martedì 10 ottobre 2023

ADOLESCENTI, GIOCO E WEB

Dipendenza da gioco (e da web) 

A rischio 330mila giovanissimi

 L’età più difficile è quella dei 15 anni, i comportamenti più pericolosi riguardano chi fa abuso di videogiochi, secondo i dati Cnr. Lo psicologo Grosso: l’altra faccia del problema è il ritiro sociale

 

-         di ILARIA SOLAINI

 Hanno trascurato gli amici o perso ore di sonno, pur di rimanere collegati online a “videogiocare”, dicono di sentirsi di cattivo umore, se non possono connettersi a Internet. Quasi 330mila studenti dai 15 ai 19 anni (pari al 14%) mostrano queste fragilità nell’utilizzo del web. «Il gaming si configura come una vera e propria dipendenza» ha spiegato Leopoldo Grosso, psicologo e presidente onorario del Gruppo Abele fondato da don Luigi Ciotti. L’età più a rischio è quella dei 15 anni, mentre i rischi si abbassano dopo i 18 anni. Sono questi alcuni dei dati emersi nell’ambito del Cybersecurity Day – all’Internet Festival 2023 di Pisa, elaborati dal Cnr, il Consiglio nazionale delle ricerche – Istituto di Fisiologia Clinica. I dati raccontano delle nuove dipendenze causate da Internet e dal gaming anche attraverso alcune installazioni di data visualization, visibili da chiunque fino a domani all’Internet festival, dove si incontrano esperti di robotica, tecnologia e innovazione, umanisti, rappresentanti delle istituzioni, artisti e personaggi del mondo della cultura e dell’arte.

 Tra gli studenti con un profilo di utilizzo di Internet “a rischio” c’è una quota maggiore di altri comportamenti potenzialmente pericolosi, come l’assunzione di sostanze psicoattive o come l’avere un profilo di gioco d’azzardo “problematico”. Al contrario, essere impegnati in attività sportive e l’amore per la lettura sembrano avere una valenza “protettiva” nello sviluppo di comportamenti di gaming problematico.

 Dal cyberbullismo alla dipendenza da social al gaming, i comportamenti a rischio legati all’utilizzo di internet hanno comunque forme e modalità diverse. «Quando il tempo speso a giocare diventa eccessivo, il gaming può risultare pericoloso, influendo negativamente sulle relazioni sociali o sul rendimento scolastico» ha sottolineato lo psicoterapeuta Grosso. Il gaming è molto più diffuso fra gli adolescenti maschi (86%) rispetto alle ragazze (49%): nel 2022 il 7% e il 13% hanno videogiocato più di 4 ore al giorno nei giorni scolastici ed extrascolastici, con percentuali triple tra i ragazzi (9% e 17%). Ma Internet è il vero problema sempre? «Sento spesso i genitori dire mio figlio sta rintanato a casa collegato a Internet: in quei casi, dobbiamo riuscire distinguere quale sia la causa dell’isolamento. 

Il Covid-19 in alcuni casi ha fatto sperimentare come positiva l’esperienza di non avere contatti sociali, e in questo senso è stato un detonatore» ha spiegato Grosso che ha messo la luce su quell’1,6% di studenti intervistati che si è autodefinito Hikikomori, ossia una persona che evita il coinvolgimento sociale, non frequenta praticamente più alcun amico e passa tantissimo tempo davanti a un monitor, isolato nella propria camera. Si stima che in Italia siano circa 38mila: «Il 32% non lascia mai la propria stanza se non per andare a scuola, un quinto esce al massimo una volta alla settimana per uscire con gli amici o praticare attività sportive» ha aggiunto il presidente onorario del Gruppo Abele. 

«Quando ci troviamo di fronte a un ritiro sociale volontario la difficoltà va ricercata nella relazione con i propri compagni di scuola, nel senso di emarginazione e discriminazione che il ragazzo prova. Ed è causa di una grandissima sofferenza» ha spiegato lo psicologo, che ha sottolineato come invece Internet, in questi casi, rimanga «una risorsa, una finestra sul mondo e non la causa diretta della sofferenza. La Rete diventa lo strumento per una socializzazione compensativa che rende più lieve questo ritiro sociale».

Quasi 55mila studenti (2,2%) si sono volontariamente isolati per un periodo di tempo superiore ai 6 mesi, ascoltando la musica (58%), stando sui social network (47%) e giocando online (44%). Il 30% degli studenti ritirati per oltre 6 mesi non ha mantenuto alcun contatto con amici o conoscenti. Tra questi, il 49% ha spiegato di sentirsi escluso o non capito dagli altri, il 44% di non aver amici stretti e il 42% di essere solo. Viene da chiedersi da adulti cosa si possa fare per aiutare i ragazzi in queste condizioni, considerando che un terzo degli Hikikomori ha raccontato che i propri genitori hanno accettato la cosa senza porsi domande. Il 17% non l’ha saputo e solo l’11% si è preoccupato e ha chiamato il medico o la scuola.

«Dietro alle assenze da scuola possono esserci situazioni di sofferenza scolastica, episodi di bullismo, non denunciati né a scuola né ai propri genitori per paura di essere derisi o trattati male » ha denunciato ancora Grosso che è convinto del ruolo centrale della scuola di fronte alle assenze prolungate. Secondo lo psicoterapeuta «è importante che i genitori abbandonino l’atteggiamento morale e moralistico che colpevolizza il ragazzo che non va a scuola. Serve comprensione per capire dove e come aiutarlo».

www.avvenire.it

 

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