sabato 5 luglio 2025

L'INGANNO DELLA POTENZA


 Ragione strumentale 

e spiritualità

 

di MAURO MAGATTI

 Di fronte alla diffusione della guerra come metodo per risolvere le controversie politiche, al riscaldamento globale che minaccia le condizioni stesse della vita sul pianeta, alle ingiustizie clamorose che scavano abissi tra privilegiati ed esclusi, all’odio verso lo straniero e il diverso che fa crescere razzismo e xenofobia, la tentazione della rassegnazione è forte.

Disorientati e stanchi, siamo spinti ad abbassare lo sguardo, pensando che tutto questo sia ormai inevitabile, quasi scritto in un destino ineluttabile della storia.

Si tratta di un inganno: perché accettare passivamente la violenza, l’ingiustizia e la distruzione significa rinunciare a ciò che ci rende umani, ossia la capacità di reagire, di immaginare alternative, di costruire un mondo diverso.

Eppure, la domanda resta: come è possibile che società così avanzate – dotate di conoscenze scientifiche straordinarie, di capacità tecnologiche mai viste prima, di risorse economiche enormi, di un patrimonio culturale immenso – rivelino tratti tanto arcaici?

Com’è possibile che, mentre inviamo sonde su Marte e decifriamo il genoma umano, la guerra di trincea torni a insanguinare l’Europa, le carestie continuino a devastare interi continenti, le persone muoiano di fame e sete alle porte di città opulente, e si erigano muri contro chi scappa da guerre e disastri?

Questa contraddizione - tra il livello raggiunto dalle nostre società e la brutalità di tante nostre azioni - è uno degli scandali più grandi del nostro tempo. E ci dice qualcosa di importante: che la civiltà non è solo una questione di tecniche e ricchezze. La civiltà è una questione di visione, valori, relazioni. Si può possedere la tecnica più sofisticata e usarla per distruggere; si può accumulare ricchezza senza alcun rispetto per chi resta indietro; si può avere accesso a infinite informazioni senza diventare più saggi. Non basta, dunque, la crescita economica a salvare il mondo, né basta la tecnologia. E se la storia recente ci ha insegnato qualcosa, è proprio questo: che le meraviglie della scienza e dell’economia possono convivere con l’abisso morale, possono addirittura alimentarlo, quando non sono guidate da un’idea più alta di umanità.

Di fronte a questa amara consapevolezza, non ne deriva necessariamente rassegnazione. Al contrario, è possibile leggere in mezzo ai tanti disastri un messaggio di speranza. Proprio questo tempo, segnato da ferite profonde, ci sollecita a un cambiamento più radicale: il superamento di visioni dualiste che separano la ragione strumentale dalla saggezza spirituale. Per troppo tempo abbiamo coltivato l’illusione che bastasse “sapere come fare” - come produrre, come dominare la natura, come vincere la concorrenza - dimenticando di chiederci “perché farlo” e “a che scopo”. La ragione strumentale, che è il cuore della modernità, ci ha permesso di conquistare il mondo esterno, ma ci rende ciechi al mondo interno, al senso delle cose, alla qualità delle relazioni, alla responsabilità verso il futuro. Proprio la separazione tra sapere tecnico e saggezza morale è alla radice delle nostre contraddizioni. È ciò che ci ha permesso di sviluppare tecnologie capaci di migliorare la vita di molti, ma anche di distruggere ecosistemi e società. Di alimentare un’economia che crea ricchezza per pochi abbandonando masse di persone nella miseria. Di trattare la terra come una macchina da sfruttare anziché come una casa comune da custodire.

Superare questa frattura significa riscoprire la nostra umanità più profonda, quella che non si accontenta di calcoli utilitaristici ma sa riconoscere a far vivere valori e significati. Significa rimettere insieme la ragione che efficientata e la saggezza che orienta, la capacità di innovare e la capacità di prendersi cura. Significa, in definitiva, ricomporre ciò che abbiamo spezzato: l’unità tra il pensare e il sentire, tra l’individuo e la comunità, tra l’essere umano e la terra.

Questa la via che siamo chiamati a percorrere, ancora di più al tempo dell’Intelligenza Artificiale. In un mondo in cui le vecchie ricette non funzionano più, in cui la sola crescita economica non porta giustizia e la sola innovazione tecnologica non porta pace, ciò che più va coltivato è una cultura della responsabilità, della cura, della solidarietà. 

Ci sono dunque buone ragioni per non rassegnarci. È infatti nell’alleanza tra la lucidità della ragione e la profondità della saggezza spirituale che è possibile spezzare le catene della violenza, ridare equilibrio al pianeta, sanare le ingiustizie e accogliere l’altro come parte di noi. Non è un sogno ingenuo: è la sfida più concreta e necessaria che il nostro tempo ci affida. Sta a noi raccoglierla.

 www.avvenire.it

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