Educhiamo anche coi no
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di MASSIMO CALVI
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Il modo migliore e più corretto per aiutare un bambino a
imparare a rapportarsi a uno smartphone è investire nell’educazione. Come
genitori e come comunità. La questione dell’approccio alla tecnologia da parte
dei minori è sostanzialmente educativa. Nel dirlo e nel ribadirlo occorre però
tenere conto di due aspetti fondamentali. Il primo è che la povertà educativa
non coincide necessariamente con quella economica, ed è spesso più diffusa e
trasversale. Il secondo che educare, privatamente e collettivamente, significa
anche saper dire dei no. E oggi si dovrebbe avere il coraggio di affermare che
uno smartphone, inteso come strumento con libero accesso a tutti i contenuti della
rete e a tutti i social network, non andrebbe dato quantomeno prima dei 13
anni.
Non è tanto un problema di norme: i social sono già vietati dai loro stessi codici prima di quell’età. Inutilmente. Ciò dovrebbe far riflettere. Un ragazzino di 10 anni è perfettamente in grado di andare da solo a scuola con uno 'strumento' come un monopattino elettrico o un motorino: se non accade è perché tutti sappiamo che non saprebbe gestire una situazione complessa nel traffico. Una ragazzina di 13 anni è capace di ritirare da scuola la sorellina di 9: la scuola, giustamente, non lo permette. A quell’età, se 'ben educati', si può anche gestire un vero piccolo fucile personale: in certi contesti avviene, per fortuna la pratica attira meno dell’uso libero dello smartphone. Siamo sicuri che ci sia una differenza? Anche grazie agli smartphone i nostri figli in questi mesi hanno potuto fare lezione e restare in contatto con gli amici. In realtà hanno solo usato una funzione marginale di questo strumento: tutto il resto non serve loro, non è adatto, e può «rubare l’infanzia » cui avrebbero diritto, come rileva Stefania Garassini nel manuale 'Smartphone, 10 ragioni per non regalarlo alla prima Comunione (e magari neanche alla Cresima)', dove la premessa è che «educare all’uso della tecnologia significa soprattutto educare ». Ripartire dai fondamenti della genitorialità, allora, significa anche ammettere che se abbiamo dato uno smartphone a un bambino, spesso è solo perché 'lo avevano già tutti', soggiacendo a una dittatura culturale che andrebbe invece capovolta se abbiamo veramente a cuore la questione educativa in senso comunitario.
Uno smartphone è una porta aperta su
un mondo sconfinato che stiamo imparando a conoscere in tutte le sue
sfaccettature: tanto noi adulti quanto i nostri figli abbiamo bisogno di un
racconto pubblico che ci aiuti a individuare i nuovi pericoli, incominciando a
definire cosa si può fare e cosa no.
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