sabato 12 dicembre 2020

I GIOVANI E LA DISFORIA DI GENERE. LA SVEZIA SI INTERROGA

Non si conoscono gli effetti nel medio-lungo termine dei percorsi per il cambio di sesso su chi è ancora adolescente. E ora molti specialisti ammettono: uno «stress etico»

L’inchiesta della Tv pubblica 'The Trans Train' ha fatto esplodere la questione sull’opportunità di concedere libera scelta ai ragazzini nell’accedere ai percorsi per la transizione ormonale o chirurgica L’85% dei minori interessati è nato donna, il 90% ha una diagnosi psichiatrica, il 45% è autolesionista

 ASSUNTINA MORRESI

 La critica alla pratica sempre più diffusa del trattamento ormonale e chirurgico nei confronti dei minori con disforia di genere, che si sta facendo largo in Svezia, ha il supporto di diversi specialisti del settore. A molti di loro è stato dato ampio spazio nel corso dell’inchiesta giornalistica 'The Trans Train', per la trasmissione 'Uppdrag granskning' ('Missione: indagare'), della Tv pubblica di Stoccolma. Abbiamo già scritto sulle colonne di 'Avvenire' dei genitori dei ragazzi transgender e dei de-transitioners, cioè di coloro che rifiutano la transizione intrapresa e vorrebbero recuperare l’identità di genere di nascita (tinyurl.com/y4cyv5hz).

Quanto ai professionisti che somministrano i trattamenti ormonali e chirurgici, intervistati si dicono sinceramente convinti di operare per il bene dei loro assistiti in quanto, come spiegano, l’alternativa sarebbe una grande sofferenza, insopportabile, da parte di chi non riesce a vedersi nel proprio corpo. A un dolore indicibile, cioè, si risponde con quel che c’è a disposizione: la transizione ormonale e chirurgica, che nel breve periodo sembra essere la soluzione dei problemi. Tutti però ammettono che non ci sono evidenze scientifiche sufficienti a supporto di questi percorsi. Dai trattamenti che bloccano la pubertà agli ormoni cross sex, che dovranno essere somministrati per tutta la vita, fino alla chirurgia: nessuno sa valutarne gli effetti a tempi mediolunghi, perché di ricerche adeguate non ce ne sono. È scritto anche nero su bianco nei documenti ufficiali della sanità svedese.

Non sapeva di questa incertezza Aleksa, che adesso ha 20 anni e non rifarebbe più quel che ha fatto, e per averlo detto pubblicamente è stata cacciata da gruppi social di attivisti transgender. A esprimere dubbi e perplessità su procedure così rapide, modifiche radicali e irreversibili in così giovane età, sono anche coloro che la transizione l’hanno fatta vent’anni fa, quando erano in pochi e il percorso era meno scontato, come Mikael Bjerkelly e Tone Maria Hansen del Harry Benjamine Resource Center, a Oslo.

Gli esperti intervistati snocciolano dati: il nuovo gruppo di pazienti Rodg (Rapid On-set Gender Disphorya, minori che improvvisamente vogliono transitare al genere opposto a quello di nascita, un numero in continuo aumento e talmente elevato negli ultimi dieci anni che c’è chi parla di “epidemia”) è per l’85% nato donna, per il 90% ha una qualche diagnosi psichiatrica, il 45% è autolesionista, il 20% ha diagnosi di autismo, il 35% ha sintomi tali da richiedere una ulteriore valutazione. Secondo il governo svedese il 40% dei giovani transgender ha tentato il suicidio nell’attesa di essere valutato per la transizione, ed è per evitare queste morti che Asa Lindhagen, del Partito dei Verdi, Ministra per l’Eguaglianza di Genere, ha sostenuto una legge per abbassare a 15 anni l’età minima per l’accesso alla transizione senza il consenso dei propri genitori, e a 12 quella per richiedere il cambio legale di genere. Ma è stata proprio l’indagine giornalistica “The Trans Train” a scoprire che quel 40% non ha alcuna base scientifica, si tratta di un numero inventato: imbarazzanti le interviste ai referenti del rapporto governativo, che non sono stati in grado di indicare le fonti del dato che principalmente giustificava la proposta di legge.

