«La
Chiesa – ha detto – non è una semplice istituzione religiosa, né si identifica
con le sue gerarchie e strutture, ma è il segno visibile dell’unione tra Dio e
l’umanità».
Richiamandosi alla parabola del fariseo e del pubblicano, Leone XIV ha messo in
guardia dal rischio di un cristianesimo centrato sull’“io” invece che sul
“noi”, chiedendo una Chiesa umile, capace di ascolto, dialogo e servizio.
L’omelia
si inserisce nel cammino giubilare del 2025 e nel solco dell’eredità di Papa
Francesco, richiamata più volte dal Santo Padre, che ha invitato i fedeli a “camminare
insieme, mai come viaggiatori solitari”.
Fratelli
e sorelle,
celebrando
il Giubileo
delle équipe sinodali e degli organi di partecipazione, siamo invitati a
contemplare e a riscoprire il mistero della Chiesa, che non è una semplice
istituzione religiosa né si identifica con le gerarchie e con le sue strutture.
La Chiesa, invece, come ci ha ricordato il Concilio
Vaticano II, è il segno visibile dell’unione tra Dio e l’umanità, del suo
progetto di radunarci tutti in un’unica famiglia di fratelli e sorelle e di
farci diventare suo popolo: un popolo di figli amati, tutti legati nell’unico
abbraccio del suo amore.
Guardando
al mistero della comunione ecclesiale, generata e custodita dallo Spirito
Santo, possiamo comprendere anche il significato delle équipe sinodali e degli
organi di partecipazione; essi esprimono quanto accade nella Chiesa, dove le
relazioni non rispondono alle logiche del potere ma a quelle dell’amore. Le
prime – per ricordare un monito costante di Papa Francesco –
sono logiche “mondane”, mentre nella Comunità cristiana il primato riguarda la
vita spirituale, che ci fa scoprire di essere tutti figli di Dio, fratelli tra
di noi, chiamati a servirci gli uni gli altri.
Regola
suprema, nella Chiesa, è l’amore: nessuno è chiamato a comandare, tutti sono
chiamati a servire; nessuno deve imporre le proprie idee, tutti dobbiamo
reciprocamente ascoltarci; nessuno è escluso, tutti siamo chiamati a
partecipare; nessuno possiede la verità tutta intera, tutti dobbiamo umilmente
cercarla, e cercarla insieme.
Insieme
Proprio
la parola “insieme” esprime la chiamata alla comunione nella Chiesa. Papa Francesco ce
lo ha ricordato anche nel suo ultimo Messaggio
per la Quaresima: «Camminare insieme, essere sinodali, questa è la
vocazione della Chiesa. I cristiani sono chiamati a fare strada
insieme, mai come viaggiatori solitari. Lo Spirito Santo ci spinge ad uscire da
noi stessi per andare verso Dio e verso i fratelli, e mai a chiuderci in noi
stessi. Camminare insieme significa essere tessitori di unità, a partire dalla
comune dignità di figli di Dio».
Camminare
insieme. Apparentemente è quello che fanno i due personaggi della parabola che
abbiamo appena ascoltato nel Vangelo. Il fariseo e il pubblicano salgono tutti
e due al Tempio a pregare, potremmo dire che “salgono insieme” o comunque si
ritrovano insieme nel luogo sacro; eppure, essi sono divisi e tra loro non c’è
nessuna comunicazione. Tutti e due fanno la stessa strada, ma il loro non è un
camminare insieme; tutti e due si trovano nel Tempio, ma uno si prende il primo
posto e l’altro rimane all’ultimo; tutti e due pregano il Padre, ma senza
essere fratelli e senza condividere nulla.
Ciò
dipende soprattutto dall’atteggiamento del fariseo. La sua preghiera,
apparentemente rivolta a Dio, è soltanto uno specchio in cui egli guarda sé
stesso, giustifica sé stesso, elogia sé stesso. Egli «era salito per pregare;
ma non volle pregare Dio, bensì lodare sé stesso», sentendosi migliore
dell’altro, giudicandolo con disprezzo e guardandolo dall’alto in basso. È
ossessionato dal proprio io e, in tal modo, finisce per ruotare intorno a sé
stesso senza avere una relazione né con Dio e né con gli altri.
