mercoledì 15 febbraio 2023

PRENDERSI CURA. EDUCARE VA OLTRE L'ISTRUIRE

  Tutto ciò che riguarda la “cura” in un contesto malato di relazioni complesse, di crisi derivante dalla solitudine del post-pandemia e dell’ipertrofia dell’Io sul Noi, assume i tratti della problematicità.

La preoccupante carenza di personale registrato diffusamente nelle professioni di cura, si configura come una vera e propria emorragia delle figure socio-educative e del personale sanitario. Mancano dati certi che delineino validamente il fenomeno, ma si articola ampiamente nel Paese da Nord a Sud con un invecchiamento dei professionisti e un progressivo abbandono del campo.

                                                                                                      - di BRUNO FORTE*

 La “cura” ha assunto connotati che si correlano tra loro e che vanno problematizzati con adeguata riflessione collettiva. Un primo elemento è riscontrabile nella vistosa carenza di programmazione atta a dimensionare il fabbisogno, ad implementare i percorsi formativi e a ripensare significativamente le condizioni effettive di lavoro. Stipendi bassi, erosione progressiva della fiducia sociale e della stima nei confronti delle professioni, come pure un mancato investimento collettivo nel pensiero e nell’operatività del settore, comportano una perdita di “attrattività”. Prendersi cura significa farsi carico delle persone e delle loro esigenze più profonde di ascolto empatico che richiede un coinvolgimento emotivo e psico-sociale dell’operatore. Sono questi i connotati che contraddistinguono tutti i professionisti di “cura”, se poi li decliniamo nei confronti delle professioni educative, assumono una ulteriore drammaticità. Lo sfondo della cultura di questa stagione punta al successo facile, all’efficienza ad ogni costo, a risultati certi, al tutto subito che sono criteri che non si riferiscono all’educazione che si configura come una seminagione ampia e un raccolto non certo, dilazionato nel tempo.

 Educatori e insegnanti cercasi e anche nidi e scuole dell’infanzia della Fism sono costretti a ripiegare su personale ancora impegnato nel percorso formativo iniziale. Ciò deriva da uno “stato confusionale” riferito al reclutamento che pone in seria difficoltà proprio il sistema paritario per l’esodo verso la scuola statale che almeno consente una maggiore sicurezza del posto e più agevoli condizioni di esercizio. La sussidiarietà educativa è stata colpevolmente resa insignificante proprio dalla “strabica” visione del Ministero dell’Istruzione che non ha assunto la chiave di lettura del sistema integrato statale e paritario, nella definizione previsionale del fabbisogno di educatori e di docenti; di conseguenza il sistema universitario statale si è appiattito sulla visione ministeriale che, correlata con la farraginosità burocratica, ha portato a questa situazione congiunturale. La Fism ha rinsaldato una volontà di reazione positiva nel riaccendere i fari sulla costruzione del sistema paritario che vede nel convenzionamento con il sistema universitario statale e quello pubblico offerto da soggetti privati, una risposta alla formazione di educatori e docenti.

La domanda di servizi educativi, nidi e scuole dell’infanzia cresce anche se siamo in presenza di un processo di contrazione demografica. Il Piano nazionale per la famiglia del 10 agosto 2022 costituisce uno strumento che declina il Family act (legge n. 32/2022) nel quadro del sistema 0/6 per sostenere il dovere/diritto educativo genitoriale che si esercita anche mediante i servizi del nido e della scuola.

Il processo risponde alla Raccomandazione del Consiglio d’Europa sui servizi all’infanzia che ridefinisce il ruolo dei servizi stessi per contrastare le diseguaglianze nello sviluppo personale e sociale a causa della disparità dei contesti. L’obiettivo di copertura delle presenze dei servizi sul territorio pari al 33% previsto per il 2010, viene ampliato al 45% entro il 2030. Già la prima tappa corre il rischio di non realizzarsi nonostante le risorse messe a disposizione dal Pnrr, poiché gli obiettivi intermedi non sono stati raggiunti a causa della inadeguata partecipazione dei comuni delle regioni meridionali.

Anche nella promozione della cultura e dei servizi all’infanzia emergono le diverse “Italie” per cui va opportunamente problematizzato nel segno dell’equità, il disegno della cosiddetta “autonomia differenziata”. La scuola dell’infanzia del sistema pubblico integrato ha contribuito significativamente a “fare gli italiani” nell’interazione e scambio tra diverse provenienze socio-culturali del sistema Paese. La nazionalità costituisce una dimensione nella quale si possono esprimere i territori educativi unificati nei livelli essenziali di prestazione e di fabbisogni standard. Per favorire l’integrazione tra i diversi contesti nei quali si radicano le scuole Fism e promuovere uno sfondo di arricchimento pedagogico, organizzativo e sociale, si delinea un progetto di gemellaggi tra le scuole delle diverse “Italie” anche con lo scopo di far cadere tabù e pregiudizi che riduttivamente interpretano le realtà delle diverse zone. L’onda lunga della pandemia ha contribuito a marcare pesantemente lo sbilanciamento tra educazione/istruzione in favore della seconda. La censura della relazione educativa e l’accentuarsi del disaccordo sociale sui princìpi fondamentali dell’umano, ha compresso l’esercizio della progettualità educativa. Si tende a curvare tutto sull’istruzione proprio in un contesto nel quale i ragazzi e la comunità richiedono educazione.

Per poter essere presi in braccio e per prendere in braccio è necessario condividere un cammino assieme: questo è educazione.

 * Responsabile pedagogico Fism

 www.avvenire.it

 

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