sabato 9 gennaio 2021

I VICHINGHI IN CAMPIDOGLIO


Tramonto degli Stati Uniti oppure dell’Occidente?

-         di Giuseppe Savagnone

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La stragrande maggioranza dei commenti che si sono polarizzati in questi giorni sulle squallide gesta dei sostenitori di Trump – con la tragicomica (ma più tragica che comica) occupazione del Campidoglio da parte di bottegai travestiti da comparse di un brutto film sui vichinghi – si è concentrata, oltre che sulle responsabilità del presidente in carica, sull’imbarbarimento della società americana, di cui la presidenza Trump è stata la conseguenza, ma anche, a sua volta, un fattore di accelerazione. Giustamente si è sottolineata, a questo proposito, la problematicità del compito del presidente eletto Biden, che eredita un Paese spaccato a metà, e in cui i perdenti di oggi non si riconoscono nella sua presidenza, come quelli delle precedenti elezioni non si sono riconosciuti in quella di Trump.

Più grave dell’11 settembre

Sono analisi che condivido pienamente e che andavano fatte. Esse spiegano come sia stato possibile arrivare a questo esito traumatico, in un certo senso più grave della tragedia dell11 settembre, poiché quest’ultima era l’effetto di un attacco dall’esterno, che compattava il popolo americano, mentre gli eventi del 6 gennaio sono il frutto di una profonda lacerazione interna a questo popolo e ne evidenzia la crisi.

Domande senza risposta

Questa diagnosi, tuttavia, lascia aperti alcuni interrogativi che non riguardano più soltanto il corso degli ultimi avvenimenti, ma la dinamica della stessa democrazia americana. Perché resta da spiegare il fatto che il 50% degli americani abbia potuto identificarsi con un personaggio come Trump, non per una momentanea illusione ottica, ma anche dopo averlo sperimentato per quattro anni come presidente.

Non basta la motivazione economica

Le risposte basate sull’aspetto meramente economico – si è insistito molto sull’impoverimento delle classi medie del Middle West – non sono sufficienti. Qui siamo davanti a un’adesione popolare che va molto al di là del puro e semplice appoggio a una linea politica favorevole ai propri interessi e che, lo abbiamo appena detto, è stata indicata come un “imbarbarimento”. Si tratta, dunque, non solo di un fenomeno politico, ma innanzi tutto culturale.

A medium close up view of the US Capitol Building in Washington D.C. taken just before sunrise on inauguration day 1997.

Non è il “bene” contro il “male”

Bisogna però evitare di cedere alla facile tentazione di un manicheismo che ci porterebbe spontaneamente a contrapporre questa deriva disastrosa, identificata con il “male”, al fronte opposto, qualificato come il “bene”. Basta ricordare che a fronteggiare Trump nelle precedenti elezioni, è stato un personaggio considerato emblematico del sistema finanziario e delle sue logiche più ciniche, come Hillary Clinton. Ed è significativo che anche questa volta l’unico candidato che rappresentava una visione alternativa al “sistema”, Bernie Sanders, sia stato costretto al ritiro. La cultura “liberal” statunitense è molto attenta ai diritti individuali, ma non altrettanto ai doveri di solidarietà ed ha alimentato, nel tempo, un sentimento di profonda frustrazione in una classe medio-bassa che, oltre ad essere sempre più svantaggiata economicamente dalla globalizzazione, si è sentita frustrata e umiliata dall’élite intellettuale “democratica”.

L’esempio dell’aborto

C’è da chiedersi, a questo punto, se il rifiuto della “civiltà” da parte di metà degli americani non sia anche un contraccolpo della distorta interpretazione che ne dà l’altra metà. Per fare solo un esempio, fa riflettere che i cattolici americani abbiano dovuto scegliere, già quattro anni fa, tra un personaggio, come Trump, che esibiva rozzamente il suo disprezzo per la morale sessuale cristiana, e uno – la Clinton – appoggiato da tutte le potenti (anche finanziariamente) organizzazioni abortiste statunitensi. Dilemma etico (circoscritto, ma tutt’altro che secondario) appena attenuato, certo non risolto, nelle ultime elezioni, perché Biden, cattolico, ha fatto ampiamente capire di volersi affidare, su questo terreno, alla sua vice, Kamala Harris, decisamente abortista.

Trump modello del populismo europeo

Ma forse il quadro offerto dal Paese guida del mondo occidentale può offrire una chiave di lettura che va oltre i suoi confini. Basta pensare che nello stile di Trump e dei suoi seguaci, in questi anni, molti hanno potuto vedere il modello a cui si è ispirato e in cui ha trovato alimento il fenomeno del populismo, con le sue derive sovraniste.

Non è una mera ipotesi. Sono circolati in questi giorni le fotografie di Salvini con la mascherina su cui era stampato «Trump» e i video con la Meloni che sottolinea la sua piena sintonia con la destra americana. Il chiassoso inquilino della Casa Bianca è stato spesso additato dalla destra – e non solo in Italia – come un esempio da seguire, per esempio nella sua ostinata volontà di innalzare muri che bloccassero l’immigrazione dai Paesi più poveri e nella sua ostilità aperta verso l’Islam.

