Con
l'Assunta, incamminati verso il futuro con occhi e cuori ben alzati
-
di Matteo Maria Zuppi*
La
festa dell’assunzione di Maria al cielo ci aiuta, con la dolcezza di rivolgerci
ad una madre, ad alzare gli occhi e guardare il cielo. A volte farlo ci fa
provare sgomento, vertigine: relativizza la dittatura del nostro io, abituato a
piegare tutto a sé. Se non guardiamo il cielo non capiamo la terra e farlo –
non si smette di imparare a contemplare il mistero – ci aiuta a vedere il dono
che è ogni persona. L’Assunzione di Maria è la sua nascita al cielo. È la Pasqua
di Maria, dopo quella del suo Figlio. La morte è nascita alla vita del cielo,
figli nel suo Figlio venuto dal cielo per “portarci” in cielo con Lui.
La
tradizione voleva che, mentre si stava avvicinando il giorno della fine della
vita terrena della madre di Gesù, gli apostoli sparsi ovunque nel mondo,
avvertiti dagli angeli, si ritrovarono attorno al letto di Maria. E mentre
raccontavano le meraviglie della evangelizzazione, Maria si addormentò. E Gesù
venne a prenderla tra le sue braccia per portarla con sé nel cielo. Questa
scena è divenuta, in Oriente, l’icona che descrive la festa odierna: Maria
distesa sul letto con gli apostoli intorno in preghiera e Gesù al centro che
tiene tra le sue braccia una bambina: è l’anima di Maria, divenuta “piccola” per
il Regno, e che Gesù conduce accanto a sé sul trono. Potremmo dire che la festa
di oggi ricorda l’ultimo tratto di quel viaggio che Maria iniziò subito dopo il
saluto dell’angelo, come si legge nel Vangelo della Festa di questo anno. Oggi
Maria è giunta a destinazione: la Gerusalemme celeste. È la prima creatura
umana che fa il suo ingresso nel mondo di Dio, al seguito del Figlio crocifisso
e risorto. Ella porta con sé anche il compimento del suo corpo trasfigurato ad
opera dello Spirito d’amore, ed è una donna, una madre. La maternità, che ha
segnato il suo corpo per amore, entra nella gloria di Dio. Lo splendore del
legame materno, che il corpo custodisce per sempre, arricchisce di tenerezza e
di gioia il mondo di Dio.
È
la ragione del Magnificat di Maria che diviene – deve diventare – anche il
nostro Magnificat. Dio rovescia i potenti dai loro troni, posando il suo
sguardo – a loro umiliazione – proprio sull’umile fanciulla di Nazareth. Nel
cantico di questa giovane donna dobbiamo saper ascoltare il canto di tutte le
donne senza nome, le donne che nessuno ricorda, le donne che vengono
considerate inutili se non sono proprietà di un uomo, che vengono umiliate per
la loro scelta materna, che vengono consegnate ad una vita di seconda scelta –
o anche senza alcuna scelta – che l’economia mondiale tiene saldamente in
ostaggio. Queste donne, oggi, sono abbracciate da mani affettuose e forti che
le sollevano e le conducono sino al cielo. Sì, oggi è anche la festa
dell’assunzione delle donne, violate e consumate, ferite nella dignità della
loro condizione e umiliate nella loro cura della generazione. È anche
l’assunzione di Dosso Fati e della piccola Marie, sua figlia, morte di stenti
nel deserto. Sì, l’assunzione di Maria nel cielo di Dio ci parla di un corpo trasfigurato
che nulla e nessuno potrà più sfigurare.
La
Madre del Signore ci precede e tutti noi, figli di Dio e di questa madre,
prendiamo animo. Prendono animo i giovani: sono invitati per primi come Maria
ad alzare lo sguardo, ad affrettare il passo – Maria «in fretta» si recò
dall’anziana Elisabetta –, a muoversi verso i loro fratelli e le loro sorelle,
superando le montagne e colmando le valli. Ho ancora impressa nei miei occhi la
distesa enorme dei giovani a Lisbona radunati attorno a papa Francesco. Un
incredibile e significativo movimento giovanile – non corporativo, ma veramente
universale – che si è manifestato al mondo intero. Molti erano i giovani
italiani. La presenza di papa Francesco ha confermato la commozione e la
gratitudine di un segno che ha sorpreso la Chiesa stessa: la rinfranca, la
rianima, le restituisce la letizia nella quale, come umile ancella, porta il
Signore in grembo. I giovani della Gmg hanno sentito la vibrazione di questa
presenza del Corpo del Signore, e ci hanno trasmesso l’irradiazione del mistero
della compiuta destinazione di questa vita per ogni figlio e figlia che viene
in questo mondo.
I
giovani della Gmg, con il loro passo lieto, ne riportano l’incanto nelle loro
case, nelle loro strade, nelle loro città, nei loro villaggi. Anche nella
nostra Italia. L’impegno a rendere il nostro Paese una terra ospitale per
tutti, la decisione di nutrire una fraternità vitale fra i popoli, è nelle
corde di questa nuovissima generazione, assai più di quanto non sia nelle
nostre più adulte.
Dobbiamo
riconoscerlo. E a loro spetta il compito e la forza di ispirare un nuovo
futuro. Sono la nostra speranza. La loro riscoperta dell’insostituibile
contatto con i corpi viventi di molti fratelli e sorelle, che ci rende certi
della felice diversità dei singoli e della comune umanità di tutti, promette di
farsi inarrestabile e incontenibile.
La
“religione” della guerra – come anche ogni guerra di religione – apparirà
sempre più come un disturbo mentale da curare. La guerra deve diventare insopportabile.
L’algoritmo mercantile della competizione e dell’esclusione, che giustifica i
privilegi e impone gli scarti, deve avere con loro i giorni contati. Questi
giovani, che da grandi saranno sollecitati ad abitare il nostro Paese e la
stessa Europa, non lo sopporteranno più. Ed è salutare anche per noi adulti
fare spazio alla loro audacia, alla loro voglia di un futuro più pulito, più
fraterno, più ospitale.
La
giovane Maria di Nazareth è un esempio per tutti, per i più giovani anzitutto.
Sì, i ragazzi e le ragazze radunati a Lisbona ci stanno davanti: si sono levati
per tempo e in fretta si sono incamminati verso il futuro. Contro ogni
accidioso pronostico di insuperabile smarrimento, hanno preso l’iniziativa di
ridestarci al senso del cammino della terra che abitiamo perché sia bella e
abitabile da tutti, nessuno escluso.
La
Madre del Signore, riconciliata per sempre con il corpo vivente che ha portato
il Figlio, certamente dal cielo sorride, compiaciuta per il germoglio di un
nuovo cielo e di una nuova terra che a Lisbona abbiamo visto.
Alziamoci
per sollevare chi non ce la fa, chi soffre, quelli che sono caduti a terra o
scompaiono nell’immensità del mare, chi è precipitato nella depressione, chi
nell’abisso della solitudine. Così il cielo e la terra si uniscono e possiamo
vedere pezzi di cielo sulla terra e pezzi della terra salire al cielo.
*Matteo Maria Zuppi è cardinale
arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana
www.avvenire.it
Nessun commento:
Posta un commento