione e attesta la complessità del fenomeno religioso, ma
anche dei cambiamenti che attraversano la nostra epoca. Se però, accogliendo
peraltro l’approccio al tema che ci viene offerto dal filosofo canadese Charles
Taylor – si supera la lettura esclusivamente sociologica sia del fenomeno
religioso che del processo di secolarizzazione, per andare più in profondità e
analizzare i movimenti e i percorsi di ricerca esistenziale e spirituale dei
nostri contemporanei, ci si accorge che il ritorno alla religione esprime anche
un altro sentire che si sta facendo strada nelle persone del nostro tempo e che
potremmo sintetizzare così: la proposta illuminista, scientifica, tecnologica
della modernità, per quanto importante, non è sufficiente per offrire quelle
rispose di senso che rimangono vive nel cuore di ogni uomo. La sete spirituale
che ci abita, il bisogno di significati capaci di parlare anche alla sfera
delle nostre emozioni oltre che a quella razionale, la necessità di nutrimento
interiore rispetto alle domande, ai dubbi, al desiderio di una vita buona e
riuscita, nonché l’urgenza di trovare un orientamento per la propria vita al di
là dell’immediato e della semplice conquista di beni materiali o successi
personali, non trova risposte adeguate nella visione secolarizzata della
modernità, che spesso eliminando il problema di Dio ha anche finto per
impoverire la visione dell’umano.
Fatto
sta che le previsioni sull’irrilevanza delle fedi religiose nella sfera
pubblica e politica, che avrebbero relegato il fenomeno solo nell’ambito
privato, sono state ampiamente smentite; in questi ultimi decenni, infatti, le
religioni sono tornate inaspettatamente alla ribalta, anche grazie a molteplici
fattori come le rivolte islamiche in alcuni Paesi Arabi, il movimento di
Solidarnosc in Polonia, il ruolo del cattolicesimo in alcuni conflitti
dell’America Latina. Nonché il risveglio della “religione civile” e di un certo
fondamentalismo operante negli Stati Uniti soprattutto in ambito protestante
(1).
Anche
nell’ambito personale, per i molteplici motivi di fondo già citati, il bisogno
di spiritualità ha in qualche modo prodotto un ritorno del senso religioso,
fino a suscitare alcune euforiche analisi che – a nostro modesto parere un po’
troppo frettolosamente – hanno parlato di una “rivincita” o di un “ritorno di
Dio” (2).
Certamente
ci troviamo oggi in un clima nuovamente disponibile e aperto verso il fenomeno
religioso, mentre si moltiplicano le esperienze spirituali di vario genere e si
va componendo un vero e proprio mosaico delle fede e delle religioni, spesso
incarnato in una religiosità «di facile impiego e di pronto uso» (3) con il
relativo risveglio spirituale contro l’irrilevanza e il grigiore
dell’esistenza.
Tuttavia,
proprio andando oltre la superficie e quindi oltre i semplici dati sociologici
e statistici e oltre l’esperienza sensibile ed epidermica di molte proposte
religiose odierne, occorre porsi dinanzi al fenomeno con un attento sguardo
teologico, per attuare un vero e proprio discernimento spirituale: si tratta
davvero di un ritorno di Dio? Davvero il “ritorno del sacro” e una certa
inflazione di spiritualità che vediamo emergere dalle molteplici proposte
religiose, spesso incarnate in movimenti dal tratto carismatico e ideologico e,
altrettanto spesso, infarcite di sincretismo e di percorsi “orientaleggianti”,
significa la presa di coscienza da parte del singolo della presenza di un Dio
personale come quello che il cristianesimo presenta, un Dio che invita a una
relazione reale e impegnativa, un Dio che non desidera vagheggiamenti mistici
ma chiama alla responsabilità dinanzi alla propria vita e alla sorte del
prossimo? Il ritorno della spiritualità, insomma, ha qualcosa a che fare con la
spiritualità cristiana?
