e spiritualità
di
MAURO MAGATTI
Disorientati
e stanchi, siamo spinti ad abbassare lo sguardo, pensando che tutto questo sia
ormai inevitabile, quasi scritto in un destino ineluttabile della storia.
Si
tratta di un inganno: perché accettare passivamente la violenza, l’ingiustizia
e la distruzione significa rinunciare a ciò che ci rende umani, ossia la
capacità di reagire, di immaginare alternative, di costruire un mondo diverso.
Eppure,
la domanda resta: come è possibile che società così avanzate – dotate di
conoscenze scientifiche straordinarie, di capacità tecnologiche mai viste
prima, di risorse economiche enormi, di un patrimonio culturale immenso –
rivelino tratti tanto arcaici?
Com’è
possibile che, mentre inviamo sonde su Marte e decifriamo il genoma umano, la
guerra di trincea torni a insanguinare l’Europa, le carestie continuino a
devastare interi continenti, le persone muoiano di fame e sete alle porte di
città opulente, e si erigano muri contro chi scappa da guerre e disastri?
Questa
contraddizione - tra il livello raggiunto dalle nostre società e la brutalità
di tante nostre azioni - è uno degli scandali più grandi del nostro tempo. E ci
dice qualcosa di importante: che la civiltà non è solo una questione di
tecniche e ricchezze. La civiltà è una questione di visione, valori, relazioni.
Si può possedere la tecnica più sofisticata e usarla per distruggere; si può
accumulare ricchezza senza alcun rispetto per chi resta indietro; si può avere
accesso a infinite informazioni senza diventare più saggi. Non basta, dunque,
la crescita economica a salvare il mondo, né basta la tecnologia. E se la
storia recente ci ha insegnato qualcosa, è proprio questo: che le meraviglie
della scienza e dell’economia possono convivere con l’abisso morale, possono
addirittura alimentarlo, quando non sono guidate da un’idea più alta di
umanità.
Di
fronte a questa amara consapevolezza, non ne deriva necessariamente
rassegnazione. Al contrario, è possibile leggere in mezzo ai tanti disastri un
messaggio di speranza. Proprio questo tempo, segnato da ferite profonde, ci
sollecita a un cambiamento più radicale: il superamento di visioni dualiste che
separano la ragione strumentale dalla saggezza spirituale. Per troppo tempo
abbiamo coltivato l’illusione che bastasse “sapere come fare” - come produrre,
come dominare la natura, come vincere la concorrenza - dimenticando
di chiederci “perché farlo” e “a che scopo”. La
ragione strumentale, che è il cuore della modernità, ci ha
permesso di conquistare il mondo esterno, ma ci rende ciechi al
mondo interno, al senso delle cose, alla qualità
delle relazioni, alla responsabilità verso il futuro. Proprio la
separazione tra sapere tecnico e saggezza morale è alla radice delle nostre
contraddizioni. È ciò che ci ha permesso di sviluppare tecnologie capaci di
migliorare la vita di molti, ma anche di distruggere ecosistemi e società. Di
alimentare un’economia che crea ricchezza per pochi abbandonando masse di
persone nella miseria. Di trattare la terra come una macchina da sfruttare
anziché come una casa comune da custodire.
Superare
questa frattura significa riscoprire la nostra umanità più profonda, quella che
non si accontenta di calcoli utilitaristici ma sa riconoscere a far vivere
valori e significati. Significa rimettere insieme la ragione che efficientata e
la saggezza che orienta, la capacità di innovare e la capacità di prendersi
cura. Significa, in definitiva, ricomporre ciò che abbiamo spezzato:
l’unità tra il pensare e il sentire, tra l’individuo e la comunità, tra
l’essere umano e la terra.
Questa la via che siamo chiamati a percorrere, ancora di più al tempo dell’Intelligenza Artificiale. In un mondo in cui le vecchie ricette non funzionano più, in cui la sola crescita economica non porta giustizia e la sola innovazione tecnologica non porta pace, ciò che più va coltivato è una cultura della responsabilità, della cura, della solidarietà.
Ci sono dunque
buone ragioni per non rassegnarci. È infatti nell’alleanza tra la lucidità
della ragione e la profondità della saggezza spirituale che è possibile
spezzare le catene della violenza, ridare equilibrio al pianeta, sanare le
ingiustizie e accogliere l’altro come parte di noi. Non è un sogno ingenuo: è
la sfida più concreta e necessaria che il nostro tempo ci affida. Sta a noi
raccoglierla.
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