Secondo Michael Biggs, professore di sociologia ad Oxford, dopo un anno di trattamento i ragazzi peggiorano, aumentano autolesionismo e rischio di suicidio. Molti specialisti dichiarano di vivere uno “stress etico”, nel somministrare questi trattamenti. C’è chi prosegue nell’avviare i ragazzi a questi percorsi di transizione, pur con mille dubbi, e chi invece rinuncia del tutto, ma non è facile porre domande: Anne Waehre ha cercato di farlo con una lettera pubblica al Ministro della Sanità norvegese, chiedendo chi sarà responsabile delle “ragazze barbute della nazione”, e per questo è stata accusata di transfobia. Già: di chi la responsabilità delle diagnosi sbagliate? È la domanda che ricorre nel corso dell’inchiesta, a cui Rydelius Per-Anders, specialista del Karolinska, risponde «È una responsabilità condivisa» fra i medici che valutano e coloro che prestano il proprio consenso. Ma quale consapevolezza può esserci nel consenso di un quindicenne, per di più immerso in tanti problemi personali? Sono molte le domande senza risposte. Innanzitutto, sul fenomeno dei detransitioners: quanti sono? Chi sono? Voleva studiare questo nuovo fenomeno James Caspian, psicoperapeuta britannico paladino dei diritti dei transgender, e fiduciario dell’associazione di beneficienza transgender The Beaumont Trust; la sua università, però, la Bath Spa University, non gli ha permesso di condurre la ricerca, ufficialmente non per l’argomento ma per il metodo scientifico. Secondo quanto riportato dalle giornaliste di “The Trans Train”, nella lettera di rigetto della ricerca l’università afferma che il progetto è eticamente complesso e che i rischi sono troppo grandi per l’università e per il ricercatore stesso. Ma perché dovrebbe essere pericoloso studiare ragazzi che si pentono del percorso di transizione? Caspian si è rivolto a tribunali inglesi, perdendo le cause, e adesso ha annunciato di volersi rivolgere alla Corte Europea dei Diritti Umani.

Perché soprattutto ragazze che rifiutano il proprio corpo? Perché quest’aumento improvviso? Ha provato a rispondere Mikael Landén, del Dipartimento di Psichiatria e Neurochimica dell’Università di Gothenburg, che in un suo interessante articolo sulla rivista medica Läkartidningen parla di «un’infezione psicologica legata alla cultura. Se le persone nella loro prima adolescenza sono incoraggiate a pensare alla loro identità di genere e viene insegnato che la disforia di genere è una variante normale, non è improbabile che alcuni giovani indirizzeranno la loro ricerca di identità verso l’identità di genere. Tale ricerca può diffondersi rapidamente nei social network, come descritto per una serie di altri fenomeni come bulimia, suicidio (aumenta quando personaggi famosi o qualcuno che conosci si è tolto la vita), fumo obesità e altro.

L’aumento dell’uso dei social media coincide nel tempo con l’aumento della disforia di genere». E sottolineando ancora una volta la scarsità delle conoscenze a proposito, suggerisce che «affinché le attività odierne di correzione di genere non siano viste in futuro nello stesso modo in cui vediamo oggi il trattamento dell’omosessualità, è preferibile un atteggiamento medico nei confronti degli adolescenti con disforia di genere, piuttosto che vederlo come una questione di diritto per gli adolescenti di cambiare il proprio corpo chirurgicamente».

Nel frattempo, il governo svedese ha accantonando il progetto di legge e, su proposta del Consiglio nazionale di etica medica, si è rivolto a tre agenzie governative, l’Agenzia nazionale svedese per la valutazione medica e sociale (Sbu), l’Agenzia svedese per i prodotti medicinali e il Consiglio Nazionale della Sanità ed il Benessere, chiedendo approfondimenti in merito per le rispettive competenze. Quest’ultimo sta rivedendo le linee guida per i trattamenti di bambini e adolescenti con disforia di genere, che saranno diffuse per una consultazione pubblica nel 2021 e concluse nel 2022. Intanto si stanno organizzando gruppi di genitori, preoccupati per i propri figli che stanno attraversando la disforia di genere, come quello per i genitori di ragazzi Rodg (tinyurl.com/yxz3cjy3), in lingua inglese e tedesca, o dei finandesi di KirJo (tinyurl.com/y3l2jn6ee) di cui fanno parte anche detransitioners. E nell’estate del 2019 si è registrata una diminuzione del 65% dei rinvii alle cliniche per la disforia di genere in Svezia, secondo Louise Frisén, professore associato di Psichiatria del bambino e dell’adolescente alla clinica Kid, per l’incongruenza di genere e la disforia di genere, a Stoccolma. I dati sono stati presentati ad un seminario nel Consiglio Svedese di Etica Medica lo scorso febbraio 2020. Una novità che potrebbe essere il primo risultato della discussione pubblica in corso, a cui la proiezione dell’inchiesta “The Trans Train” sembra aver dato un contributo importante.

 

www.avvenire.it

 

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