Ritorno
della religione e discernimento
A
un attento discernimento, che tenga conto della profonda crisi che il
cristianesimo sta attraversando in Occidente u molteplici fronti e, al
contempo, degli studi e delle riflessioni teologiche sul tema, non si può
procedere con una lettura ingenua. Il revival delle religioni e un certo
“ritorno del sacro”, cioè, benché rappresentino una profonda insoddisfazione
rispetto ai paradigmi della società odierna e segnalino una certa apertura
all’incontro con il divino, si presenta con un volto del tutto particolare,
marcatamente emotivo, propenso a percorsi strettamente individuali, sganciato
dall’istituzione e da ogni tradizione religiosa del passato, incarnato in forme
poco dogmatiche, molto sacrali, piuttosto disinteressate alla sfera sociale. Si
tratta cioè di un sacro inventato su misura, che propina «una spiritualità più
flessibile, ariosa, slegata da qualsiasi riferimento a principi e norme» (4).
Il
ritorno del sacro, insomma, non significa immediatamente un vero ed effettivo
ritorno della relazione di fede con Dio e, quindi, la possibilità di una fede
personale che diventi mappa di orientamento delle scelte, dei principi, dei
valori e delle attività quotidiane della persona; né tantomeno significa il
ritorno alla dimensione comunitaria ed ecclesiale della fede, alla condivisione
del cammino con gli altri e agli aspetti sociali e politici della fede, la
quale ci chiede di assumere determinati criteri per agire in ogni ambito della
società e ci invita a essere costruttori del Regno di Dio attraverso le
pratiche della giustizia e della solidarietà.
Il
ritorno della religione, insomma, appare alquanto ambivalente. L’attuale
“eccesso di religione” (5) sembra infatti derivare dal disorientamento attuale,
dalle insicurezze crescenti nelle nostre società consumiste, globalizzate e per
nulla al riparo da fenomeni di violenza, dal disagio emergente nel clima
postmoderno in cui viviamo che, dopo aver frantumato e frammentato le “grandi
verità” che fungevano da guida per l’interpretazione della vita e della realtà,
ha consegnato alla coscienza di ciascuno e alla sua storia quotidiana il
compito faticoso di dover cercare significati e di orientarsi in mezzo a
molteplici proposte di senso, scelte e valori. Dunque, la via della
spiritualità e il ritorno del sacro sono spesso dettati dal bisogno
psicosomatico di alleggerire il peso della vita e, in tal senso, sarebbero
«solo un sintomo dell’inquietudine dell’uomo contemporaneo» (6). Questo è il
motivo per cui nella odierna molteplice proposta religiosa vi ritroviamo
mescolati elementi diversi di tipo psichico, emozionale, filosofico e
spirituale, insieme a tecniche psicosomatiche e a elementi culturali del
lontano Oriente. Il rischio – come ben annota Dotolo, è che ci si trovi dinanzi
a una religione cercata solo per il proprio bisogno: «Cosa intendiamo noi oggi
per “ritorno del religioso”, per “revival del religioso”? […] L’esperienza
religiosa in questo ultimi decenni sembra aver caratterizzato un bisogno di
tranquillità psicosociale; è un’esperienza nella quale l’uomo, ma oserei dire
tutta la società occidentale, vuole evitare che la routine e lo stress
dell’esistenza possano in qualche modo interrompere il gusto della vita o
possano appesantirlo […] Questo è un aspetto che noi dobbiamo assumere con una
certa attenzione e anche con una positività, se letta come bisogno
antropologico. Ciò non toglie comunque, lo sconfinamento in religiosità ibride,
alla “Disneyland”; l’esperienza religiosa deve consolare, tacitare, coccolare,
non deve ulteriormente richiedere al soggetto una scelta, non deve stressare la
responsabilità […] Ecco, una religione che ti fa sognare un mondo possibile ma
che ancora una volta non è il mondo nel quale tu vivi» (7).