I limiti della “sinistra”

Per contro, anche al di fuori degli Stati Uniti la “sinistra” è stata fortemente caratterizzata, piuttosto che una volontà di perseguire la giustizia sociale, dalle sue vittoriose battaglie per garantire i diritti civili, soprattutto nelle materie eticamente sensibili: divorzio, aborto, fecondazione assistita, unioni civili, eutanasia (con la tappa intermedia del suicidio assistito). A fronte di questa marcia trionfale dei “progressisti”, si è però registrata il progressivo impoverimento della classe media e l’allargamento della forbice che separa i ricchi sempre più ricchi dai poveri sempre più poveri. Si capisce il rigetto di questo “progresso” da parte di chi, più che al diritto di morire, aspirava a quello di vivere («Il suicidio è roba per i ricchi», dice Totò in un suo famoso film, nei panni di un povero poliziotto, il cui problema è di sbarcare il lunario.).

Irrazionalismo e violenza

Anche qui non si tratta solo di schieramenti politici. Basta guardare i social per capire che il problema è prima di tutto culturale. Vi vediamo scorrere il fiume limaccioso di slogan che riecheggiano rabbia, paure, risentimenti – in nome di fake news clamorosamente infondate dal punto di vista della ragione – che hanno come bersaglio gli scienziati e in generale gli intellettuali, accusati di assurdi complotti volti ad ingannare la povera gente.

Non sono i vichinghi da baraccone che hanno invaso il Campidoglio, ma anche loro sono estremamente violenti. Ne sanno qualcosa personaggi pubblici – prevalentemente donne (penso a Laura Boldrini, a Liliana Segre) – oggetto di una sistematica persecuzione mediatica che sfiora il linciaggio. E se, negli Stati Uniti, questa violenza ha a che fare col razzismo nei confronti degli afroamericani, in Italia abbiamo dovuto di nuovo sentir risuonare pubblicamente slogan antisemiti. È la logica dei frustrati, che sfogano il proprio infinito risentimento su chi è (o appare) più debole di loro.

Ma l’alternativa è «Charlie Hebdo»?

Dall’altro lato le persone “civili”, informate, intelligenti e aperte, che guardano con disprezzo a questa massa ed esercitano la loro ragione per mettere in discussione tutte le fedi e le verità, tranne quella della libertà di ciascuno di gestire la propria vita. Un perfetto esempio di questo atteggiamento lo abbiamo da anni nelle vignette di «Charlie Hebdo», esaltate dalla cultura progressista non solo francese, ma europea, come una bella testimonianza di libertà di pensiero e di espressione, da difendere contro i fanatici musulmani che assurdamente considerano ancora sacra la figura di Maometto. Perché in quest’ottica nulla c’è di sacro, tranne la libertà stessa.

Il tramonto dell’Occidente

È in questa tremenda oscillazione tra una (illusoria) “verità” senza ragione e una (illusoria) “ragione” senza verità che si consuma il nostro attuale destino. Cento anni fa, in una famosa opera intitolata «Il tramonto dell’Occidente», Oswald Spengler profetizzava l’inesorabile esaurirsi della società occidentale. A suo avviso esso era dovuto al progressivo affermarsi della logica della razionalità quantitativa e anonima della tecnica a danno delle energie della vita.

“Verità” senza ragione e “ragione” senza verità

Anche se la vita non è quella del vitalismo nietzschiano che Spengler esalta, c’è del vero in questa diagnosi. La ragione senza verità di cui si parlava prima è facilmente riconoscibile in quella della tecnica, capace di approntare mezzi sempre più sofisticati per manipolare tutto, anche l’esistenza umana (sempre più controllata), ma, in quanto esperta solo di mezzi, non di additare i fini e i valori da cui quei mezzi dovrebbero trarre il loro significato.

La vita senza ragione è quella che si esprime in ciechi stati d’animo estremi, dalla paura, all’esaltazione, all’odio e che guarda con disprezzo le convinzioni e i limiti imposti dalla razionalità. Non va cercata solo nelle sue manifestazioni “politiche”, ma negli entusiasmi collettivi che portano folle di persone a idolatrare questa o quella rockstar, nei gesti balordi dei giovani che mettono a repentaglio la vita propria o quella altrui senza ombra di motivo, nel proliferare delle sette religiose….

Partire da noi stessi

Potremo uscire da questa perversa alternativa? La risposta non è scritta nelle stelle. Ma è certo che essa può essere scoperta solo a partire da una comprensione di ciò che sta accadendo. Non possiamo solo limitarci a deprecare l’assalto al Campidoglio – anche se questo va fatto. Le cause remote di questi eccessi sono in qualche misura dentro di noi, nella mentalità diffusa, nei nostri costumi. È là che ragione e vita non riescono spesso neppure «a darsi del tu», come diceva Woody Allen. Ed è da noi stessi che probabilmente bisogna partire. Perché l’Occidente non sono solo gli Stati, i partiti, i movimenti: l’Occidente siamo noi.

 

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