venerdì 24 ottobre 2025

IBRAHIMA

 


«Io, sopravvissuto, vi dico che quel memorandum

porta solo morte»


La lettera-denuncia di Ibrahima, 

lo, studente e attivista, 

che si è salvato

 dalle atrocità dei lager libici.


«L'accordo Roma-Tripoli è contro la dignità delle persone, chiedo all'Italia di non collaborare più a questa catena di violenza».

Caro direttore, sono Ibrahima Lo, un giovane di ventisei anni, originario del Senegal e residente in Italia da un decennio.

Con questa lettera ad “Avvenire”, rivolgo un appello alle Autorità italiane in qualità di cittadino residente, scrittore e attivista, ma soprattutto come testimone diretto di una crisi umanitaria che interpella l’etica e i valori fondanti della nostra Repubblica.

È in nome dei valori di umanità e responsabilità che ritengo doveroso rivolgermi a Voi, quali organi decisionali e morali della Repubblica, affinché le mie riflessioni sul concetto di dignità umana e sul futuro della nostra Nazione possano trovare ascolto e considerazione, nella speranza di individuare insieme ipotesi operative che portino beneficio a tutti coloro che vivono in questo Paese.

La questione che mi sta più a cuore è il Memorandum d’Intesa Italia-Libia.

Sono sopravvissuto alle atrocità che si consumano quotidianamente all’interno dei cosiddetti “lager libici”.

Porto nel mio vissuto, nella memoria e sul corpo i segni indelebili di quella violenza, ferite che il tempo non potrà mai cancellare completamente.

Negli anni, ho preso la ferma decisione di trasformare questi segni in un messaggio di speranza, un monito affinché il cuore di ogni cittadino non si rassegni all’indifferenza.

Da questa profonda necessità è scaturita la mia attività di scrittore, e il mio primo libro, intitolato eloquentemente Pane e Acqua, ne è la prima, lacerante testimonianza.

Nonostante la notorietà degli orrori in Libia, si osserva con profonda inquietudine come l’Italia continui a cooperare in questa catena di violenza, inviando motovedette a criminali libici che ogni giorno intercettano e imprigionano persone.

Si continua inoltre a sostenere chi in mare ostacola le navi della Civil Fleet – come le recenti aggressioni subite da Mediterranea Saving Humans e Sos Méditerranée – il cui unico crimine è quello di salvare vite in pericolo nel Mar Mediterraneo.

È imperativo, Onorevoli Istituzioni, riconoscere che nel Mare Nostrum si sta consumando una guerra. Non si tratta di un conflitto in cui risuona l’eco delle bombe o si vedono carri armati, ma di una guerra silenziosa e di sterminio, dove le vittime sepolte sotto il livello del mare possono comporre interi cimiteri.

Pur mantenendo una distanza fisica, ogni giorno bambini, donne e uomini urlano chiedendo aiuto prima di annegare, ma queste urla restano inascoltate.

Ho vissuto l’orrore di questa condizione quando avevo sedici anni, a bordo di un gommone insieme ad altre centodiciannove persone.

La Libia è un luogo dove la violenza è sistematica, dove le donne vengono stuprate quotidianamente, dove regnano paura e disperazione.

Il mio secondo libro, La mia voce, raccoglie storie che narrano la cruda realtà di queste esperienze.

L’Italia, mantenendo questo accordo, si trova in una posizione di potenziale complicità: si continua a finanziare, accogliere e collaborare con criminali che perpetuano la cattura di persone nel mare e nel deserto, le rinchiudono nei lager e le uccidono fisicamente e psicologicamente, trattando la vita umana non come un bene sacro, ma come un “gioco”.

In Libia non esistono né democrazia, né sicurezza, né libertà; esiste solo una violenza disumana.

Ne sono testimoni le cicatrici sul mio corpo, che continuano a “sanguinare” non solo per il trauma personale, ma perché mi ricordano costantemente le persone assassinate davanti ai miei occhi, la violenza inaudita inflitta nei lager libici a uomini, donne e bambini.

Le mie cicatrici portano con sé i loro nomi.

È una responsabilità che dobbiamo onorare, operando affinché quelle voci soffocate possano, un giorno, cantare tra i banchi di scuola o divenire nuove, preziose risorse per un Paese come il nostro, che ha sempre saputo onorare l’accoglienza.

Il Memorandum, Onorevoli Rappresentanti, non risolve il problema dell’immigrazione, ma uccide l’umanità, generando solo più morti nel Mediterraneo e lasciando ferite che non guariranno mai.

Ringraziando per la Vostra cortese attenzione e per la considerazione che vorrete riservare a queste mie parole, porgo i miei più sentiti e cordiali saluti.

www.avvenire.it


 

 

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