Dunque,
una religione e un contatto con il sacro che in parte alleggeriscono il peso
della vita e, d’altra parte, rappresentano anche una fuga-relax dinanzi alla
complessità e all’incertezza odierne: si tratta di un’esperienza religiosa
usata quasi sempre come terapia psicologica o come un farmaco per le proprie
repressioni (8), aperta a forme inedite di spiritualità su sfondo
magico-superstizioso e sincretista. Dunque, una nuova forma di neopaganesimo in
cui, come giustamente osservato, la religione è forte ma la fede è debole (9).
Spiritualità
cristiana, spiritualità del quotidiano
Da
quanto detto fino ad ora, nelle nostre complesse società contemporanee resiste
una certa religiosità esteriore e un bisogno di spiritualità, ma il tutto
rimane confinato all’esperienza del singolo e al brivido emozionale del
momento, senza che le parole, i simboli e i valori della religione riescano poi
a incidere davvero nell’interpretazione della vita, nel modo di essere e di
vivere le relazioni interpersonali e nelle scelte della quotidianità. Da questo
punto di vista, appare marcata la differenza sostanziale con la spiritualità
cristiana, la quale non si risolve nel gioco autoreferenziale di un percorso
intimistico e nel sogno di una pacifica meditazione personale, bensì implica
una relazione viva e “bruciante” con il Dio di Gesù Cristo, la cui conseguenza
fondamentale è una trasformazione del modo di essere, di pensare e di agire –
ciò che intendiamo per conversione – fino a diventare persone nuove, abitate da
una vita nuova, che si propongono di rinnovare la storia e la società seguendo
le orme di Cristo stesso, quindi vivendo la sua stessa compassione,
misericordia e prossimità.
La
spiritualità cristiana, dunque, lungi dall’essere un insieme di pratiche
ascetiche fini a se stessa, ha il suo specifico nella persona stessa di Gesù
Cristo. Il suo scopo è principalmente svuotarsi, cioè fare quello spazio
necessari per essere permeabili alla presenza di Cristo e all’azione del Suo
Spirito, che rinnova la vita e ci rende segni dell’agire stesso di Dio – che è
l’agire nella carità – nella vita di tutti i giorni, nelle relazioni, nei
luoghi che frequentiamo, nelle scelte che compiamo. Essenza della spiritualità
cristiana è l’incontro con Gesù Cristo e l’accoglienza del Suo Vangelo, mentre
lo scopo finale della vita spirituale non è il benessere personale, ma la
sequela di Gesù che ci rende pienamente uniti a Lui e, in comunione con Lui, ci
fa diventare segni viventi del Suo regno in tutte le situazioni della nostra
vita. Va da sé che un tale processo significa lasciare che Cristo viva in noi
come il centro della nostra vita e, dunque, rinnegare noi stessi e prendere
anche noi il criterio della Croce – amare, e amare gratuitamente fino al dono
di sé – come criterio fondante di tutte le nostre azioni (cfr. Mt 16,24). E va
da sé che si tratta di una spiritualità generata da un annuncio non meramente
consolatorio o moralistico, ma di una proposta radicale, esigente,
appassionata, che ha la pretesa di trasformarci e di affidarci la missione di
trasformare il mondo attorno a noi. Una spiritualità viva, incarnata, realmente
visibile nella misura in cui vincendo gli egoismi personali assumiamo come criterio-guida
della nostra vita la relazione con Dio e la cura dell’altro e della realtà che
ci circonda.
Imperniata
sull’incarnazione di Dio in Cristo Gesù, dunque, la spiritualità cristiana non
solo non incoraggia e non genera nessuna fuga dalla realtà e dalla storia, ma
anzi rimanda il credente alla propria quotidianità, invitandolo ad assumersene
le sfide e le fatiche e chiamandolo a sentirci attivamente partecipe del
destino della realtà in cui vive.
