- Marco Giacalone
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L'intelligenza
artificiale generativa ha innescato una crisi ontologica, erodendo lo statuto
di verità dell'immagine e rendendo l'occhio umano un rilevatore inaffidabile.
Questo editoriale analizza il fallimento percettivo come minaccia alla coesione
sociale, la strategia di certificazione del vero e le implicazioni democratiche
di un mondo popolato da immagini orfane di verità.
Per
secoli, l'immagine ha svolto il ruolo di testimone silenzioso della
storia, l'ancora di prova fattuale che sosteneva la cronaca e il dibattito
pubblico. Quel ruolo è finito. La democratizzazione degli strumenti di
intelligenza artificiale generativa, i modelli di diffusione, le reti GAN, non
ha solo migliorato la grafica digitale; ha inferto un colpo mortale allo statuto
di verità dell'immagine stessa. Il mondo sta assistendo al crollo del
suo rivelatore più fidato: l'occhio umano.
Questo
non è un problema tecnico, ma una crisi ontologica. L'autenticità
visiva, un tempo garantita dalla percezione, è stata delegata all'algoritmo. Le
creazioni sintetiche hanno raggiunto una risoluzione e un realismo tali che
l'uomo non è più in grado di distinguere il genuino dal fabbricato. Quando la
differenza tra verità e menzogna richiede una verifica computazionale, si è già
perso qualcosa di fondamentale nel rapporto con la realtà. Si è verificato un
vero e proprio fallimento percettivo su scala globale.
Le
implicazioni di questo fallimento sono devastanti per la sfera pubblica. La
proliferazione di contenuti visivi manipolati non è casuale; è una
collateralità politica studiata. Immagini generate per diffamare,
destabilizzare o ingannare possono influenzare elezioni, alterare mercati
finanziari e corrodere il consenso in tempo reale. L'incapacità di un cittadino
di fidarsi di ciò che vede si traduce inevitabilmente in un contagio di cinismo
radicale. La sfiducia non colpisce solo il singolo medium, ma
si estende alle istituzioni mediatiche e, per estensione, a quelle governative.
L'AI ha armato l'arte dell'inganno.
È
una beffa che i sistemi di rilevamento AI (i detector) nati per
contrastare i deepfake siano per loro stessa natura destinati a fallire. I
modelli generativi evolvono in modo esponenziale, rendendo obsoleto qualsiasi
strumento di difesa non appena viene rilasciato. L'industria ne è consapevole e
sta, giustamente, invertendo la rotta: si sta abbandonando l'utopia della detection per
concentrarsi sulla provenienza digitale (provenance).
L'obiettivo
non è più identificare il falso, ma certificare il vero. Standard
di autenticità come C2PA rappresentano un tentativo cruciale di costruire una
catena di fiducia crittografica per il contenuto digitale, dotando ogni file di
un certificato di nascita che ne traccia l'origine e la storia
delle manipolazioni. Ma la loro efficacia è subordinata all'adozione universale da
parte di tutti i produttori di hardware e software, una missione titanica che è
in ritardo rispetto all'inondazione di immagini generate e non etichettate.
Finché questo non accadrà, il mondo sarà popolato da immagini orfane di
verità.
L'aspetto
più inquietante risiede, in ultima analisi, non nel danno arrecato alle
macchine fotografiche, ma in quello inflitto alla cognizione umana.
La costante esposizione alla menzogna visiva di massa non rende gli individui
più scettici in senso critico, ma semplicemente più propensi a rifiutare ogni
fatto scomodo. Questa dinamica distrugge la base di realtà condivisa necessaria
per il dibattito pubblico e la coesione sociale.
Se
l'intelligenza artificiale ha irrevocabilmente distrutto l'affidabilità di ciò
che vediamo, la domanda che resta appesa è la più urgente ed è su quali basi
fattuali si potrà ancora costruire la politica, la storia e la democrazia
stessa.
L'epoca della verità garantita è finita.
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