sabato 19 novembre 2022

PERDUTI E SALVATI

DOMENICA DI CRISTO RE

2 Sam 5,1-3/ Col 1,12- 20/ Lc 23,35-43

Abbiamo bisogno di salvezza. Ho bisogno di salvezza, urgentemente. Di una soluzione, di qualcuno che mi aiuti a mettere ordine nel mio caos interiore, qualcuno che intervenga nella Storia, che faccia giustizia, che convinca alla pace.

 Abbiamo bisogno di un salvatore. Urgentemente.

E lo cerchiamo con affanno, siamo disposti ad ascoltare le sirene di quanti propongono soluzioni definitive. Lo attendiamo sperando ci sia un politico, un imprenditore, un uomo di spettacolo, un guru, qualcuno, chiunque! capace di toglierci dal buio. Siamo disposti a tutto, purché facciano loro, purché faccia lui. Solo che, spesso, cerchiamo salvatori senza ammettere di esserci perduti.

Salvatori a buon mercato, diciamo, loro a salvare, a salvarci, noi seduti a guardare (disposti però a ringraziare, nel caso). No, non ci sentiamo davvero persi, non scherziamo. Confusi sì, ma non persi.

 Temiamo la disperazione, ci inorridisce l’assurdo.

 Senza ammettere di esserci persi, spaventati dalla serietà della vita, dall’ineluttabilità dell’esistere, senza ammettere, semplicemente, che non abbiano in noi tutte le risposte, che da soli non ce la possiamo fare, che la risposta di senso e di felicità, pur avendo bisogno di noi, di trova fuori da noi, non sappiamo più cosa sia la salvezza. E nell’ultima domenica dell’anno liturgico la Parola ha ancora qualcosa da dire, un’indicazione forte, destabilizzante, inattesa, rivolta ai cercatori di salvezza, nella Solennità di Gesù Cristo re dell’Universo. Una titolazione un po’ aulica, forse desueta, ma che proclama con forza quanto i discepoli hanno sperimentato: Gesù è la risposta di ogni ricerca, e il mondo non sta precipitando nel caos, ma nelle sue braccia.

 Gesù è la salvezza, l’unica salvezza, la mia salvezza.  La tua, se vuoi.

 Tu sei re?

 Tu sei re? (Gv 18,34), chiede uno stranito procuratore a quello scappato di casa che gli hanno portato per essere giudicato e crocefisso. Non crede ai suoi occhi il disincantato e spregiudicato Pilato: quale pericolo può rappresentare quello svaporato che gli sta dinnanzi? Eppure, se il Sinedrio si è umiliato chiedendogli un favore, deve esserci qualcosa di nascosto…

 Tu sei re? Ci chiediamo davanti alla croce: davanti al più sconfitto fra gli sconfitti, al più fragile tra i fragili. Un re senza trono e senza scettro, appeso nudo ad una croce, un re che necessita di un cartello per essere identificato. Non un re trionfante, non un Dio onnipotente, ma un uomo nudo, mostrato, sfigurato, piagato, arreso, sconfitto.  Una sconfitta che, per Lui, per Dio, è il definitivo e inequivocabile segno del dono di sé.

Un Dio sconfitto per amore, un Dio che – inaspettatamente – manifesta la sua grandezza nell’amore e nel perdono. Dio – lui sì – si mette in gioco, si scopre, si svela, si consegna.  Ecco Dio, è qui, appeso. Ecco il salvatore. Nudo.

 Salva te stesso

 Mette i brividi il vangelo di oggi, che dice in che senso Cristo è re. Gesù è appeso, agonizzante. Intorno a lui la folla, che poche ore prima ne chiedeva con forza la morte, tace, sgomenta. In pochi parlano, i sacerdoti, i soldati romani pagani e uno dei ladri, e ripetono lo stesso mantra: Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso.

 Vuoi che ti crediamo? (Dopo averlo appeso), dimostra che sei ciò che dici scendendo dalla croce e salvandoti. Salva te stesso e ti crederemo. Giusto. È esattamente ciò che pensiamo di Dio. Dio è Dio perché pensa solo a se stesso. Perché non si occupa degli altri, perché non he remore morali o densi di colpa. È un segno di debolezza il dover dipendere dagli altri.

 Il potente, così come ce lo immaginiamo (Dio, il miliardario, lo sfrontato, fate voi), è colui che salva se stesso, che può permettersi di pensare solo a sé, ha i mezzi per essere soddisfatto, senza avere bisogno degli altri.

 Dio è ciò che non possiamo permetterci di essere, il più potente dei potenti, che può tutto, che non ha bisogno di niente e di nessuno, beato lui!  Per dimostrare di essere veramente Dio, Gesù deve salvare se stesso, perché per molti, ancora, Dio è il Sommo egoista bastante a se stesso, beato nella sua perfetta, asettica, immarcescibile solitudine.

 Non è così. Il nostro Dio non salva se stesso, salva noi, salva me.  Dio si auto-realizza donandosi, relazionandosi, aprendosi a me, a noi. Questa è la sua regalità. Dio è re perché salva gli altri, noi, non se stesso.

 Ladri e ladroni

 I due ladri sono come noi; il primo sfida Dio, lo mette alla prova: se esisti, toglimi dalla croce, liberami da questa sofferenza, salva te stesso (di nuovo!) e noi, e me. Concepisce Dio come un re di cui essere suddito, ma lo riconosce re solo se Dio si fa suo suddito. Non ammette le sue responsabilità, non è adulto per rileggere la sua vita, tenta il colpo. Non è amorevole la sua richiesta: trasuda piccineria ed egoismo, servilismo e sfida. Come – spesso – è la nostra fede e la nostra preghiera. Cosa ci guadagno se credo? L’altro ladro, invece, è solo stupito. Non sa capacitarsi di ciò che accade: Dio è lì che condivide con lui la sofferenza. Una sofferenza conseguenza delle sue scelte, la sua. Innocente e pura, quella di Dio. Ammette di essersi perso, perciò viene salvato. Un ladro buono, dice la tradizione, nel senso di abile, aggiungo io: ha fatto il colpo più spettacolare della sua vita, ha rubato il paradiso.

 Ecco l’icona del discepolo: colui che si accorge che il vero volto di Dio è la compassione e che il vero volto dell’uomo è la tenerezza e il perdono. Nella sofferenza possiamo cadere nella disperazione o ai piedi della croce e confessare: davvero quest’uomo è il Figlio di Dio.

 Ecco il tuo re, Israele. Ecco il tuo re, discepoli del Signore, chiamati a costruire la profezia di un mondo nuovo e riconciliato che è la Chiesa. Un re umile, donato, pacificato, versato.

 Tremo, stordito.

Lo voglio davvero un Dio così? Un Dio debole che sta dalla parte dei deboli? È questo, davvero, il Dio che voglio? No, io preferisco un Dio potente che mi risolve i problemi e sono disposto a sfinirmi di preghiere per convincerlo!  

Ecco l’ultima provocazione che la Liturgia ci offre a conclusione del nostro cammino: di quale Dio vogliamo essere discepoli? Di quale re vogliamo essere sudditi?

 Non date risposte affrettate, per favore, altrimenti ci tocca convertirci.

 

Paolo Curtaz

 


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