La
spiritualità cristiana, perciò, è in stretta connessione con il quotidiano, con
la storia reale, con la vita di tutti i giorni. Si tratta di un legame
profondamente teologico e cioè non derivato da un’esigenza esterna, bensì
radicato nel fatto straordinario del Dio che si è fatto carne. Tra fede
cristiana e quotidiano c’è una intima connessione in duplice senso: da una
parte, la vita quotidiana, pur con la sua monotonia o la sua apparente assenza
di elementi trascendenti, è un vero spazio sacro perché è il luogo in cui Dio è
presente, parla e agisce; dall’altra parte, il quotidiano, con le attività che
portiamo avanti ogni giorno, le domande, le battaglie, le fatiche, i sogni, è
lo spazio in cui la nostra fede prende corpo e si realizza. Come afferma Karl
Rahner, la vita quotidiana è «lo spazio della fede, la scuola della sobrietà,
l’esercizio della pazienza», che anche in modo impercettibile «nasconde il
miracolo eterno e il mistero silenzioso che chiamiamo Dio» (10).
Certamente,
l’attuale ritorno del sacro e della spiritualità, rappresenta uno spazio
interessante che riapre la questione della relazione con ciò che ci trascende,
indicando una sete di risposte che vadano oltre l’immediato e il finito. Si
tratta però di un luogo da evangelizzare, di una realtà che deve essere
ascoltata e accompagnata attraverso un discernimento evangelico, perché essa
possa aprirsi sempre più a quella spiritualità cristiana più precisamente
radicata in una relazione con Dio che investe la quotidianità.
Al
contempo, il cristianesimo dovrà cercare di percorrere vie nuove per vivere in
modo nuovo la spiritualità cristiana, coniugando la proposta spirituale della
fede cristiana con i sentieri, spesso interrotti e travagliati, della vita
quotidiana, con le domande, le paure, le angosce e le speranze dell’uomo di
tutti i giorni. Si tratta di una spiritualità che può essere declinata almeno
in tre grandi aspetti, i quali a loro volta andrebbero poi incarnati nella
prassi pastorale e nel cammino del singolo credente:
1
Una spiritualità che è accoglienza della vita: si tratta di assumere una
spiritualità che, in virtù dell’incarnazione, ci aiuta a credere nella presenza
di Dio in mezzo alle fatiche quotidiane. A credere che quando c’è un’apertura
incondizionata e radicale della propria vita a Dio, allora si può essere “nella
preghiera” anche se le giornate sono trafficate e le cose da fare sono tante.
La preghiera ha sempre bisogno di spazi e tempi suoi, ma, tuttavia, la
spiritualità di un laico che vive nel mondo di oggi, deve includere tutti gli
aspetti della vita: può essere un’azione spirituale anche la capacità di vivere
bene il proprio tempo, di abitare con qualità lo spazio della propria casa, di
assaporare le piccole gioie della giornata, di fare spazio a un po’ di
silenzio, di vivere relazioni sane e umane. C’è una ferialità dell’incontro con
Dio, che avanza senza fare rumore, nelle occasioni silenziose e anonime del
vivere di ogni giorno, in luoghi che non sono templi, in parole che non sono
preghiere e in situazioni che non sono eventi religiosi. Dio si rivela e ci
parla e noi possiamo incontrarlo non nei grandi ideali religiosi, ma nei
frammenti delle nostre giornate e della nostra povera carne. Si tratta di una
vera e propria “Teologia del quotidiano”, che ci aiuta a scoprire Dio «come un
parente» e a scoprire che «si vive la vita divina, vivendo con pienezza e
nudità la vita umana» (11);
2
Una spiritualità domestica: Si tratta di riscoprire e valorizzare il dono del
Battesimo, perché anche la celebrazione della fede non si limiti ai suoi
aspetti comunitari e “sociologi”, ma sia vissuta nella propria storia e nella
propria casa, quindi nello spazio feriale abituale, laddove si vivono le
fatiche e i travagli dei giorni. Durante la pandemia si è potuto assistere a
una certa rinascita della Chiesa domestica; la fede è stata celebrata spesso in
famiglia e ne sono nate Liturgie della Parola, celebrazioni comunitarie dalle
Liturgia delle Ore, semplici letture condivise del Vangelo e tanto altro.
