venerdì 21 novembre 2025

TESTIMONI DI FRATERNITA'


Leone XIV: «In 10 parole la forza del Vangelo

 Così nasce la vera pace»

Un nuovo libro firmato dal Pontefice con una serie di interventi sui concetti chiave della fede. Nel testo inedito che introduce l’opera, l’invito ai cristiani a essere testimoni di fraternità


«Dio non è né un essere magico né un mistero inconoscibile, si è fatto vicino a noi in Gesù, che ci unisce al di là delle nostre personalità, delle nostre provenienze culturali e geografiche, della nostra lingua»

Dieci parole. Non sono tante dieci parole, ma possono iniziare un discorso sulla ricchezza della vita cristiana. Così, per cominciarlo, di queste dieci parole vorrei sceglierne tre, come avvio di un immaginario dialogo con quanti leggeranno queste pagine: Cristo, comunione, pace.

A un primo sguardo, possono sembrare termini slegati, non conseguenti tra loro. Ma non è così. Essi si possono intrecciare in una relazione che vorrei con voi, cari lettori, qui approfondire, perché ne possiamo insieme cogliere la novità e la significanza.

Anzitutto, la centralità di Cristo. Ogni battezzato ha ricevuto il dono dell’incontro con Lui. È stato raggiunto dalla sua luce e dalla sua grazia. La fede è proprio questo: non lo sforzo titanico di raggiungere un Dio soprannaturale, bensì l’accoglienza di Gesù nella nostra vita, la scoperta che il volto di Dio non è lontano dal nostro cuore. Il Signore non è né un essere magico né un mistero inconoscibile, si è fatto vicino a noi in Gesù, in quell’Uomo nato a Betlemme, morto a Gerusalemme, risorto e vivo oggi. Oggi!

E il mistero del cristianesimo è che questo Dio desidera unirsi a noi, farsi prossimo a noi, diventare nostro amico. Così che noi diventiamo Lui. Sant’Agostino scrive: «Capite, fratelli? Vi rendete conto della grazia che Dio ha profuso su di noi? Stupite, gioite: siamo diventati Cristo! Se Cristo è il capo e noi le membra, l’uomo totale è Lui e noi» (Sant’Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, 21,8). La fede cristiana è partecipazione alla vita divina tramite l’esperienza dell’umanità di Gesù. In Lui Dio non è più un concetto o un enigma, bensì una Persona a noi vicina. Agostino ha sperimentato tutto ciò nella conversione, toccando con mano la forza dell’amicizia con Cristo che ha cambiato radicalmente la sua vita: «Dov’ero quando ti cercavo? Tu eri davanti a me, ma io mi ero allontanato da me e non mi ritrovavo. Tanto meno ritrovavo Te» (Sant’Agostino, Confessioni, V,2,2).

Cristo, inoltre, è principio di comunione. Tutta la sua esistenza è stata contrassegnata da questa volontà di essere ponte: ponte tra l’umanità e il Padre, ponte tra le persone che incontrava, ponte tra Lui e quanti erano ai margini. La Chiesa è questa comunione di Cristo che continua nella storia. Ed è una comunità che nell’unità vive la diversità. Agostino ricorre a un’immagine, quella di un giardino, per illustrare la bellezza di una comunità di fedeli che fa delle proprie diversità una pluralità che tende all’unità, e che non scade nel disordine della confusione: «Possiede, fratelli, quel giardino del Signore, possiede non solo le rose dei martiri, ma pure i gigli delle vergini e le edere dei coniugi e le viole delle vedove. In una parola, dilettissimi, in nessuno stato di vita gli uomini dubitino della propria chiamata: Cristo è morto per tutti. Con tutta verità, di Lui è stato scritto: “Egli vuole che tutti gli uomini siano salvi e che tutti giungano alla conoscenza della verità” ( 1Tm 2,4)» (Sant’Agostino, Discorsi,

304,3). Questa pluralità diventa comunione nell’unico Cristo. Gesù ci unisce al di là delle nostre personalità, delle nostre provenienze culturali e geografiche, della nostra lingua e delle nostre storie. L’unità che Egli stabilisce tra i suoi amici è misteriosamente feconda e parla a tutti: «La Chiesa consta di tutti coloro che sono in concordia con i fratelli e che amano il prossimo» (Sant’Agostino, Discorsi, 359,9). Di questa concordia, di questa fraternità, di questa prossimità i cristiani

possono e devono essere testimoni nel mondo d’oggi, segnato da tante guerre. Ciò non dipende solo dalle nostre forze, ma è dono dall’Alto, regalo di quel Dio che, con il suo Spirito, ci ha promesso di essere sempre al suo fianco, vivo accanto a noi: «Tanto uno ha lo Spirito Santo, quanto ama la Chiesa». (Sant’Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, 32,8,8).

La Chiesa, casa di popoli diversi, può diventare segno che non siamo condannati a vivere in perenne conflitto e può incarnare il sogno di un’umanità riconciliata, pacificata, concorde. È un sogno che ha un fondamento: Gesù, la sua preghiera al Padre per l’unità dei suoi. E se Gesù ha pregato il Padre, tanto più noi dobbiamo pregarlo perché ci conceda il dono di un mondo pacificato.

E, infine, da Cristo e dalla comunione, la pace. Che non è frutto della sopraffazione né della violenza, non è imparentata con l’odio né con la vendetta. È il Cristo che, con le piaghe della sua Passione, incontra i suoi dicendo: « Pace a voi». I santi hanno testimoniato che l’amore vince la guerra, che solo la bontà disarma la perfidia e che la nonviolenza può annientare la sopraffazione. Dobbiamo guardare in faccia il nostro mondo: non possiamo più tollerare ingiustizie strutturali per cui chi più ha, ha sempre di più, e viceversa chi meno possiede, sempre più diventa impoverito. L’odio e la violenza rischiano, come un piano inclinato, di tracimare finché la miseria si espande tra i popoli: proprio il desiderio di comunione, il riconoscerci fratelli, è antidoto a ogni estremismo. Padre Christian de Chergé, il priore del monastero di Tibhirine, beatificato insieme ad altri diciotto religiosi e religiose martiri in Algeria, dopo aver vissuto l’esperienza dell’incontro faccia a faccia con dei terroristi, ha avuto da Cristo, nella comunione con Lui e con tutti i figli di Dio, il dono di scrivere parole che ci parlano ancora oggi, perché vengono da Dio. Domandandosi quale preghiera avrebbe potuto rivolgere al Signore dopo una prova così difficile, parlando di chi aveva invaso con la violenza il monastero, scrisse: «Ho il diritto di domandare “disarmalo”, se non comincio a domandare “disarmami” e “disarmaci”, come comunità?

È la mia preghiera quotidiana». Proprio nella stessa terra del Nordafrica, circa 1.600 anni prima, Agostino rimarcava: «Viviamo bene e i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi» (Sant’Agostino, Discorsi, 80,8). Il nostro tempo lo possiamo segnare noi, con la testimonianza, con la preghiera allo Spirito Santo perché ci renda uomini e donne contagiosi di pace, accogliendo la grazia di Cristo e spargendo nel mondo il profumo della sua carità e misericordia. «Noi siamo i tempi»: non facciamoci prendere dallo sconforto di fronte alla violenza cui assistiamo; chiediamo a Dio Padre, ogni giorno, la forza dello Spirito Santo per far brillare nelle oscurità della storia la fiamma viva della pace.

Leone XIV

© LIBRERIA EDITRICE VATICANA

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