Così nasce la vera pace»
Un nuovo libro firmato dal Pontefice con una serie di interventi sui concetti chiave della fede. Nel testo inedito che introduce l’opera, l’invito ai cristiani a essere testimoni di fraternità
«Dio
non è né un essere magico né un mistero inconoscibile, si è fatto vicino a noi
in Gesù, che ci unisce al di là delle nostre personalità, delle nostre
provenienze culturali e geografiche, della nostra lingua»
Dieci
parole. Non sono tante dieci parole, ma possono iniziare un discorso sulla
ricchezza della vita cristiana. Così, per cominciarlo, di queste dieci parole
vorrei sceglierne tre, come avvio di un immaginario dialogo con quanti
leggeranno queste pagine: Cristo, comunione, pace.
A
un primo sguardo, possono sembrare termini slegati, non conseguenti tra loro.
Ma non è così. Essi si possono intrecciare in una relazione che vorrei con voi,
cari lettori, qui approfondire, perché ne possiamo insieme cogliere la novità e
la significanza.
Anzitutto,
la centralità di Cristo. Ogni battezzato ha ricevuto il dono dell’incontro con
Lui. È stato raggiunto dalla sua luce e dalla sua grazia. La fede è proprio
questo: non lo sforzo titanico di raggiungere un Dio soprannaturale, bensì
l’accoglienza di Gesù nella nostra vita, la scoperta che il volto di Dio non è
lontano dal nostro cuore. Il Signore non è né un essere magico né un mistero
inconoscibile, si è fatto vicino a noi in Gesù, in quell’Uomo nato a Betlemme,
morto a Gerusalemme, risorto e vivo oggi. Oggi!
E
il mistero del cristianesimo è che questo Dio desidera unirsi a noi, farsi
prossimo a noi, diventare nostro amico. Così che noi diventiamo Lui.
Sant’Agostino scrive: «Capite, fratelli? Vi rendete conto della grazia che Dio
ha profuso su di noi? Stupite, gioite: siamo diventati Cristo! Se Cristo è il
capo e noi le membra, l’uomo totale è Lui e noi» (Sant’Agostino, Commento
al Vangelo di Giovanni, 21,8). La fede cristiana è partecipazione alla
vita divina tramite l’esperienza dell’umanità di Gesù. In Lui Dio non è più un
concetto o un enigma, bensì una Persona a noi vicina. Agostino ha sperimentato
tutto ciò nella conversione, toccando con mano la forza dell’amicizia con
Cristo che ha cambiato radicalmente la sua vita: «Dov’ero quando ti cercavo? Tu
eri davanti a me, ma io mi ero allontanato da me e non mi ritrovavo. Tanto meno
ritrovavo Te» (Sant’Agostino, Confessioni, V,2,2).
Cristo,
inoltre, è principio di comunione. Tutta la sua esistenza è stata
contrassegnata da questa volontà di essere ponte: ponte tra l’umanità e il
Padre, ponte tra le persone che incontrava, ponte tra Lui e quanti erano ai
margini. La Chiesa è questa comunione di Cristo che continua nella storia. Ed è
una comunità che nell’unità vive la diversità. Agostino ricorre a un’immagine,
quella di un giardino, per illustrare la bellezza di una comunità di fedeli che
fa delle proprie diversità una pluralità che tende all’unità, e che non scade
nel disordine della confusione: «Possiede, fratelli, quel giardino del
Signore, possiede non solo le rose dei martiri, ma pure i gigli delle vergini e
le edere dei coniugi e le viole delle vedove. In una parola, dilettissimi, in
nessuno stato di vita gli uomini dubitino della propria chiamata: Cristo è
morto per tutti. Con tutta verità, di Lui è stato scritto: “Egli vuole che
tutti gli uomini siano salvi e che tutti giungano alla conoscenza della verità”
( 1Tm 2,4)» (Sant’Agostino, Discorsi,
304,3). Questa
pluralità diventa comunione nell’unico Cristo. Gesù ci unisce al di là delle
nostre personalità, delle nostre provenienze culturali e geografiche, della
nostra lingua e delle nostre storie. L’unità che Egli stabilisce tra i
suoi amici è misteriosamente feconda e parla a tutti: «La Chiesa consta di
tutti coloro che sono in concordia con i fratelli e che amano il prossimo»
(Sant’Agostino, Discorsi, 359,9). Di questa concordia, di
questa fraternità, di questa prossimità i cristiani
possono
e devono essere testimoni nel mondo d’oggi, segnato da tante guerre. Ciò non
dipende solo dalle nostre forze, ma è dono dall’Alto, regalo di quel Dio che,
con il suo Spirito, ci ha promesso di essere sempre al suo fianco, vivo accanto
a noi: «Tanto uno ha lo Spirito Santo, quanto ama la Chiesa». (Sant’Agostino, Commento
al Vangelo di Giovanni, 32,8,8).