Questa dimensione, ben al di là dell’emergenza pandemica, andrebbe più
strutturalmente inserita nella proposta pastorale di una Comunità parrocchiale,
così da suscitare una fede vissuta non solo nell’edificio ecclesiale ma nei
luoghi della vita, nelle case, nei condomini, nei quartieri, cioè nei luoghi
della vita quotidiana.
3
Una spiritualità della strada: infine, se facciamo in modo che il Vangelo esca
dal Tempio per percorrere le strade della vita quotidiana, impariamo a vivere
la fede attraverso la testimonianza della carità. Oggi più che mai c’è bisogno
di cristiani attenti, non indifferenti, che mettano al centro della loro
esperienza spirituale l’amore di Cristo per ogni uomo e lo ripropongano nei
loro gesti e nelle loro scelte. Ogni strada, ogni luogo della vita, ogni
incontro diventa una via attraverso cui Dio si affianca a noi, spesso nelle
vesti di chi ci sta vicino e ha bisogno di ascolto, di attenzione, di una
parola buona, o si presenta a noi nelle vesti del forestiero, dello
sconosciuto, del povero. A volte basta un sorriso, un gesto di cura.
Dunque,
una spiritualità del quotidiano è una spiritualità incarnata nella vita reale e
feriale; non una mistica separata dalla polvere della storia per essere andata
dietro qualche lontano richiamo filosofico, psichico o emotivo, ma una
spiritualità che permette a Dio di scrivere la sua e la nostra storia dentro
alle giornate che viviamo, nelle attività che svolgiamo, relazioni che portiamo
avanti, nei volti che incontriamo.
Note:
1 Si veda su questo l’approfondita analisi di
J. CASANOVA, Oltre la secolarizzazione. Le religioni alla conquista della sfera
pubblica, Il Mulino, Bologna 2000, 7.
2 Questi sono due titoli degli ultimi decenni:
G. KEPEL, La rivincita di Dio, Rizzoli, Milano 1991; M. INTROVIGNE, Dio è
tornato, Piemme, Casale Monferrato 2003.
3 B. SALVARANI, Senza Chiesa e senza Dio.
Presente e futuro dell’Occidente post-cristiano, Laterza, bari-Roma 2023, 27.
4 C. DOTOLO, Dio, sorpresa per la storia. Per
una teologia post-secolare, Queriniana, Brescia 2020, 48.
5 Cfr. C. GEFFRÉ, «La singolarità del
cristianesimo nell’età del pluralismo», in Filosofia e Teologia 6 (1992), 39.
6
U. GALIMBERTI, Orme del sacro. Il cristianesimo e la desacralizzazione del
sacro, Feltrinelli, Milano 2000, 31.
7
G. VATTIMO – C. DOTOLO, Dio: la possibilità buona. Un confronto sulla soglia
tra filosofia e teologia (a cura di G. Giorgio), Rubbettino, Soveria Mannelli
(Cz) 2009, 31-32.
8 La letteratura sul tema è molto ampia: Z.
BAUMAN, Il disagio della postmodernità, Mondadori, Milano 2002; A. N. TERRIN,
«Risveglio religioso e ritorno del sacro. Criteri per una lettura
critico-pastorali. Istanze che ne derivano», in Credere Oggi 61 (1999, 5).
9 Cfr. F. GARELLI, Forza della religione e
debolezza della fede, Il Mulino, Bologna 1996.
10 K. RAHNER, Cose di ogni giorno, Queriniana,
Brescia 1994, p. 10.
11 A. ZARRI, Teologia del quotidiano, Einaudi,
Torino 2012, 8 e 12-13.
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