Quando
l’io prevale sul noi
Fratelli
e sorelle, questo può succedere anche nella Comunità cristiana. Succede quando
l’io prevale sul noi, generando personalismi che impediscono relazioni
autentiche e fraterne; quando la pretesa di essere migliori degli altri, come
fa il fariseo col pubblicano, crea divisione e trasforma la Comunità in un
luogo giudicante ed escludente; quando si fa leva sul proprio ruolo per
esercitare il potere e occupare spazi.
È
al pubblicano, invece, che dobbiamo guardare. Con la sua stessa umiltà, anche
nella Chiesa dobbiamo tutti riconoscerci bisognosi di Dio e bisognosi gli uni
degli altri, esercitandoci nell’amore vicendevole, nell’ascolto reciproco,
nella gioia del camminare insieme, sapendo che «il Cristo appartiene a coloro
che sentono umilmente, non a coloro che si innalzano al di sopra del gregge».
Le
équipe sinodali e gli organi di partecipazione sono immagine di questa Chiesa
che vive nella comunione. E oggi vorrei esortarvi: nell’ascolto dello Spirito,
nel dialogo, nella fraternità e nella parresìa, aiutateci a comprendere che,
nella Chiesa, prima di qualsiasi differenza, siamo chiamati a camminare insieme
alla ricerca di Dio, per rivestirci dei sentimenti di Cristo; aiutateci ad
allargare lo spazio ecclesiale perché esso diventi collegiale e accogliente.
Dialogo
Questo
ci aiuterà ad abitare con fiducia e con spirito nuovo le tensioni che
attraversano la vita della Chiesa – tra unità e diversità, tradizione e novità,
autorità e partecipazione –, lasciando che lo Spirito le trasformi, perché non
diventino contrapposizioni ideologiche e polarizzazioni dannose. Non si tratta
di risolverle riducendo l’una all’altra, ma di lasciarle fecondare dallo
Spirito, perché siano armonizzate e orientate verso un discernimento comune.
Come équipe sinodali e membri degli organismi di partecipazione sapete infatti
che il discernimento ecclesiale richiede «libertà interiore, umiltà, preghiera,
fiducia reciproca, apertura alle novità e abbandono alla volontà di Dio. Non è
mai l’affermazione di un punto di vista personale o di gruppo, né si risolve
nella semplice somma di pareri individuali». Essere Chiesa sinodale significa
riconoscere che la verità non si possiede, ma si cerca insieme, lasciandosi
guidare da un cuore inquieto e innamorato dell’Amore.
Umiltà
Carissimi,
dobbiamo sognare e costruire una Chiesa umile. Una Chiesa che non sta dritta in
piedi come il fariseo, trionfante e gonfia di sé stessa, ma si abbassa per
lavare i piedi dell’umanità; una Chiesa che non giudica come fa il fariseo col
pubblicano, ma si fa luogo ospitale per tutti e per ciascuno; una Chiesa che
non si chiude in sé stessa, ma resta in ascolto di Dio per poter allo stesso
modo ascoltare tutti. Impegniamoci a costruire una Chiesa tutta sinodale, tutta
ministeriale, tutta attratta da Cristo e perciò protesa al servizio del mondo.
Su
di voi, su noi tutti, sulla Chiesa sparsa nel mondo, invoco l’intercessione
della Vergine Maria con le parole del Servo di Dio don Tonino Bello: «Santa
Maria, donna conviviale, alimenta nelle nostre Chiese lo spasimo di comunione.
[…] Aiutale a superare le divisioni interne. Intervieni quando nel loro grembo
serpeggia il demone della discordia. Spegni i focolai delle fazioni. Ricomponi
le reciproche contese. Stempera le loro rivalità. Fermale quando decidono di
mettersi in proprio, trascurando la convergenza su progetti comuni».
Ci
conceda il Signore questa grazia: essere radicati nell’amore di Dio per vivere
in comunione tra di noi. Ed essere, come Chiesa, testimoni di unità e di amore.
Nessun commento:
Posta un commento