La
Chiesa, casa di popoli diversi, può diventare segno che non siamo
condannati a vivere in perenne conflitto e può incarnare il sogno di un’umanità
riconciliata, pacificata, concorde. È un sogno che ha un fondamento: Gesù, la
sua preghiera al Padre per l’unità dei suoi. E se Gesù ha pregato il Padre,
tanto più noi dobbiamo pregarlo perché ci conceda il dono di un mondo
pacificato.
E,
infine, da Cristo e dalla comunione, la pace. Che non è frutto della
sopraffazione né della violenza, non è imparentata con l’odio né con la
vendetta. È il Cristo che, con le piaghe della sua Passione, incontra i suoi
dicendo: « Pace a voi». I santi hanno testimoniato che l’amore vince la guerra,
che solo la bontà disarma la perfidia e che la nonviolenza può
annientare la sopraffazione. Dobbiamo guardare in faccia il nostro
mondo: non possiamo più tollerare ingiustizie strutturali per cui chi più ha,
ha sempre di più, e viceversa chi meno possiede, sempre più diventa impoverito.
L’odio e la violenza rischiano, come un piano inclinato, di tracimare finché la
miseria si espande tra i popoli: proprio il desiderio di comunione, il
riconoscerci fratelli, è antidoto a ogni estremismo. Padre Christian de Chergé,
il priore del monastero di Tibhirine, beatificato insieme ad altri diciotto
religiosi e religiose martiri in Algeria, dopo aver vissuto l’esperienza
dell’incontro faccia a faccia con dei terroristi, ha avuto da Cristo, nella
comunione con Lui e con tutti i figli di Dio, il dono di scrivere parole che ci
parlano ancora oggi, perché vengono da Dio. Domandandosi quale preghiera
avrebbe potuto rivolgere al Signore dopo una prova così difficile, parlando di
chi aveva invaso con la violenza il monastero, scrisse: «Ho il diritto di
domandare “disarmalo”, se non comincio a domandare “disarmami” e “disarmaci”,
come comunità?
È
la mia preghiera quotidiana». Proprio nella stessa terra del Nordafrica, circa
1.600 anni prima, Agostino rimarcava: «Viviamo bene e i tempi saranno buoni.
Noi siamo i tempi» (Sant’Agostino, Discorsi, 80,8). Il nostro
tempo lo possiamo segnare noi, con la testimonianza, con la preghiera allo
Spirito Santo perché ci renda uomini e donne contagiosi di pace, accogliendo la
grazia di Cristo e spargendo nel mondo il profumo della sua carità e misericordia. «Noi
siamo i tempi»: non facciamoci prendere dallo sconforto di fronte alla violenza
cui assistiamo; chiediamo a Dio Padre, ogni giorno, la forza dello Spirito
Santo per far brillare nelle oscurità della storia la fiamma viva della pace.
Leone
XIV
©
LIBRERIA EDITRICE VATICANA
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